25. Certezze

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A questo punto del racconto, chiederei una pausa. Vorrei fermarmi un secondo per ragionare, per capire se sia necessario raccontare tutto quel miscuglio di emozioni che mi travolse pochi giorni dopo.
Credo si sia capito che sono timida, anzi, riservata. Che voglio che la mia vita riguardi poche persone, quelle vere.
Vorrei una pausa per riuscire ad andare a prendere una boccata d'aria, per staccare un secondo dal mio passato. Vorrei non vedere anche solo per una decina di minuti questi fogli.

Iniziano a diventare tanti, sapete? Carta stropicciata dal troppo toccarla, scritta fitta e, ogni tanto, con qualche piccola correzione calcata rispetto al resto delle parole, segnate con una grafia minuta.
Qualcuno mi ha chiesto cosa fosse quel piccolo plico di fogli che mi portavo costantemente appresso. Ho risposto svogliatamente, come se fosse un'inutile banalità, perché ho capito almeno questo: se un qualcosa per te non è interessante, non lo sarà nemmeno per la persona più curiosa del mondo. Perde importanza.

Spero che tutto questo non finisca nelle mani sbagliate. E che dalle persone giuste possa essere capito.
Speranze, dubbi... Sono piena di incertezze. Forse queste persone hanno abbandonato la lettura dopo le prime parole e ho tanti timori per niente.
Ma credo sia anche giusto non vivere solo di pensieri certi, perché prima o poi crolleranno come un castello di carte scosso da un soffio di vento.

Essere preparati per soffrire meno... Ragionavo e ragiono ancora così, ma non sempre si riesce a incassare bene il colpo.
Nell'abisso di indifferenza in cui ero caduta, credevo di poter ormai sopportare tutto, visto che non sentivo più niente.
Eppure, quando mi si presentò davanti l'ottavo danno, provai l'ennesimo tuffo al cuore.

Dopo che io e Stefano avevamo concluso il lavoro sul telo, ci eravamo divisi. Lui, infatti, aveva cominciato ad aiutare Brando, mentre io mi ero unita a Serena ed Eleonora per preparare i costumi.
Avevo già passato un incontro, quello del giovedì seguente, a selezionare vestiti, e devo ammettere che il compito mi era piaciuto. Le mie compagne erano divertenti, molto socievoli e gentili.
Non avevo avuto l'occasione di parlare con Stefano; il rapporto con lui era quasi come all'inizio, poche parole di convenienza che si riducevano a semplici saluti.
Al contrario, Lorenzo era diventato molto insistente. Continuava a rinnovare il suo invito a uscire e sempre quando eravamo presenti solo noi.

Emma ogni tanto mi confidava qualche pensiero su di lui, ma, da quando le avevo consigliato di non dargli troppo peso, lei aveva verso di me una sorta di timidezza.
Non volevo che sfociasse in una lontananza reciproca, per cui cercavo di curare al massimo il nostro rapporto. Lei sembrava disponibile quanto me, per cui alla fine le davo moltissima fiducia.
Con Davide, invece, non avevo ancora risolto. Non riuscivo a passare sopra a quello che avevo fatto, ogni volta che lo vedevo o che anche solo gli pensavo sentivo salire la rabbia.
Non sapevo a che cosa fosse dovuto quel sentimento quasi eccessivo, ma non riuscivo a placarlo.

Come ben potrete immaginare, la mia vita era a pezzi e i cocci erano troppo sparsi per poterli raccogliere tutti. Dovevo accontentarmi di quelli che avevo, potevo ancora cercare di ricostruire su quelle rovine.
Ma, come ormai immaginerete, il compito mi venne per l'ennesima volta reso impossibile.
Quel pomeriggio arrivai in ritardo rispetto all'orario di ritrovo; avevo lasciato andare Emma e io mi ero dovuta fermare insieme alla professoressa di italiano per parlare della poesia.
Avevo ancora una settimana di tempo e dovevo sbrigarmi, ma, per quanto riguardava il lavoro, avevo le idee piuttosto chiare. La bozza su cui stavo lavorando era promettente, perlomeno mi entusiasmava.

Entrando in aula magna, sospirai. Avevo già passato due ore della giornata seduta lì, ed era pesante doverci ritornare di nuovo. Infatti, quella mattina vi era stata un'assemblea, durante la quale avevo passato la maggior parte del tempo a sgranchirmi le dita. All'intervallo, poi, la situazione era diventata quasi surreale: ognuno a mangiare qualcosa al proprio posto, una coda di persone per andare nel bagno dell'aula magna, un locale minuscolo e senza finestre.
Era proprio accanto al bagno che mi misi a lavorare, dividendo i vestiti per ogni personaggio. E fu proprio cercando un paio di pantaloni a zampa per la protagonista che mi accorsi che qualcosa non andava.

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