Voglio evaporare

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Da quando mi sono trasferita a Boston ho imparato molte cose. La più importante? Mai trasferirsi in una nuova città senza prima aver fatto scorta di assorbenti. Ebbene sì. Sono essenziali. Soprattutto quando le tue mestruazioni arrivano in anticipo e ti ritrovi in pigiama al supermercato, con solo un giaccone a coprirti dalla pioggia che cade a dirotto.
Cammino tra gli scaffali, i capelli zuppi. Non mi aspettavo una tempesta improvvisa, accidenti.

Mi sento come un gatto randagio che è caduto dentro una pozzanghera. Lancio nel carrello gli assorbenti e passo al mio reparto preferito: cibo spazzatura.
Ne ho bisogno.
Patatine, patatine al formaggio, cioccolato al latte, cioccolato fondente. Oh, accidenti! Devo prendere anche le ciambelle al cioccolato.
Tornerò alla mia dieta sana ed equilibrata domani.

Sto cercando di raggiungere dei biscotti con le gocce di cioccolato bianco da uno scaffale troppo alto quando una mano mi passa accanto alla testa e afferra proprio l'oggetto dei miei desideri.
Mi porge la scatola e l'afferro: «Grazie», sorrido e alzo lo sguardo. Rischio di morire sul colpo nel momento in cui la faccia di Evan Royden s'introduce nel mio campo visivo.
Stiamo scherzando?

Vengo in questo stupido supermercato sempre ben vestita e pettinata e oggi che sono un sacco dell'umido ambulante incontro lui?
Mi pare di vedere la scena a rallentatore: lui mi guarda. Anzi, no. Non guarda me. Osserva la mia faccia senza trucco, i capelli neri bagnati e appiccicati alle guance, il pigiama con i cuoricini.

Poi passa in rassegna il mio carrello: un tripudio di assorbenti e cibo poco salutare. Questa sì che è una vera e propria opera d'arte dell'imbarazzo.
È davvero uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita.
Forse il peggiore.
Appunto nella testa un nuovo consiglio per la me del futuro: mai più scappare in pigiama al supermercato. Mai più.

Sorrido e fingo che tutto sia normale: «Buonasera», gracchio. Nemmeno la mia voce collabora. «Anche lei fa la spesa?».
Ma che diavolo sto dicendo?
È ovvio che fa la spesa.
Riempirà di certo il carrello di proteine per far crescere quei muscoli.
«Pare sia indispensabile per sopravvivere», ribatte, palesemente divertito. Il mio imbarazzo gli mette il buon umore.

È proprio una brutta persona.
«Sì. Ovvio, signore», muovo un passo per allontanarmi da lui e dal suo profumo invitante. È sempre perfetto.
A differenza mia, è anche ben vestito. Indossa un paio di jeans dal taglio rilassato e una maglietta di cotone bianca, coperta in parte da una giacca di pelle marrone scuro. «Beh, adesso devo proprio scappare. È stato un piacere incontrarla, signore. A domani»

«Dimentichi il carrello», ghigna. Sta ridendo internamente con la sua risata malefica.
«Oh, giusto», la mia faccia si sta sciogliendo sotto il calore della vergogna.
Recupero la mia spesa e lo saluto con un mezzo inchino per poi scappare letteralmente in direzione della cassa.
Voglio evaporare come l'acqua.

La situazione si fa ancora più imbarazzante quando me lo ritrovo dietro in fila. Si gode lo spettacolo dei miei prodotti che rotolano verso il cassiere. Uno, due, tre vaschette di gelato. E quando ho preso tutte quelle gommose rosa?
E perché ci sono quattro pizze surgelate nel mio carrello?
Al diavolo.

Pago con lo sguardo basso e metto tutto dentro le buste di carta, quindi mi avvicino alla porta. Vedo già oltre le vetrate la pioggia che mi attende per darmi il colpo di grazia.
«Ti do un passaggio».
Come?
Non credo di aver sentito bene.
Nella mia immaginazione Evan Royden si è appena offerto di darmi un passaggio.

