14. Errori

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Fermatevi un secondo. Andate nella vostra cucina per prendere da bere, anche solo un bicchiere d'acqua. Prima di continuare nella lettura, aspettate.
Sdraiatevi sul divano, infilatevi sotto le coperte, uscite per una breve passeggiata. Insomma, quello che desiderate.
Ciò che vorrei faceste è cercare di estrapolare una morale da ciò che finora vi ho raccontato.
Lo so quello che state pensando: "Non si fanno scherzi agli altri". Giusto, giustissimo.
Ma potete fare di più, secondo voi strappare la pagina di un libro è solo uno scherzo?
"Forse uno scherzo grave". Anche qui non posso contraddirvi.

Scherzi, scherzi. Sapete, io non ho mai collegato queste parole a un sentimento negativo.
Lo scherzo mi fa ridere, fa ridere tutti. Anche chi ne è vittima. Ne rimane un bel ricordo.
Vi posso assicurare che in nessuna delle serate che seguirono il secondo danno risi per quello che era accaduto. Mai.
In realtà non mi ero divertita nemmeno dopo il primo episodio.

E allora perché tutti, io stessa, tendevamo a definirlo uno scherzo? Come mai, se nessuno si divertiva e stava cominciando a durare troppo a lungo?
Di certo non era l'unica parola che conoscevamo. Provate a trovarla voi, una risposta.
Intanto, se siete ritornati nella vostra posizione preferita, impazienti o annoiati, io continuerò a dare la mia versione.

***

Non avevo stimoli. Non ricevo spinte verso il futuro. Per questo me li dovevo creare da sola, ma non sempre erano come sperati. Anzi, quasi mai.
A casa i rapporti erano precari, si alternavano giorni spensierati ad altri dove avevo paura anche solo di parlare. Non fraintendetemi, io amavo e amo la mia famiglia, ma qualche volta ne ho voluta una diversa. Credo la facciano tutti nella vita, vero?
Sarei stata più felice senza i problemi di comunicazione fra i miei genitori, ma per ora dovevo accettare quello che accadeva.
Si sente dire che i ragazzi più cattivi sono quelli con problemi in famiglia. Non credo sia così.
Persone con ottimi genitori sono state quelle che mi hanno reso la vita molto difficile, come Adele. Ma non parlo solo di lei.

A scuola, solo Davide era a conoscenza di ciò che era accaduto a casa negli ultimi giorni.
Non lo avevo raccontato a Emma. Non so dire il perché, se fosse sospetto o semplice vergogna.
Così, quando arrivai a scuola il giorno dopo, solo lui mi chiese informazioni sui miei genitori.
— Sei riuscita a far alzare bandiera bianca a entrambi? — mi domandò, non appena fui abbastanza vicina.
Scossi la testa. — Credo — cominciai. — Che l'unica ad arrendersi, alla fine, sarò io.
Davide chiuse la cerniera della giacca: — Ti ricordi di quando mio padre aveva litigato con mia madre, l'anno scorso? Hanno fatto pace dopo un mese e stanno ancora insieme.
Ricordavo quel periodo. Ma era una situazione totalmente diversa rispetto a quella che stavo vivendo io: avevano litigato per motivi economici, non perché non riuscissero a dire poche parole senza discutere.
Sorrisi comunque a Davide, grata poiché aveva cercato almeno per un momento di tirarmi su di morale.

— Non è la stessa cosa — dissi piano. — Io... Io dovrei riuscire a riunirli in modo permanente. Perché, se non risolvessi la faccenda fino in fondo, alla fine si ritroverebbero ancora a litigare.
Lui sospirò: — Quanti problemi che hai, Cat.
Lo guardai di sbieco: — Non è divertente. È tutto dannatamente serio.
— Ma non ti stavo prendendo in giro — si corresse lui. — È davvero la verità. Un giorno un bigliettino, dopo un po' la pagina del libro... E a casa...
Davide si interruppe.

Per qualche secondo non capii perché, ma non appena aprii la bocca per chiederlo direttamente a lui, tutto fu chiaro.
— Ciao, ragazzi! — Emma, sorridente e ottimista, si sedette sul muretto accanto a Davide.
Guardando prima me e poi il mio amico, Emma incrociò le braccia sul petto: — Allora, di cosa stavate parlando?
— Di... — cominciò Davide, ma questa volta fui io a interromperlo. Probabilmente non voleva certo rivelare a Emma l'argomento della nostra discussione, ma avevo già in mente una scusa valida.

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