7. Incognite

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Non voler cadere negli stessi errori. Cercare sempre di evitare qualcosa in cui, ogni tanto, si inciampa di nuovo.
Quei momenti in cui credi di non poter sbagliare perché l'hai già fatto in passato. Perché ci sei passata sopra e ti sei rialzata con cicatrici che ti ricorderanno per sempre i tuoi errori.
Ti ritrovi in uno stato di orgoglio, superiorità e sospetto, perché per essere felice devi tenerti lontana da tutto ciò che potrebbe farti soffrire.

Mi sentivo così, in quei giorni. Gli altri mi avevano già ferita, dunque io ora sapevo come evitare i loro colpi.
Ma anche i colori hanno diverse sfumature, alcune più ripugnanti da cui ci allontaniamo, altre migliori che invece ci attraggono. Eppure sono tutte stessa tinta. Io non lo avevo ancora capito... O forse non volevo crederci.

Qualche giorno dopo la festa io ed Emma ci ritrovammo, alla fine delle lezioni, davanti all'entrata dell'aula magna.
Una sola volta avevo dubitato sul frequentare il corso e aiutare per lo spettacolo, ma alla fine non avevo rinunciato.
Con Davide avevo ovviamente fatto pace. Sapevo che il motivo per cui avevamo litigato era stato banale, ma quel commento mi aveva colpita nel momento sbagliato, avevo perso per poco tempo la ragione. Le parole non sempre sono coerenti, basate sulla realtà. Forse perché chi parla non conosce tutta la storia, o forse perché, al contrario, ne conosce ogni aspetto.
Allo stesso modo, Davide aveva cercato di dissuadermi, sia con scuse futili e banali, sia con motivazioni che mi avevano seriamente fatto vacillare dal frequentare il corso.

Come prima cosa, aveva ribadito che io non ero in grado né di recitare, né tantomeno di cantare o ballare. Questa volta, però, aveva capito la lezione: i suoi modi erano stati estremamente gentili.
Ma, dato che ogni individuo davanti ai suoi limiti ha una reazione quasi protettiva, io avevo ribattuto che potevo fare benissimo anche altre attività.
Il fatto che non sapessi in cosa esse sarebbero potute consistere era di secondaria importanza.
Allora aveva cominciato a dirmi che non dovevo fare tutto quello che desiderava Emma, io avevo la mia mente e potevo decidere quello che volevo da sola. Che seguirla come un segugio non mi avrebbe portato a nulla.

Davide mi aveva sempre capita, in fondo. Anche tutt'oggi è così.
Raramente parliamo di quello che accadde quell'anno a scuola. Ogni tanto, però, i ricordi non possono fare a meno di riaffiorare, per quanto ognuno di noi cerchi di tenerli soppressi.
In quei casi, Davide in un modo o nell'altro cerca sempre di ricordarmi che lui aveva previsto tutto, mi aveva avvertito e io non avevo colto dei segnali che lui, invece, aveva visto benissimo.
Davanti a una tazza di cioccolata fumante e a otto anni passati, tutto non appare più piccolo, anzi: ricordo ancora perfettamente come mi sentii entrando nell'aula accanto ad Emma. Entusiasta, timida e con un pizzico di un sentimento che oggi potrei definire simile all'angoscia.
Angoscia, sì, perché volevo troppo da me stessa.

L'aula appariva enorme rispetto al manipolo di persone sedute nelle prime file. Alcune, alzate in piedi e con dei piccoli plichi di fogli fra le mani, si voltarono immediatamente non appena entrammo.
Il corso era organizzato da una docente con cui non avevo mai parlato, la professoressa Pareti.
Era una donna sulla quarantina, mingherlina e con sottili occhiali marroni appoggiati sul naso aquilino. I capelli corvini ricadevano lisci sulle spalle.
Quando ci vide, subito sorrise: — Voi dovreste essere Emma Bacchi e Caterina Guidi, se non sbaglio.
Noi annuimmo, salutandola

A lei si avvicinò anche un ragazzo che, dal piglio esperto e quasi abituato, dedussi essere agli ultimi anni. Era muscoloso, con i capelli arruffati e le guance paffute.
La professoressa continuò a parlare: — Fortunatamente lo spettacolo è ancora agli inizi, per cui potrete decidere con maggiore libertà il ruolo che vorreste avere. Vi lascio con Domenico, lui vi presenterà gli altri e il progetto.
Detto questo, la professoressa si diresse da un gruppo di ragazzi che, in un angolo, erano impegnati a scrivere al computer. In piedi e immersi in una discussione animata c'erano Lorenzo e Riccardo, i due che avevamo conosciuto alla festa. Ci fecero entrambi un cenno della mano, un sorriso contenuto sul viso.
Probabilmente Emma aveva deciso di partecipare solo perché loro erano lì, o allo stesso modo per fare nuove conoscenze. Non credo le importasse dell'attività in sé, come del resto valeva per me.
Quanto avremmo potuto essere realmente d'aiuto?

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