4. Risultato uno

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Una settimana dopo l'arrivo di Emma, a scuola, qualcuno mi chiamò.
Ero nel cortile, le lezioni non erano ancora cominciate e tutti cercavano un modo per ingannare l'attesa.
Il fatto quindi che qualcuno mi stesse cercando non avrebbe dovuto stupirmi, anche io mi stavo annoiando, ma capitemi: nessuno voleva passare del tempo con me, a meno che non ci fosse stata una verifica o un'interrogazione: in quel caso mi ritrovavo anche tre o quattro persone attorno, impegnate a espormi lezioni minuziosamente studiate a memoria e ripetute solo per aumentare l'autostima o magari per vantarsi.

Ma anche quelle conversazioni, se davvero erano tali, duravano pochi minuti, dopodiché i miei compagni, prevalentemente ragazzi, mi lasciavano sola per andare a parlare con altre persone, tra cui Adele e Carola.
Questo mi faceva male. Io ero la ragazza con cui ripetere le lezioni, non quella con cui scambiare due parole anche su argomenti stupidi e banali. Caterina era la ragazza seria e inevitabilmente noiosa, forse non mi parlavano perché credevano che i loro argomenti non mi sarebbero nemmeno interessati.
Ma non era così... Se solo una delle tante volte in cui ci eravamo ritrovati tutti assieme alla mattina, prima di entrare, mi avessero chiesto un parere o un giudizio su ciò di cui stavano discutendo, io mi sarei inserita nella conversazione con piacere. Ma nessuno l'aveva mai fatto e io mi ero messa in testa la convinzione che fossi per loro solo un peso, un'intrusa antipatica e noiosa che si intrometteva nelle loro vite.
Intrusa. Quante volte mi ero sentita così.

Ma quella mattina a cercarmi non era qualcuno pronto per ripetere la lezione.
Lo avevo riconosciuto solo dalla sua voce, distinguibile fra mille altre.
Davide.

Egli era stato, in quei tre anni, il mio angelo custode. Quello che nelle giornate buie riusciva a farmi sorridere anche solo offrendomi una caramella e un sorriso. Perché si dimostrava gentile quando tutti gli altri non lo erano.
E le giornate nere non erano causate solo dal mio umore o da un litigio a casa, ma soprattutto da qualche battuta o sguardo di troppo. Forse sono sempre stata eccessiva, ma tutti i miei problemi in quegli anni erano dovuti a come gli altri mi trattavano. Se quel pomeriggio Carola e Adele avessero semplicemente accettato la mia opinione, io sarei stata diversa. E anche la mia vita.

— Davide, ciao — lo salutai a mio volta, avvicinandomi e sedendomi sul muretto accanto a lui.
— Allora, con una nuova amica ti stai già dimenticando di me? — mi disse lui, sorridendomi mentre inclinava la testa leggermente di lato, spostando il ciuffo ribelle di capelli biondi.
Alzai gli occhi al cielo: — Anche se ti dimenticassi, tu ti faresti ricordare di nuovo, giusto?
— Esattamente.
— Allora rinuncio in partenza. E poi con Emma non ci conosciamo ancora bene. È presto per definirla un'amica.
Evitai di dirgli che lei l'aveva già fatto nei miei riguardi. L'avrebbe giudicata in partenza una persona poco seria.

Davide stava guardando un gruppo di ragazze che attraversavano il cortile: — Se mai doveste diventare amiche per la pelle, falle sapere che le sarò sempre grato. I tuoi problemi sono a volte insostenibili per una persona sola, sai?
Risi della sua battuta, sapendo che non vi era malvagità nelle sue parole.
— Quindi, com'è Emma? Mi ha fatto una buona impressione — continuò lui, curioso di saperne di più, guardandomi con i suoi grandi occhi blu.
Io annuii: — Sì, mi sembra simpatica... Ma c'è qualcosa in lei che non riesco a capire.
Lui mi guardò negli occhi: — Escluso il fatto che non potrai mai capire nessuno fino in fondo, è perché non senti di poterti fidare di lei? È questo, Cat?
— La conosco solo da pochi giorni, è ovvio che non abbia piena fiducia in lei. Dammi tempo.
Lui scosse la testa: — Ma io non ti sto certo invogliando a rivelarle tutti i tuoi segreti. Anzi, volevo solo dirti che... insomma Cat, fai attenzione. Sappiamo già a cosa porta la frenesia del momento. E non vorrei che tu ti ritrovassi nella stessa situazione di qualche anno fa.

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