Blackout

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Sono ancora una volta in auto con Evan Royden.
Mi sto abituando a questa situazione? Ovviamente no.
Infatti ho portato con me i biscotti al cioccolato bianco per affrontare al meglio lo stress.
Mastico cercando di essere il più silenziosa possibile mentre lui guida sotto la pioggia fitta. Non si vede niente.

Un lampo mi fa sussultare e mando giù il boccone in modo rumoroso. E sto cercando di non pensarci, ma sento freddo.
Forse è la presenza dell'uomo qui al mio fianco a farmi rabbrividire. Evan sembra notarlo e senza proferire parola avvia il riscaldamento. Lo ringrazio con un mezzo sorriso e gli offro un biscotto: «Ne vuole uno?»
«No, grazie»
«Non sono biscotti avvelenati, signore»
«Non temo un tentativo di avvelenamento da parte tua», ribatte in fretta.
«Non le piacciono i biscotti?»
«Non mi va di mangiarli in questo momento», taglia corto. Che antipatico.

Torno al mio religioso silenzio e mangio mentre lui guida. Afferro con una mano il cellulare e leggo i messaggi di Mia e Sarah che discutono sulla nostra chat comune di solo Dio sa cosa. Più di settanta messaggi. Sto proprio capendo il succo del discorso quando Evan si ferma e si libera della cintura di sicurezza. Non siamo alla centrale.

«Un incidente», dice. «Aspetta qui», ed esce dalla macchina sparendo sotto la pioggia fitta. Senza ombrello. Lo sento aprire il bagagliaio e poi lo vedo camminare spedito verso un punto della strada, in mano un martello frangivetro d'emergenza.
Assottiglio gli occhi e cerco di capire dove accidenti abbia visto una macchina incidentata, ma poi nel buio la trovo: è uscita di strada ed è finita oltre il guardrail, in bilico e quasi sul punto di scivolare lungo un burrone con il conducente intrappolato all'interno.

Balzo anch'io fuori dal veicolo e con il cellulare inizio a chiamare i soccorsi. Comunico la  posizione precisa dell'incidente e la necessità di un'ambulanza. Quando riattacco Evan mi lancia un'occhiata veloce: «Torna dentro!», urla per farsi sentire oltre il rumore della poggia.
«No».
Non posso credere di averlo fatto.
Ho appena disobbedito a Evan Royden.
Mio Dio.
Morirò?
Probabile.
Salverà prima la vita di quest'uomo e poi prenderà la mia anima.

Deglutisco e mi avvicino all'auto accartocciata su se stessa.
Evan mi preme una mano sullo stomaco per dirmi in modo silenzioso di indietreggiare. Questa volta faccio un passo indietro senza proferire parola.
Inizia a colpire il finestrino dell'auto e il rumore del martello si mescola a quello dei tuoni e della pioggia che batte contro l'asfalto. Evito di guardare l'uomo svenuto con la testa contro il volante e mi concentro sul volto assorto di Evan. I capelli scuri sono bagnati, così come le ciglia lunghe. Nonostante sia completamente inzuppato continua a lavorare con dedizione.

Non avevo previsto che la mia fuga al supermercato si sarebbe sviluppata in questo modo.
Il vetro si rompe ed Evan parla all'uomo con voce calma e gentile: «Stanno arrivando i soccorsi», gli dice, come se davvero potesse sentirlo. «Va tutto bene», poi parla con me. «Nel bagagliaio ho una coperta termica».

Non ha bisogno di dire altro perché corro a prenderla e torno da lui con il fiatone. Devo davvero iscrivermi in palestra e fare jogging. Faccio schifo nella resistenza fisica.
Evan usa la coperta per coprire e proteggere il conducente: «Dobbiamo farlo uscire», mi dice. Ci scambiamo uno sguardo lungo e silenzioso, poi annuisco.
Okay. Sono pronta. L'ho già fatto altre volte.

Sto per avvicinarmi all'uomo, ma mi blocco quando Evan si toglie la giacca e me la porge: «Legala attorno al braccio e proteggiti dai vetri rotti», suggerisce in tono asciutto.
Faccio come mi dice, anche se le guance mi vanno inspiegabilmente a fuoco e lo stomaco si contorce.
Calma.
Calma.
Che mi prende?

Seguo le sue istruzioni e lo aiuto a stabilizzare il conducente e a tirarlo fuori dalla macchina, assicurandoci che nessuna parte del corpo rimanga intrappolata o ferita durante l'uscita.
Lo allontaniamo dalla zona dell'incidente e ci fermiamo in un punto sicuro e lontano da altri eventuali pericoli stradali.

Evan si china su di lui e lo copre ancora di più con la coperta termica. Mentre aspettiamo i soccorsi sotto la pioggia incessante, io ed Evan ci guardiamo a vicenda, respirando affannosamente.
Il silenzio si fa meno pesante e la tensione che aleggia sempre tra di noi sembra scivolare via, almeno per il momento.

Come se quel filo teso fosse stato spezzato dall'adrenalina e dalla consapevolezza di aver contribuito nel salvataggio di una vita.
«Pare che non sia stata una buona idea andare a fare la spesa, eh?», accenna un sorriso e una goccia scivola fino a baciargli le labbra.
Sorrido in automatico, gli occhi che indugiano un po' troppo sulla bocca: «Idea pessima», dico. «Vuol dire che eravamo destinati ad incontrarci questa sera per soccorrere questo uomo, presumo».

Evan annuisce e il suo sguardo si posa sul conducente che sembra respirare in modo stabile. «Sei stata brava», mormora.
Quasi svengo.
Un complimento?
«Hai gestito la chiamata ai soccorsi in modo impeccabile», continua.
Arrossisco leggermente e dondolo sui piedi: «Grazie, signore. Anche lei ha fatto un ottimo lavoro con quel martello».

La mia risposta lo fa ridere leggermente. Mi guarda con gli occhi scuri che brillano mentre sorride sincero.
È uno spettacolo.
È davvero la persona più bella che io abbia mai visto.
Sembra sul punto di dire qualcosa ed io pendo dalle sue labbra, ma il rumore delle sirene interrompe il nostro piccolo momento.

Rimango in silenzio mentre un'ambulanza si ferma vicino a noi e i paramedici si occupano dell'uomo. Evan riferisce più informazioni possibili, poi quando finisce fa un cenno del capo in direzione della sua auto.
«Andiamo».
Prendiamo posto entrambi, finalmente al riparo dall'acqua.
Evan allunga il braccio verso i sedili posteriori e prende un borsone nero dal quale tira fuori un asciugamano bianco perfettamente piegato.

Trattengo il fiato quando mi poggia l'asciugamano sulla testa e strofina con delicatezza per asciugarmi i capelli.
«Evan», pronuncio il suo nome per la prima volta ad alta voce. Mi correggo subito: «Ci penso io, signor Royden. Grazie».
Accidentalmente le mie mani sfiorano le sue mentre prendo l'asciugamano e mi tremano le dita. Ecco che torna la tensione, pronta a danzare come la pioggia sui vetri.

Provo a convincere il mio cervello a deviare la linea di pensieri piuttosto dolci, ma i neuroni cominciano a vederlo come una sorta di eroe, pronto a proteggere chiunque anche sotto le peggiori tempeste.
No, Althea. Probabilmente ti lascerebbe morire fulminata, okay? Smettila. Non pensare.
Mette in moto ed io abbasso lo sguardo, continuando a tamponarmi i capelli.

«Ti accompagno a casa o vuoi...»
«Vengo in centrale, signore», lo interrompo e annuisce, assottigliando gli occhi per scorgere meglio la strada.
Nessuno osa più parlare fino a quando non arriviamo alla centrale. Scendiamo dalla macchina insieme e mi si forma un nodo allo stomaco quando Evan fa il giro dall'auto per raggiungermi e coprire le nostre teste con la sua giacca. Varchiamo la porta della centrale così: bagnati, vicini e coperti da una sola giacca.

Per un attimo mi dimentico del resto del mondo, ma abbiamo gli occhi sconvolti di tutti puntati addosso e sono costretta a tornare alla realtà.
La curiosità di tutti è palpabile: presumo che si stiano chiedendo cosa accidenti ci faccio praticamente attaccata al capo del dipartimento. Evan non sembra far caso a loro. Di certo nota i loro sussurri e gli sguardi indagatori, ma li ignora.

Anzi, no.
«Tornate a lavoro», ordina e tutti sussultano, me compresa. «Non c'è niente da guardare».
E il maltempo mette la ciliegina sulla torta: tutte le luci si spengono e anche i monitor. Fuori dalle vetrate tutto diventa profondamente buio.
Blackout.

Buonasera!
Come state?
Sono tornata insieme a questi due scemi 🤩
Che vi è sembrato di questo capitolo?
Che mi dite di Evan?
Althea inizia a perdersi 😂 voi?
E che ne dite della fine del capitolo?
Fatemi sapere.
Un bacio grande ❤️

NON SONO UNA SPIAWhere stories live. Discover now