Segreto

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Io lo conosco.
Conosco l'uomo che Evan ha preso in braccio come se fosse un bambino e adagiato sul divano. È la stessa persona che mi ha aiutata ad infiltrarmi alla festa. Lo stesso uomo che mi ha accompagnata a casa dopo l'azione di polizia al luna park.

È amico del signor Royden. Non lo dico per tutto ciò che ha fatto in precedenza, ma lo conferma lo sguardo preoccupato del capo dipartimento. Non l'ho mai visto tanto agitato.
Il corpo e i movimenti sicuri non lo tradiscono, ma gli occhi inquieti sì. Esamina lentamente le ferite, il volto rigido attento a non tradire nessuna emozione. Le dita esperte si muovono con precisione, sondando le lesioni su gran parte del corpo e del volto dell'uomo.

Nonostante la compostezza, Evan non riesce a nascondere la disapprovazione nei confronti di chiunque abbia fatto così male al suo amico. Un'ombra di rabbia si manifesta nelle sue iridi scure, scacciata via in fretta da una maschera di freddezza.
Sparisce in fondo al corridoio per qualche istante e torna da noi con tutto ciò che serve per medicare le ferite.

Si inginocchia sul pavimento e comincia a disinfettare i tagli con mano ferma e gentile. L'uomo mugola di dolore ed Evan serra la mascella: «Non è niente», bisbiglia. «Scusa. Devo farlo. Scusa», poi mi lancia un'occhiata veloce: «Tu respira», ordina.
Non mi ero nemmeno accorta di trattenere il fiato.
«In cucina, nel primo cassetto a destra vicino al frigo c'è un piccolo quaderno».

Corrugo la fronte, poi drizzo la schiena quando capisco che sta parlando con me. Sono nel panico. Ho il cervello disattivato.
«A pagina tre c'è un numero di telefono. Chiamalo»
«Io... uhm, sì. Okay. Cosa devo dire?»
«Vieni qui».

Muovo un passo avanti e lui distoglie l'attenzione dal suo amico solamente per fulminarmi sul posto: «Devi dire: vieni qui. Basta. È così complicato, agente Kelley?».
Ah.
Evito di rispondergli e faccio come mi dice. Recupero il cellulare e digito il numero, quindi non appena una donna risponde mi limito a fare come ha detto Evan: «Vieni qui»
«Arrivo».
Poi riattacca.

Okay. È stato semplice. Allora perché ho il cuore che batte ad una velocità inaudita?
Soffio dell'aria fuori dalle labbra e con mani tremanti mi riempio un bicchiere d'acqua che bevo a grandi sorsi prima di armarmi di coraggio e tornare da Evan e l'uomo che continua a soffocare urla e singhiozzi.
«Sta arrivando», comunico.

Evan non mi guarda nemmeno. Continua a premere una garza  sul fianco del suo amico mentre con l'altra mano disinfetta più ferite possibili.
«Mi serve un favore», annuncia. «Resta con lui. Pensi di farcela?».
No.
Assolutamente no.
No, no, no. Preferirei morire piuttosto.
«Certo, signor Royden». Che ho detto?

Lui si alza e mi sovrasta con la sua altezza. «Premi la garza sul fianco. Tra poco arriverà un medico e potrai tornare a casa, okay?»
«S-sì signore»
«Io devo andare», mi sorpassa e lo blocco in modo istintivo.
«Dove sta andando?», mi inginocchio e con mani tremanti afferro la garza mentre Evan inarca un sopracciglio.

Il silenzio senza risposta si dipinge sulle sue iridi mentre è evidente che si sta chiedendo come io abbia osato chiedere spiegazioni a lui. Afferra le chiavi e se ne va chiudendosi la porta alle spalle. Bene.
Faccio pressione sul fianco dell'uomo quasi svenuto accanto a me e soffio dell'aria fuori dalle labbra: «Andrà tutto bene», parlo più con me stessa che con lui. «Adesso arriva un medico. Hai sentito?».

Non risponde. Forse non degnare la gente di risposte è un vizio del loro gruppo di amici.
O forse sta così male da non riuscire a parlare.
«Cosa ti è successo?».
Risponde con un mugolio di dolore. Ops. Forse stavo facendo troppa pressione. «Scusa», bisbiglio. «È il panico».

Non apro bocca per una manciata di minuti, ma non voglio che si addormenti e torno a parlare: «Io sono Althea», dico. 
«Lo so», biascica.
È sveglio.
«Tu come ti chiami? Ci siamo già visti altre volte»
«Rafael», adorna la sua presentazione con un'espressione di fortissima sofferenza. Scelgo di non farlo soffrire ancora e non rivolgergli più la parola. Rafael. Adesso il suo volto spigoloso e macchiato di sangue e inchiostro ha un nome. Mi chiedo solo quale sia il suo ruolo nella vita di Evan.
E poi mi domando continuamente che cosa stia facendo proprio ora il capo dipartimento. Spero non sia in pericolo.

Non che mi interessi particolarmente, ovvio.
Mi auguro che non stia davvero facendo cose losche.
Dovrei scrivere ciò che sta succedendo al comandante Barrett?
No. Devo prima avere delle prove concrete.
La porta si apre con uno scatto e sussulto, ritrovandomi davanti una giovane donna dai lunghi capelli neri. Porta con sé un'enorme valigia di cuoio e si fionda sul pavimento accanto a me in meno di dieci secondi. Non bada a me. Non mi chiede nemmeno chi sono o che cosa diavolo ci faccio io qui.

