2. Tangenti

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Rientrando a casa, l'odore di detersivo mi avvolse: nonostante fossero passate cinque ore, l'olezzo del bucato di mia madre era ancora insistente. Mi diressi in camera mia scuotendo la testa, consapevole del fatto che nessuno l'avrebbe mai fatta desistere dalle sue manie.

Mi cambiai velocemente i vestiti, per poi dirigermi in cucina. Mamma, come da logica, aveva lasciato in frigorifero varie vaschette contenenti ogni sorta di cibo, rigorosamente identificato con una etichetta.
Credeva che, nei pranzi che passavo da sola a casa, sentissi la mancanza della mia famiglia.
In realtà era tutto il contrario.

Sospirando, presi una qualsiasi delle vaschette e consumai così il mio pasto, che consisteva in una porzione dell'arrosto che mia madre aveva cucinato il giorno prima.
Era insapore e secco, dato che l'aveva cotto ieri per poco tempo e di fretta, nel breve lasso di tempo che vi era stato fra il suo ritorno dal lavoro e l'arrivo di mio padre.
E tutto per cosa? Per non ricevere nemmeno un sorriso, solo per mantenere delle sciocche apparenze.

Finii il pranzo in solitudine, sempre occupata da questi pensieri.
Evidentemente ero destinata a essere perseguitata dalle mie ombre.
A preoccuparmi, però, non era tanto il fatto di essere sola, ma come mi sarei sentita quando non lo sarei stata più. Era orribile vivere così.

Mamma tornò circa sei ore dopo, sempre impeccabile nonostante avesse alle spalle un'intera giornata di lavoro.
— Tra mezz'ora si cena, Caterina. Finisci i tuoi compiti — mi intimò. Dopodiché, cominciò a imbastire una cena abbondante, composta da primo, secondo, contorno e probabilmente anche qualche dolcetto.
Odiavo quando mamma preparava grandi pasti poichè nessuno riusciva mai a finirli, odiavo quando lavava vestiti che nessuno avrebbe mai messo, eppure non avevo mai avuto il coraggio di dirle tutto ciò. Avevo paura di rompere quel precario equilibrio tanto faticosamente mantenuto.
Dal suo tono leggero sembrava che avesse già dimenticato il litigio del giorno prima con mio padre.
Poco male, probabilmente avrebbe potuto rifarsi la memoria di nuovo quella sera; ora capite perché casa mia avesse già molti problemi da sola? Non passava un giorno senza una discussione, una battuta acida, qualcosa che rovinasse quel poco che era rimasto di buono.

Ma, sebbene i miei genitori passassero ormai giorni senza parlarsi, continuavamo a vivere come una famiglia apparentemente felice.
Quanto desideravo avere il coraggio di parlare chiaramente con entrambi per cercare una soluzione, ma non ne ero mai stata capace.
Finii così di leggere distrattamente il capitolo di fisica, sul quale avevo già fatto scorrere gli occhi una decina di volte senza riuscire a capire nulla.

Dopo esattamente trenta minuti, mamma mi chiamò borbottando.
Il tavolo era apparecchiato alla perfezione, la tovaglia bianca immacolata e le posate lucenti. Avevo più volte proposto di preparare la tavola al suo posto, ma a quell'offerta sembrava sempre quasi inorridire: non ne sarei mai stata in grado.
Mia madre aveva già servito le porzioni a entrambe, lasciando in caldo quella di mio padre; mi accomodai di fronte a lei aspettando papà.
Durante l'attesa, con un tono stanco, mamma mi fece alcune domande: — Hai passato una buona giornata?
Annuii, anche se più che a un cenno di assenso il movimento assomigliava a una scrollata di capo: — Come al solito.
Le sorrisi, quasi a volerla tranquillizzare e mettere fine a quel discorso di routine.
— Tutto a posto in classe? — Mamma sistemò il lembo della tovaglia, lisciando delle pieghe.
— Perfettamente.

Le dissi che il pomeriggio seguente sarei andata dalla nuova compagna per aiutarla e, in quel momento, sembrò davvero felice di avere una figlia come me. Il ritratto che davo era perfetto: buoni voti, tanti amici e un bell'aspetto. Cosa volere di più?
Ma se solo mi avesse guardata negli occhi avrebbe capito che c'era altro. O meglio, che mi mancava qualcosa... Che però lei non avrebbe potuto darmi; perciò era meglio così, farla preoccupare sarebbe stato inutile.

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