Mi giro e lo trovo proprio dietro di me, la carta di credito ancora in mano. Non mi toglie gli occhi di dosso mentre paga.
Il mio cuore inizia a battere più velocemente, e sento una fitta di emozione all'addome. Sta per succedere davvero?
Raccoglie la sua spesa e si avvicina, sovrastandomi con la sua altezza: «Andiamo?»
«Non è necessario, signore. Grazie mille», provo a fuggire, ma mi blocca in meno di un secondo: «Sappiamo entrambi qual è la scelta giusta da fare, agente Kelley», lo sussurra piano, vicino al mio povero orecchio intimidito. «O preferisci prenderti un ulteriore malanno?»

«No, signore»
«Allora vieni con me», spinge la porta in vetro e mi lascia passare per prima. Nemmeno lui ha l'ombrello, motivo per cui ci muoviamo sotto la pioggia a passo svelto.
Riconosco subito il suo fuoristrada nero e schiudo le labbra quando mi libera dei sacchetti e mi apre la portiera. Entro in auto silenziosamente mentre lui sistema ciò che abbiamo comprato nel bagagliaio.

Raggiunge il sedile del guidatore ed è zuppo d'acqua, la maglietta interamente attaccata al suo addome scolpito. Mi perdo un istante a osservare i suoi capelli scuri e le gocce che scivolano lungo i lineamenti duri del suo viso.
Mette in moto e non gli dico dove abito. Lo sa fin troppo bene.
Evito di fissarlo ancora e apro bocca per dire qualcosa di sensato: «Grazie, signore. Non mi aspettavo un temporale imminente».

Annuisce e basta. Non è di molte parole. Io invece mi sento una gran chiacchierona nel panico.
«Vive qui vicino, signor Royden?»
«Più o meno», imbocca una strada fin troppo trafficata che non conosco. Beh, non conosco ancora nessuna strada in particolare in realtà.
«Casa sua è molto accogliente», non so cosa accidenti io stia blaterando. «Insomma, è un appartamento molto carino. Amo le vetrate in corridoio. Non mi sono ancora ambientata del tutto qui a Boston, ma devo dire che l'appartamento che mi è stato assegnato mi aiuta molto»

«Piacciono anche a me», conferma.
«Cosa?»
«Le vetrate in corridoio», mi schiocca un'occhiata e accenna un sorriso di circostanza.
Immagino che si sia già pentito della sua offerta di aiuto.
«Ho notato che la porta della dispensa non chiude bene», dico. Non so perché l'ho detto.

Si gira a guardarmi e inarca un sopracciglio: «Davvero?»
«Sì. C'è qualcosa che non va con la maniglia»
«C'è altro?»
«No, signore».
Torna a concentrarsi sulla guida, l'espressione assorta in chissà quali strani pensieri. Io smetto di dire cose inutili e mi limito a guardare la strada che scorre.

Raggiunge il parcheggio sotterraneo del palazzo e apro la portiera, pronta a respirare nuovamente lontano da lui. Credo di aver trattenuto il fiato tutto il tempo.
«Grazie ancora, signor Royden», lo saluto e corrugo la fronte quando apre la portiera e scende dalla macchina. Ehm, che succede?
Lo seguo con lo sguardo mentre apre il bagagliaio e prende le buste con la mia spesa, poi fa il giro dell'auto e fa un cenno del capo in direzione delle scale.
«Diamo un'occhiata alla porta della dispensa», e mi fissa fino a quando non mi scanso per farlo passare.
Dovrei seguirlo, ma mi concedo un attimo per riprendermi. Mi tremano le gambe.
Evan Royden sta per entrare in casa mia.
Muoio.

Buonasera!
Come state?
Finalmente sono riuscita ad aggiornare 🤯
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e mi auguro che siate pronti per il prossimo 😂
Aspetto i vostri commenti! 😍
Un bacio grande e a presto ❤️

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