«Puoi andare», è l'unica cosa che dice.
«Oh, ehm, sì», mi guardo le mani sporche di sangue. «Vado prima in bagno». Mi allontano con passo incerto, dirigendomi verso il bagno. Chiudo la porta dietro di me ed il riflesso nel grande specchio del bagno rivela uno sguardo smarrito, un tumulto di emozioni che si scontrano sul mio viso. L'acqua scorre dal rubinetto con un suono delicato, e mi immergo nell'atto di lavare le mani, come se potesse cancellare il segno visibile di ciò che è appena successo.

Il sapone scorre tra le dita e provo a lenire con una fragranza dolce l'odore ferroso del sangue. Il mio stomaco si contorce, una sensazione di nausea stringe il petto. Ingoio a fatica, cercando di respingere l'onda di emozioni tumultuanti. Calma. Calma. Calma.
Rimetto a posto il sapone con gesti meccanici e respiro profondamente, cercando di riacquistare la compostezza. Che cosa è successo? Dov'è Evan? Chi è Rafael?

Torno nella stanza con passo incerto e rabbrividisco nel sentire l'ennesimo verso lamentoso di Rafael mentre la dottoressa armeggia con ago e filo. Ricaccio indietro la nausea e mi siedo su una poltrona: «Resto qui», annuncio.
Lei non mi guarda. Non obietta. Continua a lavorare ignorando la mia esistenza.

Vorrei chiederle maggiori informazioni, ma mi limito a rannicchiarmi sulla poltrona sempre di più ad ogni minuto che passa. Il silenzio avvolge la stanza in modo rassicurante ed è interrotto solo dai suoni attutiti della medicazione.
Mi chiudo in me stessa e cerco di ignorare il tumulto di pensieri che mi invade la testa. Mi ritrovo intrappolata tra la veglia e il sonno. La poltrona diventa come un rifugio e mentre la notte scivola lentamente io mi addormento senza più badare a ciò che mi circonda.

Quando mi risveglio l'atmosfera intorno a me è colma di quiete e la luce mattutina inonda delicatamente il salotto.
Ho una morbida coperta addosso che prima non avevo e mentre mi risveglio del tutto i miei occhi si incontrano con uno sguardo che fa eco dentro di me come una melodia familiare.  

La figura imponente di Evan Royden si staglia contro il chiarore dell'alba. Un sorriso gentile gli sfiora le labbra, ma nel suo sguardo vedo un mix di preoccupazione e stanchezza.
Rafael dorme sul divano e della dottoressa non c'è più traccia.
«Buongiorno», mormora, la sua voce è un'armonia dolce che spezza il silenzio.

C'è una calma nel suo tono che mi fa sentire protetta e in pace con il mondo. Rispondo con uno sbadiglio che non riesco a trattenere ed il suo sorriso si ammorbidisce. Qualcosa svolazza nel mio stomaco. Forse è fame.
«Rafael come sta?», mi raddrizzo e allungo le gambe per sgranchirmi.

«Stabile», si passa una mano sugli occhi stanchi e si avvicina più a me. «Tu come stai?»
«Io? Bene, signore. Lei come sta?»
«Stabile», ripete. Si abbassa per arrivare all'altezza del mio viso e le sue iridi scure si mescolano con le mie. La vicinanza improvvisa accelera il battito del mio cuore. «Lascia che ti accompagni a casa», dice. «Devi riposarti. Voglio che tu sia vigile e perfettamente in forma per stasera»

«Stasera?», un pizzico di ansia mi assale.
«Non possiamo più aspettare. Quei piani di cui ti parlavo devono essere attuati a partire da oggi. Ti spiegherò tutto ciò che c'è da sapere», si rialza e lancia un'occhiata distratta all'orologio da polso. «Fai una doccia, riposati. Io tornerò da te alle sei in punto del pomeriggio»

«Posso rifiutare?», le parole sfuggono al mio controllo. È la paura a parlare per me. Fisso il volto tumefatto di Rafael e mi spavento perfino di più. Posso fidarmi di lui?
«Vuoi rifiutare?», un lampo di curiosità mista a fastidio gli attraversa gli occhi.
Impiego qualche istante di troppo per rispondere: «No, signore»
«Bene», mi porge la mano per aiutarmi ad alzarmi dalla poltrona e a liberarmi della coperta. L'afferro senza esitazione.

Procediamo verso la porta ed è lui ad aprirla per me: «Non devi parlarne con nessuno, Althea»
«Sì, signore».
Poi sussurra al mio orecchio: «Consideralo il nostro piccolo segreto».
E perfino la mia pelle si elettrizza.

Buon pomeriggio! 😍😍
Come state? Spero benissimo.
Io sono vittima dell'influenza 🧚‍♂️
Innanzitutto vi ringrazio per l'affetto che mi date sempre e per i commenti.
Che ne pensate di questo capitolo?
E cosa ha in mente il nostro capo dipartimento?
Sono curiosa di sentire i vostri pareri.
Un bacio grande.
Sara ❤️

NON SONO UNA SPIAWhere stories live. Discover now