Non è un gioco

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Se il mondo potesse inghiottirmi, proprio in questo istante, glielo lascerei fare volentieri. È uno di quei momenti in cui preferirei lottare a mani nude contro un drago piuttosto che affrontare la realtà. Sono sull'auto di Evan da meno di trenta secondi e già avverto nell'aria la tempesta che si scatenerà a breve. Più che un mezzo di trasporto sembra un campo di battaglia. Evan non parla, ma l'aria nell'abitacolo è impregnata della sua furia compressa e a stento trattenuta. Non mi guarda, come se temesse di farmi esplodere il cranio se solo i nostri sguardi si incrociassero.

Guardo fuori dal finestrino e aspetto. Non so esattamente cosa io stia aspettando, ma sono sicura del fatto che qualcosa arriverà.
Una sfuriata. Un rimprovero. La minaccia di spedirmi dritta a New York.
Lui in tutta risposta guarda avanti in modo ostinato e temo che possa ridurre il parabrezza in mille pezzi con solo la forza del pensiero. Ogni tanto la sua mascella si irrigidisce e stringe il volante con una tale forza da mettere in evidenza le vene sulle mani. Si sta trattenendo. È ovvio. Vorrebbe abbandonarmi sul ciglio della strada per poi non rivedermi mai più.

Il suo silenzio mi tortura più di mille parole.
Parlami. Di' qualcosa.
Vorrei rompere il ghiaccio, ma temo di accendere una miccia accanto ad una bomba ad orologeria.
«Signor Royden», trovo il coraggio di parlare. La mia voce gli fa serrare ancora di più la mascella squadrata.
Ho paura. Posso dirlo?
«Posso spiegare», dico.
Non mi risponde. Accelera per sorpassare un'auto e poi un'altra. Credo abbia fretta di riportarmi a casa.

«Non volevo rovinare nulla. È solo che...»
«È solo che cosa, agente Kelley?», m'interrompe, le parole energiche come saette infuocate. «Che hai deciso di fare quello che ti pare senza pensare alle conseguenze?»
«Ho pensato che potesse esserci utile», annaspo.
«Utile? Utile come, esattamente? Ti sembra una mossa da professionista?»
«Lui potrebbe darci molte informazioni», mi difendo. «Credo che sia la sua guardia del corpo. Se io mi avvicinassi a lui potrei...»

«Non erano questi i piani, Althea», sibila. «Non. Erano. Questi. I. Piani», scandisce bene le parole, stringendo sempre più forte il volante.
«Capisco che lei sia arrabbiato, signor Royden, ma...»
«Arrabbiato?», una risata gelida mi fa accapponare la pelle. «Hai messo a rischio l'intera missione e stravolto tutti i miei fottuti piani. Credi davvero che io sia solo arrabbiato, Althea?».
No. Arrabbiato è un eufemismo.
«Mi scusi», abbasso lo sguardo sulle mie mani giunte. «Pensavo di aver fatto una mossa intelligente per essere in vantaggio su di loro. Pensavo che fosse più prudente e meno sospetto avvicinarsi a lei attraverso la sua cerchia di fiducia. E Matthew sembra uno dei suoi uomini più fidati. Non pensavo di commettere un errore così grave. Insomma, è solo un numero di telefono... Probabilmente non mi chiamerà nemmeno»

«Solo un numero di telefono», ripete piano. Scuote la testa come se avesse appena sentito l'assurdità del millennio. «Hai idea di chi sia quell'uomo? Quali informazioni potrebbe ottenere da te e come potrebbe usarle contro di noi?»
«No, signore».
Mi parla con fermezza e arroganza, le parole sgorgano dalle sue labbra come comandi militari. Dovrei essere abituata a questo trattamento, ma i miei occhi pizzicano.
«Hai messo a rischio la tua sicurezza!», il suo sguardo mi scava dentro come una lama affilata.
«Mi dispiace»
«Le tue scuse non mi servono a niente», ribatte con tono gelido. «Le tue azioni hanno delle conseguenze, agente Kelley. Non puoi permetterti di agire con tanta leggerezza. Non hai più sei anni».

Annuisco, sentendo il rimorso stringermi il cuore come una morsa implacabile. Basta. Ti prego.
Non voglio piangere.
Non ora.
«Hai violato il protocollo di sicurezza più basilare. Dare il tuo numero personale ad un potenziale nemico è una negligenza inaccettabile. Ma cosa ti hanno insegnato a New York?».
Non rispondo. Non so che dire e temo di scoppiare in lacrime se solo aprissi bocca.

NON SONO UNA SPIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora