9. Metodi alternativi

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— Qualcuno sa dipingere decentemente?
Serena passò lo sguardo su ognuno di noi. Nessuno, però, la guardò negli occhi per il rischio di ottenere quel compito, quasi fosse pericoloso.
Lei sospirò: — Forza, ragazzi, dovremo pur fare qualcosa durante queste ore. Non possiamo stare qui a discutere.
Eleonora intrecciò le braccia sul petto: — Io e te ci occuperemo degli abiti, no?
Sorprendendo l'amica, Serena alzò le spalle e scosse la testa.
Si rivolse a me: — Se vuoi, ti cedo il mio posto. Ormai io lo faccio da due anni... Bisogna cambiare ogni tanto.
L'ho già detto che Serena era una ragazza molto cortese, ma nei suoi occhi era chiaro il desidero di rimanere con la sua amica.
Probabilmente sperava che io rifiutassi, e io non volevo fare un torto a quella ragazza così gentile: — No, posso benissimo... dipingere.

In quel momento Davide sarebbe sicuramente scoppiato a ridere, ricordando qualche immemorabile lezione di arte alle elementari dove avevo fatto una figura imbarazzante. E ce ne erano state tante.
Infatti, io non ero mai stata brava in tutte le attività collegate al disegno. E "non brava" era quasi un complimento.
Se Emma aveva scherzato sul fatto che lo spettacolo non sarebbe stato messo in scena per la sua parte di copione mancante, io non mi divertii certamente quando pensai che forse sarebbe stato annullato perché la scenografia era assente o... crollata.
Scacciai il pensiero scuotendo la testa e arrivando alla conclusione che non potevo tirarmi indietro. Io stessa avevo detto a Davide che, se non fossi stata capace di fare qualcosa, avrei imparato. Ero lì per questo. E si trattava di dipingere, non era difficile.

— Perfetto, allora! Io ed Eleonora lavoreremo ai costumi, se per tutti va bene. Qualcuno che si vuole occupare dei mobili?
I due ragazzi si scambiarono un'occhiata. Fu la seconda volta che vidi sorridere Stefano.
Brando, alla fine, annuì: — E va bene, lo faccio io. Anche quest'anno dovrò andare in giro a cercare mobili ammuffiti, non è così?
Ridemmo tutti per sue parole e per naturalezza mista a rassegnazione con cui aveva parlato.
Serena, soddisfatta perché essere finalmente riuscita a organizzarci tutti, annuì compiaciuta: — Perciò, Stefano, tu aiuterai Caterina. Sei d'accordo?
Lui annuì senza nemmeno guardarmi. Aveva accettato il compito quasi fosse un obbligo.

Con la mia fortuna, l'unico ragazzo che aveva dimostrato dal primo momento di essermi ostile, nonché amico della mia nemica, avrebbe passato le prossime settimane a lavorare con me.
Ma, sinceramente, non lo vedevo nel ruolo più di quanto lo fossi io. Forse aveva qualche anno di esperienza, nulla di più.
Così il gruppo si divise, ognuno con le proprie faccende da portare a termine.
— Vieni, forza — mi intimò Stefano, facendomi strada verso l'aula accanto, in realtà adibita a sgabuzzino.
Non appena entrata, mi fu chiaro che quella stanza era usata molto raramente. Lo si capiva dalla cappa di chiuso, insistente e fastidiosa, e dalla polvere che si era depositata... Su ogni superficie.
I mobili non erano molti: un piccolo armadio in un angolo, una libreria dalla parte opposta e un vecchio tavolo di plastica gialla ricoperto da schizzi di vernice al centro della stanza.
— Che ne dici di cambiare l'aria? — gli chiesi, nonostante Stefano non avesse dato il minimo segno di essere infastidito dall'ambiente. Alzò le spalle in segno di risposta.

Mi avvicinai alla finestra e la spalancai. Davanti a me si presentò un paesaggio non dei migliori: le scale antincendio riempivano la maggior parte della visuale, mentre il poco spazio libero era occupato dal cortile sul retro.
Almeno non vi era la strada, riflettei.
Stefano, intanto, aveva preso da dietro l'armadio un enorme telo grigio smunto, che probabilmente in origine doveva essere stato bianco.
— Sollevalo dall'altra parte — mi disse e, così, lo aiutai a disporlo sul tavolo.
Dopodiché mi porse un foglio di carta.

— Bene, noi dobbiamo disegnare una città. Facciamo una bozza, poi le confrontiamo — mi disse, guardandomi attraverso le lenti degli occhiali.
Sembrava che si potesse esprimere solo tramite ordini, che io fossi in grado di capire solo quelli.
Fu uno dei primi momenti in cui desiderai essere da un'altra parte.
Stefano si accomodò sul pavimento e io lo imitai, appoggiando la schiena contro la gamba dura del tavolo.
Presi titubante la matita che mi porgeva, incerta su cosa disegnare. Alla fine, con un sospiro, cominciai a disegnare linee leggere, guardandomi attorno in cerca di ispirazione.
Lui, invece, era assorto nel compito. La mina scorreva veloce sul foglio e, a differenza mia, non considerava nemmeno la gomma.

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