Ingenua

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Mi sono addormentata.
Stento a crederci e mi stupisco di me stessa, ma davvero sono riuscita ad addormentarmi profondamente con Evan sul mio stesso letto. La cosa che più mi sconvolge è che anche lui dorme.
Non è un vampiro.
È una persona normale in grado di addormentarsi. La luce filtra attraverso le tende socchiuse ed il sole inizia a scaldare la stanza. O forse è Evan Royden. Non lo so. Sono confusa.

Lui si è addormentato con una mano ancora poggiata sulla mia fronte mentre l'altro braccio è finito stretto attorno alla mia vita, in una sorta di abbraccio inconsapevole e protettivo.
Il mio corpo così vicino al suo è così piccolo che sembro una bambina stretta tra le braccia forti di suo padre. Le ciglia scure si estendono delicatamente come un ventaglio, folte e lunghe, e si adagiano sulla palpebra chiusa. I capelli neri scompigliati ricadono con leggerezza sulla fronte e gli incorniciano il viso in una sorta di eleganza selvaggia.

Sento il suo respiro sul collo e questa vicinanza mi provoca il disperato bisogno di fiondarmi in bagno e fare una doccia. Fredda.
Calma. Devo rimanere calma.
Chiudo gli occhi e mi fingo morta, ma sono costretta a riaprirli quando il cellulare di Evan vibra sul comodino.
Lui non si accorge di niente. Continua a dormire come un angelo con la guancia poggiata contro la mia spalla.

Per qualche istante nella stanza piomba il silenzio, poi quell'aggeggio maledetto torna a squillare.
«Signor Royden», bisbiglio. «Signor Royden»
«Mmh», non apre nemmeno gli occhi.
«Qualcuno la sta chiamando»
«Mmh», ripete e la sua bocca si muove leggermente. I muscoli della mascella si rilassano e si contraggono in una serie di movimenti automatici. Forse si sta svegliando.

Provo a dare una sbirciata al display e corrugo la fronte nel leggere il nome MATILDA lampeggiare. Chi è Matilda? Non ho nessuna collega con questo nome.
Il mio cervello mi ricorda che, molto probabilmente, Evan Royden ha una vita fuori dalla centrale.
«La sta chiamando una certa Matilda, signore», ringrazio il fatto che è troppo immerso nel sonno per rendersi conto del mio tono di voce gracchiante.
Nessun segno di vita.

«Signore», riprovo. «Matilda la sta chiamando in modo piuttosto insistente»
«Non pensarci», biascica. «Ignorala»
«Non so chi sia, ma temo sia urgente. Continua ad insistere»
«È solo mia moglie», mormora, affondando il volto nella mia clavicola.
«COSA?», l'urlo è più spontaneo del dovuto. Credo di aver rotto tutti i bicchieri in casa a causa del suono troppo acuto. 

Balzo giù dal letto, scioccata: «Moglie? Lei ha una moglie?», sto strillando. Ho dormito nello stesso letto di un uomo sposato.
Evan Royden è sposato. Voglio piangere. Posso?
«PERCHÉ NON ME LO HA DETTO PRIMA?».
Ora il capo dipartimento è costretto ad aprire gli occhi e a godersi il mio viso sconvolto.
«Non me lo hai mai chiesto», si stringe nelle spalle e mi viene voglia di dargli un pugno. Forte.

Apro e chiudo la bocca, troppo turbata per dire qualsiasi cosa.
Poi Evan torna a poggiare la testa sul cuscino e scoppia a ridere. Una risata liberatoria, energica, melodiosa.
Il suono più bello che io abbia mai sentito in tutta la mia vita.
Evan Royden sta ridendo. Sul serio. Ed è una sinfonia di note allegre e piene di vita.

«Mi stava prendendo in giro?», chiedo. Lui è troppo impegnato a ridere di me. «Mi stava prendendo in giro», confermo.  Ma che stronzo.
«Mi sono sentita un'adultera pur non avendo fatto un bel niente!», indico la mia faccia e provo a rimanere seria, ma la mia affermazione lo fa ridere ancora più forte e scappa una risata anche a me.
Scuote la testa e si alza in tutta la sua bellezza. Riempie la stanza con la sua sola presenza. E quel sorriso.

«La tua ingenuità mi preoccupa, agente Kelley»
«A me invece preoccupa il suo modo sadico di divertirsi, signore».
Sorride ancora. Afferra il cellulare ed esce dalla stanza: «Dimmi tutto», dice. Poi si allontana in corridoio e non lo sento più.
Io rimango ferma per diversi istanti fino a quando non decido di andare a lavarmi la faccia. Quando esco dal bagno raggiungo la cucina dove Evan sta scrivendo qualcosa su un quaderno, il cellulare bloccato tra la spalla e l'orecchio.

NON SONO UNA SPIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora