16. Soluzioni impossibili

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Non credo di aver mai avuto molte paure. Qualcosa di così grande da cambiarmi.
La maggior parte delle volte agisco non per timore, ma per rassegnazione.
Non credo che urlare il proprio dolore sia la scelta giusta, perché solo noi stessi possiamo capirci. Ma non sempre riusciamo ad aggiustarci: è a questo che servono gli altri.
Non credo di essermi meritata tante delle vicende che ho passato. Ma chi sono io per dirlo? La vittima non è mai oggettiva.
Se è per questo, però, nemmeno il carnefice.
Non credo di aver mai cercato aiuto. In modo esplicito.
Forse ho celato una richiesta dietro a uno sguardo, a una frase lasciata a metà che nessuno ha mai pensato di concludere.
Ma non sono io la persona giusta per farvi un discorso del genere. Perché nemmeno io credo di aver mai aiutato davvero qualcuno.
No, non credo.

***

È bello essere adolescenti? Avete molti amici? Non perdete tempo, pianificate il vostro futuro.

Parole simili, anche se in discorsi più lunghi e noiosi, mi erano state più volte rivolte, durante gli anni delle superiori, nell'ambito di progetti in cui intervenivano degli psicologi, incontri che duravano ore e non concludevano nulla.
Sapete, una volta il tema trattato era il bullismo. Frequentavo la prima: forse speravano che, parlando di certi argomenti già dal primo anno, ci saremmo comportati meglio.
Come vi ho già raccontato, non avevo avuto bei momenti con Adele e le altre ragazze, ma non ero mai arrivata a definire bullismo quello che era successo, e che ancora stava succedendo, con loro.
Infatti quell'incontro si rivelò noioso come gli altri, due ore passate a strofinare gli occhi e a guardarsi in giro.
Ciò che mi dissero, però, mi ritornò in mente due anni dopo.

Parla con gli altri. Non chiuderti in te stessa. Chiedi aiuto agli insegnanti. Non farti giustizia da sola.
La verità è che la cosa difficile non è sapere come poter avere aiuto, io stessa capivo che tutti quei consigli fossero giusti e sensati, nonostante banali.
Il problema era riuscire a seguirli. Nessuno dei miei insegnanti ci aveva mai offerto semplicemente un paio di orecchie pronte ad ascoltarci. Solo parole che ormai tutti conoscevano.
Rivolgersi agli amici era per me una soluzione inutile, in quanto loro avevano le mie stesse capacità.
In poche parole, io non facevo nulla. Subivo, subivo, soffrivo.
È stato questo il mio principale errore? Non lo so e, credo, non lo capirò mai. Sicuramente non è stata la scelta migliore.

Ogni tanto divento così malinconica, ripensando a quegli anni, e mi perdo in chiacchiere; magari avete saltato queste righe, intenti a cercare i prossimi trattini che segnaleranno un dialogo, oppure dopo l'ennesima riflessione avete deciso di chiudere definitivamente con questo racconto che aveva già cominciato ad annoiarvi.
Ad ogni modo, un tempo ero molto più leggera. E le cause del cambiamento, purtroppo, sono tutte qui.

Dopo quella giornata, la mia vita non andava altrettanto bene.
Mio padre era in procinto di partire e mamma particolarmente nervosa. Io, fra compiti e fogli accartocciati di poesie insoddisfacenti, non stavo di certo meglio.
Il pensiero dei tre danni già sopportati ritornava costante, spinto anche dalla voglia di sapere chi fosse il colpevole. Come sempre, i miei pensieri ricadevano su Adele o, in alternativa, su una delle ragazze della sua cerchia. Il motivo dei loro gesti era però il dubbio che mi assillava maggiormente.
Poteva essere il concorso di poesie... O magari era un modo per intimidirmi proprio quando mi sentivo più forte e avevo l'appoggio di Emma.
E poi c'era la pista del ragazzo. Quello da cui "dovevo stare lontana". Sebbene fosse la più logica, io ancora non capivo la necessità di ordinare a me, Caterina, di non vedere qualcuno. Perché già lo facevo.
Avevo talmente tante ipotesi, nella mia testa, che ormai ognuna mi sembrava una fantasia.

La sera del sabato seguente, quando papà era pronto per partire il mattino successivo, la cena fu silenziosa.
Ero stupita del fatto che un viaggio di tre giorni potesse creare un tale scompiglio. Nonostante quel subbuglio esterno fosse così rumoroso, quello dentro di me premeva molto di più.
Quando finimmo, papà mi salutò, dicendomi che al mattino sarebbe dovuto partire molto presto.
Fu strano il modo in cui mi diede la buonanotte: terribilmente lontano.

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