Di male in peggio

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Non voglio morire.
Non voglio morire.
Non voglio morire.
L'aria sibila nelle mie orecchie, il casco mi stringe il cranio e i miei occhi non riescono a stare aperti.
Chiaramente io ed Evan Royden stiamo per morire. Meraviglioso. Fantastico. Magico.
Un bellissimo modo per porre fine ai miei giorni.

Per quale stupido motivo ho deciso di accettare il suo passaggio? Perché non sono rimasta ad ingozzarmi e a bere insieme ai miei colleghi?
Fingo di non avere paura e ricaccio indietro un gridolino di terrore causato da una brusca curva. Sto rischiando la vita solo per aver ficcanasato nella vita del signor Royden.
Spero ti serva da lezione, Althea.

Mi aggrappo saldamente al busto di Evan e apro un solo occhio per controllare la situazione: i due uomini di prima sono dietro di noi e non hanno l'aria di volerci mandare un bacio.
Mentre Evan sfreccia tra le strade di Boston con una lucidità e maestria disarmante io sento di poter svenire da un momento all'altro. Una curva stretta fa inclinare la moto e questa volta mi concedo un urlo che strappa una piccola risata al signor Royden. Sento il suo stomaco abbassarsi e sollevarsi sotto le mie mani.

Sta ridendo?
Sta davvero ridendo?
È pazzo.
Siamo in bilico tra la vita e la morte e lui si diverte con il pericolo.

Lancio uno sguardo verso i nostri inseguitori e la tensione cresce nel notare il loro motore sempre più vicino. «Sono troppo vicini!», non riconosco nemmeno la mia voce colma di panico.
Evan non risponde. Continua a rimanere concentrato sulla strada, inclinando la moto in modo aggressivo ad ogni angolo.
Stringe il manubrio con determinazione, la presa ferma e sicura. In qualche modo la sua presenza fa credere al mio cervello che tutto andrà bene.

La moto sbanda a causa dell'ennesima curva stretta, ma lui riesce a raddrizzarla abilmente. Non so come sia possibile, ma mi aggrappo a lui con più forza di prima.
Non so cosa aspettarmi, ma fidarmi di Evan, in questo momento, è la mia unica opzione.
«Ci siamo quasi», mi rassicura con tono calmo. «Sei al sicuro»
«Al sicuro?», il panico toglie tutti i miei freni inibitori. «Due uomini quasi sicuramente armati ci stanno seguendo mentre andiamo ad una velocità decisamente non consentita dalla legge ed io dovrei sentirmi al sicuro, signor Royden?»
«Sì?»
«No!», grido.

Ride ancora.
Lo odio.
Imbocca una strada trafficata ed Evan continua a guidare con destrezza, zigzagando tra le auto. Accelera ancora di più e alcuni passanti che erano sulle strisce pedonali si scansano terrorizzati.
Non posso assistere a tutto questo. Davvero. Non lo reggo.
Premo la guancia contro la giacca di Evan e chiudo gli occhi, fingendo di essere solo dentro un brutto sogno.

Li riapro solo quando sento la moto fermarsi nel parcheggio di un luna park colmo di gente. Dei malviventi di prima non c'è più traccia. Vorrei assicurarmi della loro assenza con più attenzione, ma il signor Royden non mi concede del tempo per riflettere. Senza una parola, si libera del casco e poi inizia a sganciare con cura il mio. Gli occhi scuri fissi nei miei e i nostri volti così vicini da poter sentire i nostri respiri intrecciarsi. Sto tremando.

Il casco si solleva lentamente, svelando i miei capelli scuri ormai tutti scomposti. Adesso che entrambi siamo a viso scoperto, Evan ripone i caschi nella moto con gesti precisi per poi fare un cenno del capo in direzione del Luna Park.
«Dobbiamo andare», mormora, gentile e quasi premuroso. Forse la mia faccia sconvolta lo ha impietosito parecchio.
Annuisco, ma non mi muovo. Mi tremano le gambe in modo esagerato.

«Althea», mi chiama. «Dobbiamo andare», ripete per poi prendermi la mano ancora una volta questa sera.
Non riesco a parlare mentre mi lascio guidare da lui in mezzo alla folla. Non so cosa stiamo facendo. Non voglio nemmeno saperlo. Forse il mio mutismo lo preoccupa perché si gira più volte a controllare la mia espressione prima di parlare: «Sei al sicuro, Althea. Va tutto bene».
Faccio segno di sì con la testa, ma le mie tempie stanno già iniziando a pulsare a causa della scarica di adrenalina.

