23. Logica

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Con ogni probabilità vi starete domandando quello che, alla fine, ebbi scritto sul foglio quel pomeriggio.
Non è ancora il momento di svelarvi la risposta, però. O forse sono solo io a non volerlo fare ora.
Quella poesia è un qualcosa di così intimo... Io non riesco a lasciarla andare così, facendola analizzare a ciascuno e, soprattutto, rendendola criticabile. Perché per me è perfetta così com'è, mi ha permesso di capirmi più di tante altre persone.

È davvero difficile descrivere il mio stato d'animo quel giorno: erano successi troppi avvenimenti dolorosi per poter essere semplicemente triste.
Ma non ero nemmeno disperata. O forse per circa un'ora lo ero stata davvero, quando mi ero chiusa in camera e, buttandomi sul letto, avevo cominciato a versare lacrime pesanti, trattenute a stento da fin troppo tempo. Però, dopo quello sfogo iniziale, sembrava quasi che non provassi più dolore, che io non ne fossi più in grado.

Si fece strada nella mia mente l'ipotesi che ormai fossi insofferente, e devo ammettere che in quel momento l'idea non mi fu sgradita: mai più dolore, mai più rimpianti o rimorsi. Solo una superficie così dura da non poter scalfirla in nessun modo.
Stefano si sarebbe ripreso presto, Adele avrebbe potuto fare qualsiasi cosa avesse voluto, Davide non avrebbe più dovuto preoccuparsi di me. Alla fine, ero io a creare problemi a tutti loro; senza di me le loro vite sarebbero state tranquille, felici.
Ero evidentemente io l'intrusa in tutte quelle vite: ogni cosa che dicevo era contestata, ogni mia azione sbagliata... Non ero adatta a quel contesto. Ma se solo avessi abbassato la testa e fatto finta di niente, forse d'ora in poi le cose sarebbero cambiate.

Quel pensiero malato riuscì a farmi alzare dal letto e mi spinse fino alla scrivania. Dovevo finire degli esercizi: portare a casa una seconda comunicazione nel giro di una settimana non sarebbe stato piacevole.
Prima, però, avevo una cosa da fare. Mi ero ripromessa di ignorare tutto e tutti, giusto? Allora decisi di facilitarmi il compito.
Presi il diario, che fino a poco prima avevo toccato con la punta delle dita, quasi fosse imbrattato non di inchiostro, ma di veleno.
Lo aprii sulle pagine nero pece e, con un colpo secco che tagliò la testa a ogni ripensamento, strappai la prima pagina. Poi la seconda. Terza Quarta Quinta Sesta.
Le accartocciai e le buttai nel cestino. Infilai qualche foglio al loro posto, in modo da sostituirle e, infine, cominciai a svolgere i compiti.

Avevo fatto tutto con una tal freddezza, quasi fossi una macchina da guerra.
Adesso so capire quello che mi stava succedendo: ero stata una vigliacca, un'egoista. Per evitare di soffrire, avevo seguito l'unica strada possibile, calpestando tutti quelli che vi erano sopra.
Non avevo guardato in faccia Stefano quando gli avevo detto tutto quello, avevo solo badato a salvare me stessa.
Per una volta, o forse qualcuna in più, fui io la cattiva. E vi assicuro che mi distrusse più di tutto il resto.
Ma, anche se volevo cancellare il ricordo di quelle pagine e dei danni, esse ritornarono ancora prima che avessi pensato a quale sarebbe stata la mia azione successiva.

Infatti, dopo un pasto silenzioso e cupo, a un certo punto mia madre si sedette al tavolo e mi invitò a fare lo stesso.
— Cosa succede? — le chiesi, mentre una pesante diffidenza si faceva strada nella mia mente.
Lei mi fece un sorriso mesto: — Sai che sono sempre io a fare le pulizie qui in casa, non è così?
Annuii, e il sospetto di poco prima divenne un peso sullo stomaco.
— E che inevitabilmente svuoto anche i cestini.
Strinsi gli occhi. Mamma aveva visto tutto. Nel mio attimo di follia non avevo nascosto le carte.

Lei sbatté una mano sul tavolo: — Dalla tua reazione credo di capire che tu sappia già dove vorrò andare a parare. Perciò ti risparmio il tatto.
La guardai negli occhi, dove scorsi un barlume di rabbia.
— Cos'erano quelle pagine? Erano il tuo diario?
Non sapevo cosa dire. Alla fine annuii, pensando che rimanere in silenzio l'avrebbe solo insospettita di più.
Lei sospirò: — Meno male che lo ametti, poiché sono già andata a vedere se mancassero, e ho visto i segni dello strappo.
— Mamma! — esclamai indignata.
Lei non badò al mio commento: — Chi ha scritto quelle parole?
Io alzai le spalle: — Era solo un gioco, non sono vere. Ovviamente no.
— Chi ha scritto con quel pennarello?
Appoggiai le braccia sul tavolo, congiungendo le mani e incastrando le dita in una presa nervosa: — Nessuno, mamma, stavamo solo giocando e...
Lei scosse la testa: — Chi? Rispondimi.
Esitai qualche secondo, prima di mormorare un sommesso: — Io.

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