Ghiaccio al sole

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Sono in piedi davanti ad un edificio fatiscente, in una strada davvero poco illuminata e con due cartoni di pizza tra le mani. Il vento della sera mi fa rabbrividire mentre osservo Evan che avanza in direzione di una scala antincendio. Sale i gradini e si ferma al terzo piano, poi corrugo la fronte quando scavalca la ringhiera di ferro per raggiungere con un balzo leggero il balcone del condominio vicino.

Scavalca il parapetto con un'agilità invidiabile ed io rimango a fissare ogni suo gesto con la bocca spalancata. Più che un agente di polizia sembra un ladro in piena regola. Nella penombra lo vedo tastare con le dita il muro. Credo abbia trovato una chiave perché armeggia con la serratura di una portafinestra prima di aprirla. Sparisce dentro casa ed io vengo un po' colta dalla paura. Non mi sembra un bel quartiere. Mi guardo le spalle e sposto il peso del mio corpo da un piede all'altro.

Stringo il cartone delle pizze come se fosse un'ancora di salvezza. La mia mente comincia a fantasticare su tutte le brutte persone che potrebbero sbucare da dietro l'angolo, ma cerco di scacciare quei pensieri. Il signor Royden non permetterebbe mai che mi accadesse qualcosa di brutto. Credo. Spero.
Dopo pochi minuti, che sono sembrati un'eternità, finalmente il portone principale si apre, rivelando il viso rassicurante di Evan. Non gli dico di essere felice di vederlo.

Lo seguo per delle scale ripide e fin troppo silenziose. Sembra un condominio fantasma e questo mi mette ansia.
Il mio orrore cresce a dismisura non appena Evan si scansa per farmi entrare in casa e scopro che si tratta di un monolocale.
Una stanza. Un letto matrimoniale ricoperto da cuscini colorati con accanto un comodino con una lampada da lettura. Una piccola cucina arredata in modo essenziale, con armadietti e ripiani in legno chiaro. Davanti al piccolo frigo c'è un tavolino basso in legno massello e su di esso una lampada da tavolo diffonde una luce soffusa.

Dovrò passare davvero la notte con lui. Non ci separeranno nemmeno i muri. A meno che io non decida di dormire in bagno.
Non c'è neanche un piccolo divano o una poltrona. Niente di niente. Forse dovrei davvero cercarmi un hotel.
«Hai intenzione di rimanere qui pietrificata ancora per molto?», Evan mi desta dallo shock. Non mi ero resa conto di essere rimasta immobile davanti all'ingresso. Muovo qualche passo in avanti e deglutisco quando chiude la porta e lo spazio mi pare ancora più ristretto.

«Qualcosa non va, agente Kelley?», sorride beffardo. Ha di certo capito che lo spazio ristretto mi sta mandando in crisi. Infatti, poco dopo aggiunge a voce più bassa: «Ti mette a disagio lo spazio limitato?»
«Un po' sì», ammetto. «Ma sono sicura che ci adatteremo»
«Ne sono sicuro anch'io», un ghigno sardonico ad abbellire il suo volto. Mi sfila le pizze dalle mani e le poggia sul tavolino, poi con un movimento sinuoso si libera della giacca, rivelando le linee definite del suo corpo.

Riprenditi, Althea.
Mi sfilo anch'io il soprabito e mi muovo impacciata nel mio abito fino al tavolo. Il nostro abbigliamento stona profondamente con l'ambiente in cui ci ritroviamo.
«Siamo qui dentro legalmente?». La mia domanda lo fa sorridere. Recupera una bottiglia d'acqua e tira fuori dal frigo delle lattine di coca. Ogni movimento è impregnato di sicurezza, la postura regale, con la schiena dritta e le spalle larghe.

«Sono il legittimo proprietario di questo posto, se è questo che ti preoccupa»
«Scusi. È che l'ho visto saltare da una scala a un balcone come Arsenio Lupin e mi è venuto il dubbio».
Si siede davanti a me, l'angolo delle labbra leggermente sollevato: «Siamo qui legalmente».
Annuisco, non del tutto convinta. Prendo un pezzo di pizza e lo addento, cercando disperatamente di rilassarmi. Mi sento tesa come una corda di violino.

È tutto così... Strano. Un'ora fa mi stava ringhiando addosso e adesso stiamo mangiando una pizza in un monolocale vestiti come se avessimo partecipato ad una serata di gala.
«Non volevo rovinare i suoi piani», trovo il coraggio di dire.
«Sto cercando di non pensarci, Althea»
«Scusi», riempio la bocca con un pezzo di pizza. «Pensavo davvero di fare una cosa intelligente»
«Senza prima esserti consultata con me», sottolinea.

NON SONO UNA SPIATempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang