8. Problemi

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Il giorno dopo mi ritrovai a casa di Emma, non per studiare ma semplicemente per parlare e divertirci.
Anche questa volta ero quasi emozionata: qualcuno mi aveva invitato e voleva trascorrere del tempo con me per solo piacere.
Quando arrivai, Emma, che rispetto a scuola era molto truccata, non mi guidò però in camera sua ma sul retro, dove si trovava il piccolo giardino.
All'ombra di un solitario, alto albero, una quercia constatai, si trovavano due sedie e un tavolo, su cui lei appoggiò dei bicchieri, una bottiglia d'acqua e dei biscotti. Poi, accomodateci, cominciammo a discutere.

— Allora Cat, come ti sei trovata ieri? Cosa ne pensi del gruppo?— mi chiese curiosa. — Non ne abbiamo potuto parlare molto.
Le risposi mentre con le mani giochicchiavo con una ciocca di capelli: — Mi sembra affiatato, credo che potrebbe venire fuori qualcosa di bello, alla fine.
Emma annuì, porgendomi un bicchiere d'acqua: — È quello che penso anch'io! E poi sono tutti così in gamba...  La parte di copione che scriverò io sarà a un livello più in basso rispetto alle altre. Spero che lo spettacolo non salti per un vuoto nella trama.
— Non dire sciocchezze, Emma! — le dissi ridendo.

Verso dell'acqua anche per lei e, dopo aver bevuto, continuò la discussione: — E i tuoi compagni? Vi siete già conosciuti?
— Ci siamo presentati, certo, e sembrano simpatici. Però non abbiamo parlato molto, a dir la verità.
Rimanemmo per qualche secondo in silenzio. Lei teneva il bicchiere fra le mani, strisciandolo contro i palmi con un ritmo regolare: — So che non c'entra con quello che stiamo dicendo, ma Davide... È arrabbiato con me? Per la storia del corso e tutto il resto.
— Non credo proprio — la rassicurai. — Penso faccia così solo perché ancora non ti conosce bene. Se mai fosse irritato con qualcuno, sarei io.
Emma mi sorrise: — Perché non voleva che tu partecipassi allo spettacolo?
Alzai gli occhi al cielo: — Davide è fatto così, si preoccupa anche per le cose più banali. Probabilmente avrà pensato che non riuscissi ad avere amici e ha mascherato tutto dicendomi che non sono capace di fare nulla.
— Ma ti ho vista chiacchierare con Lorenzo, quello che avevo incontrato in libreria. Com'è? Io non ci ho nemmeno parlato, ieri.

— Un ragazzo normale... Mi ha solo detto che il mio gruppo sarebbe arrivato di lì a poco, niente di che. Alla fine abbiamo scambiato solo poche parole.
Lei annuì: — Certo. Vi ho visti. Ma volevo solo capire che tipo fosse.
Ridacchiai: — Chiedere a me per comprendere le persone è la scelta più sbagliata che potessi fare!
Emma rise, alzando un sopracciglio: — Ma se ieri tutti ti hanno sorriso!
— Non vedi molto bene, Emma — ribattei ironica, scoccandole un'occhiata di striscio.

Il pomeriggio con Emma si concluse nel migliore dei modi, con la promessa di rivederci ovviamente l'indomani a scuola.
Ricordo di aver chiamato Davide per sapere come stesse e proporgli di bere qualcosa con me il giorno dopo, ma non mi rispose e non mi richiamò. Dopo la rappacificazione, sembrava più freddo e scontroso del solito.
Così, quando la mattina dopo arrivai a scuola, non appena lo vidi andai subito da lui. Come avevo immaginato, stava discutendo con altri ragazzi, segno che non mi stava aspettando.
—Ciao, Davide.
Lui si girò e, inaspettatamente, mi sorrise.
—Ciao, Cat. Com'è andata al corso? — mi chiese, separandosi dagli altri immediatamente.

Scossi la testa: — Tutto a posto, io aiuterò con le scenografie. Emma invece reciterà.
Alla fine lui aveva avuto ragione, avevo deciso di rimanere dietro le quinte, ma non enfatizzai quel minuscolo dettaglio.
— Cat?
— Sì?
— Sono stato insopportabile in questi giorni?
Sogghignai: — Abbastanza. Anzi, molto.
Davide sospirò: — Mi dispiace.
— Apprezzo che te ne sia reso conto da solo... Eri tu il primo a non sopportarti più?
Lui scoppiò in una risata e annuì: — Non fare battute stava diventando invivibile. E poi devo prendermi cura della mia cocca, altrimenti finirà allo sbaraglio. Lo faccio solo per la mia coscienza.
Lo guardai nei suoi occhi blu: — Grazie mille. Senza di te sarei persa.
— Lo so anch'io — si vantò lui. — Sono la tua guida.
Andammo avanti così fino all'arrivo in classe, ed ero tutta per lui, dato che Emma arrivò con alcuni minuti di ritardo, puntualmente segnati sul registro dal professore di fisica.

Fisica era una materia in cui mi distraevo facilmente, sommersa da formule e da un noioso pizzico di teoria; matematica mi era di gran lunga preferita.
Sinceramente non ricordo più a cosa stessi pensando quella mattina quando il professore mi chiamò alla lavagna.
— Guidi — mi disse. — Correggi il problema svolto da Castelli.
Adele infatti era accanto alla lavagna, altezzosa e stupita che nel suo lavoro ci fosse anche solo la più piccola pecca.

Mi alzai e cominciai così ad analizzare ciò che era scritto alla lavagna, puri calcoli matematici di cui fino a un attimo prima non mi ero nemmeno accorta.
Alla fine riuscii a trovare un errore e lo esposi al professore.
Lui annuì e mi esortò a continuare nella lettura del testo. Al secondo sbaglio, Adele si fece sfuggire un secco: —No!
— Castelli, motiva il tuo intervento — le permise il professore. Al docente piacevano queste discussioni fra studenti, ma quelle fra a me e Adele potevano essere davvero... problematiche.
Lei espose le sue ragioni, alcune delle quali mi fecero quasi cadere nel suo stesso errore. Ribattei sostenendo la mia tesi.

Alla fine, il professore concluse la lezione, e l'interrogazione della mia compagna, spiegando che avevo ragione, le mie correzioni erano esatte.
Immaginai già il rancore che si sarebbe aggiunto a quello che Adele già provava per me e rabbrividii. Ma adesso io volevo cambiare, non potevo avere paura di lei.
Quando all'intervallo mi passò accanto bisbigliandomi all'orecchio: — Stupida secchiona — non abbassai gli occhi, ma mi girai verso di lei, con il mento alto e sostenendo il suo sguardo.
Carola la seguì lanciandomi un'occhiata che solo pochi giorni prima mi avrebbe pietrificata. Ma ora no. Ora ero diversa.

Le seguii con lo sguardo, mentre avvolte nei pantaloni attillati e nelle felpe sportive si allontanavano nel corridoio. Le scarpe di una qualche marca che non conoscevo, ma lo stesso tipo per entrambe, spiccavano bianche ai loro piedi.
Guardai i miei vestiti e quelli di Emma. Totalmente diversi. Eppure saremmo potute essere appariscenti quanto loro, vestite così. Non avevano nulla in più rispetto a noi, forse addirittura qualcosa in meno.
Pensai a come sarebbe stata la mia vita se solo mi fossi lasciata un po' andare, senza essere sempre timida e sulle mie. Sarei stata totalmente un'altra persona.
I pensieri che vagavano nella mia mente sul migliorarmi erano sempre di più, sempre più consistenti. E non potevo frenarli.

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