Errore mio

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Sono in ritardo. Sono in ritardo. Sono in ritardo.
Sto correndo con un toast in bocca, indosso un solo orecchino e non sono sicura di riuscire a sopravvivere all'ennesimo rimprovero da parte del capo del dipartimento.
Ma ho un piano: evitare Evan Royden.
Beh, non è una missione difficoltosa. Di solito lui si dimentica della mia esistenza la maggior parte del tempo, dunque mi basterà solo entrare nell'edificio senza essere notata.

Ingoio il boccone e continuo a tenere in equilibrio il toast tra le labbra mentre con le mani provo ad indossare anche l'altro orecchino. Ci sono quasi.
Mi faccio strada furtivamente verso l'ingresso della centrale e immagino di poter entrare senza dare nell'occhio, ma tutti i miei piani crollano come un castello di carte quando vedo lui.

Evan Royden è appoggiato al corrimano delle scale e sta guardando proprio me. I capelli neri scompigliati dal vento gli conferiscono un aspetto ribelle e selvaggio, perfettamente in sintonia con il leggero strato di barba che gli incornicia il viso. Torno a percepire quella strana tensione nell'aria e mi auguro di non essere colpita da un fulmine da un momento all'altro.

Scende i gradini ed il mio cuore inizia a battere all'impazzata. Cavolo. Ora mi becco un bel richiamo.
Più si avvicina e più mi sento minuscola davanti alla sua presenza dominante. Sono una formica.
Sono costretta a sollevare la testa per guardarlo bene in faccia, ma chiudo gli occhi a causa dell'imbarazzo quando mi toglie lentamente il toast dalla bocca e lo lancia nel cesto più vicino.

Sotterratemi.
Ditemi che è un incubo.
Adesso io riapro gli occhi e sono nel mio letto.
No. C'è ancora il capo del dipartimento qui a fissarmi. Tiene lo sguardo fisso sui miei occhi finché non sono io ad abbassarli, le guance in fiamme. Qualcuno ha un estintore? La vergogna mi sta incendiando.

«Ti sono finite delle briciole tra i capelli», mi dice. «E sei in ritardo»
«Buongiorno, signor Royden. Ho avuto un imprevisto. Mi scuso per il ritardo».
Nessun imprevisto. Non ho sentito la sveglia.
Mi passa accanto mentre scuote la testa. Temo non si sia bevuto la scusa dell' imprevisto.
«La puntualità non è il tuo forte», commenta. «Così come le bugie».

Non so cosa dire, dunque resto paralizzata sulle scale. Osservo le sue spalle larghe che si allontanano per poi fermarsi vicino ad un fuoristrada nero dai vetri oscurati.
Evan si volta verso di me e ho un sussulto. Mi sento come una bambina beccata con le mani dentro la marmellata.
«Sali in macchina», ordina.
Sta parlando con me?
«Io?», mi indico il viso.

Risponde roteando gli occhi al cielo, poi sparisce dentro il veicolo. Sì. Parlava con me.
Scatto in avanti come una molla, apro la portiera e mi siedo sul sedile del passeggero, cercando di nascondere la mia eccitazione. Forse è la volta buona.
Forse finalmente ha intenzione di farmi fare qualcosa di più emozionante del caffè.

«Dove andiamo? Che succede? Perché non sono già in mezzo alla polvere dell'archivio?».
Presumo di aver fallito nel nascondere l'eccitazione.
«Non ti emozionare troppo, agente Kelley. Sei l'ultima persona che avrei voluto portare con me questa mattina, ma pare che qualcuno in cielo faccia il tifo per te».
Oh. Se prima stavo sorridendo, adesso le mie labbra si serrano. Lo ucciderebbe essere gentile una volta ogni tanto?
«Cristina ha avuto un incidente ed è bloccata al pronto soccorso. Per questo sei qui», infierisce. «Non avevo altri agenti disponibili».

Studia la mia espressione, gli occhi duri ed il viso imperscrutabile. Capisce che non ho intenzione di degnarlo di una risposta, quindi tira fuori dal cruscotto un paio di occhiali da sole e li sistema sul naso dritto prima di partire.
Lo odio. Questa è la mia unica certezza.

Mentre ci muoviamo per le strade di Boston, gli lancio un'occhiata attraverso il riflesso del finestrino. È incredibilmente concentrato, gli occhi fissi sulla strada davanti a noi. Sono le mani strette sul volante ad attrarre la mia attenzione: dita lunghe e affusolate, il segno di una sottile cicatrice bianca ad interromperne la perfezione. Al tempo stesso è un dettaglio che pare trasmettere il suo aspro carattere perfino alle sue mani.

NON SONO UNA SPIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora