1. I postulati

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Non sono mai stata brava a parlare con gli altri, a intrattenerli o anche solo a scambiare poche parole.
Tengo i pensieri nella mia testa in un'attesa che forse non finirà mai.
Sono sempre stata una ragazza silenziosa abituata ad ascoltare gli altri; ho capito, però, che non serve stare zitta per reprimere le proprie idee.
Queste vengono sempre a galla, non importa quanto tu le spinga in profondità. Si vedono nelle azioni, nello sguardo, nell'abbigliamento. Qualche parola in meno non basta a cancellare una persona anche quando essa lo vorrebbe disperatamente.

La mia storia cominciò un lunedì mattina.
Era ancora piuttosto caldo per essere settembre, una di quelle giornate di fine estate che lasciano nel cuore solo malinconia e nostalgia.
La scuola era cominciata da circa una settimana, ma già sembrava che le lezioni durassero da mesi.
Il clima in classe era fastidioso: chi pensava in grande sognava già la fine dell'anno scolastico, mentre coloro che volavano più in basso non vedevano l'ora delle prossime feste.
Io, dal mio canto, mi accontentavo solo di sentire la campanella d'uscita.

Ormai era il terzo anno che passavo in quell'ambiente; difficile da credere, ma ne ero già stanca.
Alcuni mi definiscono tutt'oggi scostante e incontentabile. Penso che questi abbiano difetti peggiori.
Per di più, con la maggior parte dei miei compagni non avevo un buon rapporto: ci limitavamo a semplici saluti di convenienza, in alcuni casi solo a sbrigativi cenni della mano. Io non ero al loro livello e, per come loro credevano, non lo sarei mai stata.

La lezione che mi si prospettava davanti sarebbe stata noiosa, un'ora di ripasso su argomenti già ripassati.
Quella mattina, però, anche i più svogliati tenevano la testa alta e non perdevano una parola di ciò che il professore diceva. Ma i loro occhi non erano rivolti verso l'insegnante.
— Come stavo dicendo, lei è Emma Bacchi. Sarà una vostra nuova compagna. Emma, puoi accomodarti pure vicino a Castelli, in terza fila.

Infatti, quella mattina era arrivata in classe una nuova ragazza. Ora che mi era stata presentata, ricordavo di averla vista in cortile, poche ore prima, appoggiata con aria di disagio a una delle colonne del portico.
Non differiva in nulla dalle tante altre che frequentavano la scuola, con lunghi capelli castani e occhi scuri. L'abbigliamento, allo stesso modo, consisteva in un paio di pantaloni neri e una felpa.
Dal suo sguardo, però, traspariva un che di tranquillizzante.
Sembrava simpatica, nonché gentile e fine, ma qualsiasi pensiero di poter davvero fare amicizia con lei si sgretolò quando il professore la fece accomodare accanto ad Adele Castelli.

Adele.
Adele era una ragazza complessa, forse la personalità più indecifrabile che avessi mai incontrato in vita mia. Nonché la più difficile.
Adele, la ragazza con una cicatrice sulla guancia destra. Questa le segnava la pelle dall'orecchio fin sotto il mento, storpiandosi tutte le volte in cui apriva bocca.
È difficile accettare quando si è diversi, e non lo dico per esperienza, lo ho imparato semplicemente da Adele.
Per lei la cicatrice era stata sempre un fastidio, nonostante cercasse di ignorarla e di comportarsi senza nemmeno vederla.
Non avevo la minima idea di come si fosse procurata quel taglio e, a dirla tutta, non avevo mai voluto farle domande.
Io non volevo commiserare Adele per la cicatrice... E sapevo che lei non sarebbe stata il tipo da desiderare di essere compatita.

Inizialmente l'avevo creduta una ragazza fragile, timida. Come me.
Ma, purtroppo, non era andata così.
Mi si stringeva sempre il cuore ad ammettere che Adele era vanitosa e arrogante, falsa ma, a discapito, fin troppo reale. Le battute che mormorava al mio passaggio erano crudeli, ma non erano solo queste a renderla per me quasi insopportabile. Ricordate, alcune volte le parole sono inutili per esprimere i propri sentimenti e pensieri: si può essere in grado di ferire qualcuno anche solo con uno sguardo. E Adele ne era capace, eccome se ne era capace. Una sua occhiata riusciva a ridurre chiunque in cenere.
Adele sapeva essere anche ammaliatrice e melliflua; era bella, nonostante tutto, e sapeva come sfruttare le sue qualità.

Avevo creduto che il suo modo di essere, così odioso e impertinente, trovasse una spiegazione nella cicatrice. Ma alla fine avevo scoperto che non era così. Mi odiava e basta.
Eppure c'era stato un periodo in cui il rapporto fra noi due era... Ma non voglio essere troppo veloce, rivelandovi dettagli non adatti.

Emma, quindi, prese posto accanto ad Adele, che le sorrise amichevolmente. Ecco, era prepotente. Perché sapevo già che, una volta che Emma fosse diventata sua amica, non l'avrebbe lasciata andare così facilmente.
La lezione riprese, tra verbi latini e domande a chi era distratto.
Quando la campanella suonò, come sempre mi liberai a un sospiro di sollievo.
Infilai veloce libri e quaderni nello zaino, e già mi ero caricata la cartella sulle spalle quando mi sentii chiamare.

— Guidi, vieni qui un secondo.
Era stato il professore a pronunciare il mio nome; notai che accanto a lui vi era Emma.
Mi avvicinai senza capire.
— Bacchi è indietro con il programma di latino, non di molto, solo alcune lezioni. Io non posso però far perdere tempo alla classe... Per cui vorrei sapere se tu saresti in grado di spiegare a Emma questi argomenti.
Così mi fu chiaro che agli insegnanti ero apparsa troppo sola e isolata, poiché non vi erano ragioni per scegliere me piuttosto che qualche altro studente, più preparato e cordiale. Per esempio, Adele era brava come me, in latino, ed era inoltre la sua vicina di banco.
Evidentemente i professori, vedendo che non seguivo l'istinto socievole tanto comune fra i miei coetanei, avevano deciso di spronarmi verso quella strada.
Avevo sempre odiato il falso buonismo di chi si crede superiore, lo vedevo in ogni cosa e, più pensavo ai professori, più non lo sopportavo.

— Io... — mormorai, indecisa se accettare o meno un incarico che già mi pesava.
Il professore mi guardò invogliandomi ad accettare, forse solo per non fargli fare una brutta figura rifiutandomi di fronte a una sua proposta, mentre Emma mi sorrise.
— Va bene — acconsentii alla fine, mettendomi le mani in tasca.
L'insegnante sorrise, probabilmente soddisfatto di aver raggiunto i suoi scopi: — Allora vi lascio per accordarvi. A domani!
E così io ed Emma uscimmo dalla classe una accanto all'altra.

— Scusami, lo so che ti sei sentita obbligata — mi disse piano mentre guardava la punta delle scarpe. —Ma sono contenta che tu abbia accettato. Non conosco nessuno qui.
Fui tentata di consigliarle di rimanere una sconosciuta, poiché si avevano minori problemi.
Alla fine, però, non lo feci.
Scossi la testa: — No, nessun fastidio. È... È un piacere aiutarti. Allora, dove ci incontriamo?
Emma alzò le spalle: — A casa mia non avrei problemi, ma posso venire in qualunque altro posto, per cui scegli tu.

Dovevo accettare, poiché le alternative non erano molte altre: casa mia era fuori discussione, aveva già troppi problemi da sola, mentre la biblioteca della scuola era il luogo che più induceva a distrarsi.
Acconsentii alla sua proposta e così fissammo l'appuntamento per il giorno successivo a casa di Emma.
Non sapevo dire con precisione come mi sentissi: non mi pareva di aver fatto progressi sociali o altro di utile, ma allo stesso tempo non avevo nemmeno litigato con quella ragazza.
Probabilmente, però, tutto si sarebbe concluso allo stesso modo: una nuova amica per Adele e qualche ora persa per me.

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