La festa è finita

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Mi manca l'aria.
Non respiro.
Mi tremano le gambe, le mani, il cuore.
Forse sto per svenire.
Rigiro tra le mani la divisa da cameriera e lancio un'occhiata a Evan. Sta tenendo un telo sollevato per proteggermi dagli sguardi di tutti mentre mi cambio. È troppo vicino. Inizio a sfilarmi l'uniforme che indosso e maledico le mie dita che non smettono di tremare.

«Un mio contatto ti farà entrare dalla porta sul retro. L'ho già informato del tuo arrivo», mi spiega. Punta lo sguardo sul mio viso ed io mi sforzo di guardarlo negli occhi, le guance in fiamme. Sono mezza nuda dentro un furgone pieno di uomini coperta da un telo tenuto in alto dal capo del dipartimento che, tra le altre cose, è pure un bel giovane uomo. Se lo avessi incontrato al supermercato o in un pub o in qualsiasi altro luogo ci avrei provato con lui, lo ammetto.

«Entra, raggiungi la festa, prendi un vassoio e muoviti tra gli ospiti. Non devi mai abbandonare la tua copertura, nemmeno quando noi saremo dentro. Sei una cameriera. Punto», il suo sguardo non si tradisce nemmeno per un istante. Potrebbe guardarmi il reggiseno con un battito di ciglia, ma si comporta come un perfetto gentiluomo. Non guarda altro che i miei occhi impauriti.
Spero non legga il panico nella mia faccia.

«Va bene», a malapena riconosco la mia voce agitata.
«Devi essere discreta, invisibile. Lì dentro è pieno di brutta gente. Non attirare l'attenzione per nessuna ragione al mondo»
«Non ho intenzione di mettermi a ballare sui tavoli e bere tequila nuda fino a svenire sul pavimento, non si preoccupi», mi blocco con la camicia aperta sul petto quando mi rendo conto della risposta che ho dato. È l'ansia che mi fa dire cose sceme. Accidenti. Qualche collega ridacchia mentre Evan inarca un sopracciglio e mi fissa fino a quando non gli porgo delle scuse.

«Ricorda che i tuoi occhi adesso sono i nostri occhi. Devi mostrarci tutto. Entra anche in diverse stanze, se riesci»
«Ricevuto, signore», chiudo i bottoni della camicia e indosso anche la gonna. «Sono pronta, signore».
Lui si libera del telo mentre io mi abbasso per allacciare le scarpe dotate di tacco a spillo. Sciolgo i miei capelli e li lascio cadere liberi sulle spalle, poi mi paralizzo nel notare l'interesse scientifico di Evan nei confronti di ogni mio movimento.
Mi mette ansia. Perché mi guarda così?

«Vai», mi dice. Apre il portellone posteriore e mi aiuta a scendere tenendomi per mano. Lo ha fatto anche con Cristina prima e probabilmente lo farebbe con chiunque altro, ma non posso fare a meno di sentirmi avvampare nel sentire il suo palmo grande contro il mio.
«Vado», parlo più con me stessa che con lui.
«Niente errori»
«Niente errori», ripeto. Lo saluto in modo formale e poi mi dirigo in fretta verso il centro estetico. Il cuore ha intenzione di sfondarmi la gabbia toracica, ma fingo di stare bene.

Più mi avvicino al retro dell'edificio e più sento della musica jazz suonare in sottofondo. All'angolo della strada c'è un uomo con dei tatuaggi sulla faccia e i capelli biondi legati in un bun disordinato. Quando mi vede getta a terra la sigaretta che stava fumando e mi trascina per un braccio: «Entra», apre la porta ed io traballo sui tacchi. È questo il contatto di Evan?
Non ha l'aria di un agente.
Anzi, sembra un malvivente in piena regola.
Subito in corridoio si parano davanti a noi due uomini ed è il biondo a parlare prima che loro possano dire qualsiasi cosa: «È con me. A quanto pare serve più personale del previsto».

Loro annuiscono, ma uno di loro si avvicina per controllarmi.
Mi tocca le gambe, i fianchi, le braccia.
«È pulita», sentenzia prima di lasciarmi andare.
Io trattengo un conato di vomito e seguo il nostro collaboratore. Che paura. Alla mia emicrania non piace la piega che ha preso questa serata.
Lui apre un'altra porta e si scansa per farmi entrare, gli occhi talmente chiari e vuoti da sembrare ghiaccio: «Non metterti nei guai», mi dice, poi proseguo la mia avventura da sola.

NON SONO UNA SPIAWhere stories live. Discover now