17. Mente sbagliata

182 27 44
                                    

Lasciarsi il passato alle spalle può sembrare facile e conveniente, non è così?
Eliminare i problemi che si sono saputi risolvere e guardare avanti. I guai, però, arrivano quando nel tuo futuro non sei riuscito a costruire nulla.
Oggi per me non è così, ma era questa la visione che avevo a sedici anni: la mia vita non era servita a niente.
A cosa sarebbero valsi i buoni voti a scuola, la scoperta dei veri amici, quando poi bastavano dieci gesti a rovinare tutto?
Perché era questo che io ricordavo dell'anno appena concluso: solo i miei dieci danni. Le parti belle erano coperte da una teca di vetro, ben visibili ma impossibili da toccare fisicamente.
Eppure avevo così tanti spunti felici, attorno a me, che si andavano però lo stesso a sopprimere sotto il peso dei brutti ricordi.

Credo che non dimenticherò mai ciò che accadde durante la terza superiore.
Chissà se sarà lo stesso per il colpevole. O sarebbe meglio dire la colpevole. Forse, però, è sbagliato anche in questo caso.
Quella giornata scolastica appena conclusa aveva avuto un bilancio positivo, fatta eccezione per quell'ultimo strano dialogo con Adele.
Le sue parole non avevano un senso chiaro, ma la mia mente elaborò la soluzione dettata maggiormente dai miei sentimenti: collegai subito quelle parole ai tre danni. E non avevo tutti i torti! Era palese che quella sorta di minaccia si collegasse ai tre gesti. Mi sembrava da parte di Adele quasi un'autodenuncia.
Eppure, nel mio ragionamento, quello che accadde una volta a casa non era previsto.

Avevo davanti a me un allettante pomeriggio a disegnare, un lungo disegno tecnico da consegnare al professore entro il sabato seguente.
Aprii la cerniera dell'astuccio per prendere la matita con un lungo sospiro: avrei dovuto trascorrere sul foglio bianco almeno le due ore seguenti.
Avrei, esatto. Dentro all'astuccio, nessuna delle mie quattro matite era integra.
Tutte erano state tranciate a metà.

Sfiorai con le dita il bordo spezzato, toccando le piccole schegge di legno. Ero stupefatta.
Di nuovo, era accaduto l'ennesima volta, ancora sotto i miei occhi. E io non ero riuscita a fare nulla. Probabilmente in palestra, durante educazione fisica.
Non volevo piangere. Nonostante il nervoso e la rabbia crescessero di secondo in secondo.
Non volevo dare a chiunque l'avesse fatto quella potente soddisfazione. Non ancora.
Solo una lacrima mi rigò la guancia. Poi presi le matite e, eccetto una metà con la punta, buttai tutte le altre nel cestino in camera mia, nascondendole fra le cartacce. Non avevo bisogno di nessuna domanda da parte di mia madre.
Ritornai alla scrivania, prendendo di nuovo quel che rimaneva della matita fra le mani e premendo il palmo contro il legno.

Perché? Cosa stava succedendo? Chi voleva farmi male?
Adele.
Quella risposta mi venne quasi naturale; al contrario delle volte precedenti, non ebbi neppure la minima d'esitazione.
Ma cosa potevo fare? Il legno mi entrò ancora di più nella pelle. Strinsi i denti.
Dovevo andare direttamente da lei e affrontarla? Oppure fare finta di nulla, sperando che presto finisse? A chi dovevo dirlo?
Probabilmente affrontarmi era proprio quello che Adele voleva, poiché sapevamo entrambe che lei avrebbe avuto la meglio.
La testa stava per esplodermi, le fitte mi martellavano costanti la fronte.
Io avevo sempre cercato di non darle fastidio, di intralciare il suo cammino il meno possibile. Perché, allora, lei sentiva l'esigenza di rendermi la vita impossibile?

Mi alzai dalla sedia, portandomi le mani alla testa. Sbuffai di rabbia, sentendo la capacità di gestire quella situazione diminuire sempre di più.
Feci un giro della stanza. Pensai di prendere il cellulare e di chiamare Davide o Emma, ma alla fine non lo feci.
Avrei potuto parlare con loro la mattina seguente, se mai avessi voluto, e poi in quel momento non avrei nemmeno saputo spiegare tutto quello che era successo. Allontanai il pensiero che, probabilmente, non ne sarei stata capace neppure l'indomani.
Aspettai qualche secondo, prima di riaccomodarmi alla scrivania e cominciare a disegnare. Rimandare a sera quel lavoro non sarebbe stato sopportabile.
Quando fui di nuovo seduta, decisi di concludere tutto il prima possibile.
Mi fermai solo qualche ora dopo, con il disegno concluso e il cuore che batteva un po' più lentamente.
Quasi non mi ricordavo di essere stata io a disegnare, a far scorrere la matita sul foglio.
Perché la mia mente era stata totalmente distante.

IntrusaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora