18. Vista simmetrica

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Odio i momenti in cui non posso pensare lucidamente. In cui qualcosa non mi permette di prendere libere decisioni, di fare le scelte che desidero.
Troppe volte siamo condizionati, instabili, non riusciamo a seguire il nostro percorso.
Le emozioni cominciano a governarci e non siamo più noi a decidere, ma loro. Positive o negative che siano.
Il cuore prevale sulla mente, sempre. È inutile contrastarlo.

Quanti problemi che nascono dal cuore. Il cervello sarebbe così razionale, senza tali difficoltà. Ma anche molto più vuoto.
Infatti, di per sé le emozioni sono belle: viviamo di emozioni. Ma quando non si riesce più a gestirle diventa tutto così complicato...
Come credo abbiate già capito, io non ne sono stata capace.

Dopo il litigio con mio padre, mi chiusi in camera.
Avevo le lacrime agli occhi tanto le sue parole mi avevano fatto soffrire. E continuavano a farlo.
Avevo capito che per lui non valevo nulla, che ogni mia frase era come una brezza contro un uragano.
Come eravamo arrivati a quel punto? Solo poco tempo prima eravamo così uniti, e ora ogni parola causava un litigio.
Non avrei avuto la forza di spiegare a mia madre quello che era accaduto... Ma non dubitavo che mio padre avrebbe provveduto a farlo con la sua visione distorta. Si sarebbe arrabbiata? Con me o con lui?
Tante domande mi frullavano nella testa e nessuna risposta.
Volevo solo dormire e svegliarmi quando tutti i problemi si sarebbero risolti.

Mia madre arrivò un'ora dopo. Non appena entrò, fece un paio di domande a mio padre, che rispose evasivo come aveva fatto con me.
Sentii i suoi passi muoversi nelle altre stanze fino a quando, con un rumore secco, le sue nocche batterono sulla mia porta. E la mano che tentava invano di aprirla.
— Caterina? Cosa succede? Perché ti sei chiusa dentro?
Sospirai, asciugandomi le lacrime. Non sapevo cosa risponderle, ma ci pensò mio padre.
— Non c'è motivo. Lasciala stare. È grande abbastanza.
Mia madre ribatté decisa: — Non ha mai fatto queste cose.
Lui bofonchiò un — C'è sempre una prima volta — mentre con un passo pesante ritornava in salotto.

Mamma rimase davanti alla mia porta: — Vieni fuori, su.
Non risposi, sapendo che avrei detto sicuramente la frase sbagliata. In realtà non mi venne in mente nemmeno quella.
Mia madre continuò a parlarmi, cercando di convincermi: — Vado a preparare la cena. Ti chiamo fra mezz'ora.
Non so se ritornò. Nel giro di una decina di minuti mi ero già addormentata.

***

Quando l'indomani mi svegliai ero intorpidita, con il libro di latino appoggiato sul torace e bisognosa di una doccia.
Guardando l'orologio notai che erano circa le sei e mezza: sarei riuscita a prepararmi con tutta calma.
Probabilmente i miei genitori stavano dormendo, per cui quando uscii dalla stanza mi preoccupai di non fare rumore, ma non diedi peso all'ambiente attorno a me.
Eppure, non appena feci qualche passo, la porta della camera dei miei genitori si aprì.

— Caterina! Cosa stai facendo?
Mamma aveva i capelli scompigliati, gli occhi ancora socchiusi dal sonno. Eppure al minimo rumore era subito uscita.
Feci un passo verso il bagno: — Mi faccio una doccia. Tu ritorna a dormire.
— Non credi di dovermi spiegazioni?
Incrociai le braccia sul petto. Aveva parlato con mio padre? Quanto sarei stata disposta ad aprirmi? Poco, irrimediabilmente poco.
— Ero solo molto stanca, e avevo avuto una terribile giornata a scuola — ammisi alla fine. E non era del tutto falso.
Mia madre inarcò un sopracciglio: — Sul serio? E non hai pensato che ti avremmo potuta aiutare?

Loro? A papà nemmeno importava di quello che provavo! Mi avrebbe lasciata andare con qualche mugugno incomprensibile. E, forse, lo stesso avrebbe fatto mamma.
Sorrisi amara, ma lei nella penombra probabilmente non lo notò: — No, sono problemi miei. So gestirli.
— Non mi è sembrato, ieri — mi fece notare con una punta di orgoglio nella voce.
— È stata solo una brutta serata, ieri ho... dimenticato di studiare. Capita a tutti — ribattei, decisa a mettere fine a quel discorso il prima possibile.
Lei non appariva della mia stessa idea: — Tu mi hai fatto preoccupare perché non avevi studiato? Da quando sei diventata così infantile, Caterina?

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