«Questa cosa non era prevista», mi dice mentre facciamo lo slalom tra la gente, mano nella mano. «Non ti avrei mai portata con me se lo avessi saputo»
«Chi erano quelle persone?»
«Nessuno», si ferma davanti ad un edificio sinistro e decadente: una casa stregata. «Entriamo», ordina. Non attende una mia risposta per trascinarmi oltre la soglia di legno logoro per ritrovarci in un corridoio buio, illuminato dalla luce debole che filtra dalle finestre coperte da tende.
Ho i brividi.
Di male in peggio. Sul serio.

Percorriamo il corridoio finché Evan non scova una scala che conduce alle fondamenta.
«Signor Royden», bisbiglio. «Vorrei tornare a casa, se possibile»
«Ssh». Questa è la sua gentile risposta. Inutile dire che mi costringe a seguirlo giù per le scale. Ci ritroviamo in una stanza dal tetto basso con un'atmosfera umida e fredda. Dai fori tra le travi di legno riesco a vedere le gambe delle persone che passano davanti alla casa stregata senza fermarsi. Ci accucciamo tra le vecchie travi di legno e le pietre, sul prato umido.

Nelle viscere della casa stregata io respiro affannosamente, cercando di soffocare il suono dei miei battiti accelerati. Sono successe troppe cose e in poco tempo.
Mentre il Luna Park vibra di gioia e spensieratezza, io ed Evan ci troviamo nascosti e in silenzio, con i corpi fin troppo vicini.
Fa tutto questo caldo nelle case stregate?
Chiedo.

Posso sentire il respiro controllato del capo dipartimento, la sua vicinanza trasmette un calore che sfida l'umidità del luogo in cui ci troviamo. Mi giro leggermente verso di lui, trovando il suo sguardo tenebroso nell'oscurità.
«Non è esattamente il luogo in cui avevo immaginato di passare la serata», ammetto per smorzare la tensione.
Lo vedo sorridere leggermente e le mie gote vanno in fiamme. Aiuto. «Avevi altri piani, agente Kelley?», si sistema meglio sul prato, sfiorando accidentalmente il mio ginocchio con il suo.

Cerco di mantenere un minimo di compostezza, ma la mia voce incerta mi tradisce: «Pensavo a qualcosa di meno avventuroso, ecco. Una serata tranquilla»
«Avresti avuto la tua serata tranquilla se non fossi venuta a cercarmi»
«Io non sono venuta a cercare lei, signor Royden», ribatto in fretta. Bugiarda.
«Cosa stavi facendo, allora?», la sua voce è un riverbero nel buio.

«Mi stavo guardando intorno», borbotto. «Volevo vedere meglio il locale».
Un ghigno scettico curva le sue labbra: «Sì, certo».
«Perché avrei dovuto?», chiedo con un filo di sfida.
«Non lo so. Dimmelo tu»
«Cosa dovrei dire?»
«Perché mi cerchi sempre, Althea?»
«Io non cerco proprio nessuno», rido nervosamente. Ringrazio la poca luce che nasconde la mia faccia rossa.

Sta per ribattere, ma qualcosa oltre la fessura davanti a noi attira la sua attenzione. Mi preme la mano sulla bocca con uno scatto veloce e mi invita a fare silenzio poggiandosi un dito sul naso. Annuisco terrorizzata e torno a respirare quando mi libera le labbra.
«Mi dispiace per la tua serata tranquilla, Darlene», sussurra. «Mi farò perdonare», poi tira fuori una pistola e fuori dalla casa stregata si scatena il caos.

Haloaaaa!
Come state?
Spero bene.
Vi sono mancati questi due psicopatici?
Spero di sì.
Cosa ne pensate di questo capitolo? Che sta succedendo?
Sappiate che il discorso in sospeso tra i due andrà avanti 😈
Fatemi sapere cosa ne pensate e cosa vi piacerebbe vedere tra i due protagonisti.
Un bacio grande e grazie per il supporto ❤️

NON SONO UNA SPIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora