19. Numeri reali

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— Allora — disse Stefano, non appena scendemmo dall'autobus. — Avevi qualcosa da fare oggi pomeriggio?
Che faccia tosta a chiedermelo ora! Ma tornare a casa rischiando di incontrare uno dei miei genitori era un'alternativa peggiore che rincasare leggermente in ritardo... Per cui decisi di non fare ulteriori osservazioni.
— Latino, latino... E latino. Ma impiegherò davvero poco tempo a svolgere i compiti, è solo un ripasso.
Lui sospirò: — Dimenticavo fossi così studiosa. Ma oggi non voglio si parli di scuola.
— Sai — gli dissi guardandolo negli occhi. — Il pomeriggio rischia di diventare piuttosto monotono.
Stefano ridacchiò: — Spero proprio di no. E, comunque, siamo quasi arrivati.

— Questa è una bella zona — commentai, osservando i palazzi del centro storico attorno a me e il pavé che costituiva la strada. Nell'aria si diffondeva un tiepido profumo di caldarroste. Tiepido, già, quello che sentii da quel momento intorno a me fu un calore sempre più intenso.
Stefano mi guardò curioso e, non appena aprì bocca, si liberò una piccola nuvola di vapore: — Allora almeno la località è quella giusta.
Annuii compiaciuta.
— E, se ti giri un po' più a sinistra, potrai darmi un parere anche sul locale.
Feci come aveva detto e, quando capii quello a cui si stava riferendo, mi voltai verso di lui stupita.
Quello era un semplice bar.

— So quello a cui stai pensando — mi disse in tono canzonatorio. — E credo sia meglio entrare.
Lo seguii curiosa, respirando a pieni polmoni quando l'aria calda all'interno mi avvolse insieme a un dolce profumo di brioches.
Era un locale davvero molto piccolo, con tre tavoli lungo la parete destra, di cui uno più appartato. I muri erano bianchi e senza molti fronzoli, con solo alcune cornici. E fu proprio su queste che mi soffermai.
Raffiguravano tutte la stessa famiglia, potei facilmente constatare, e riconobbi i vari membri cambiare di scatto in scatto. Nonni, genitori, bambini... Passavano tutti nelle varie fasi della vita.
Mi avvicinai alla cornice accanto a me, notando che raffigurava due bambini. E lo sguardo di uno di questi mi era noto.

— Sei tu? — chiesi a Stefano stupita, guardandolo negli occhi.
Lui sorrise, quasi timido: — Già. Questo è il bar dei miei nonni.
Devo ammettere che in quel momento rimasi davvero senza parole: perché mi aveva portato lì? Vi erano moltissimi altri locali più vicini alla scuola...
Stefano si avvicinò alla fotografia: — E questa era mia sorella, Viola.
Sfiorò l'immagine con la punta delle dita, quasi potesse sul serio accarezzare la bambina.
Viola, dai codini biondi e il sorriso aperto, era seduta accanto a Stefano, che doveva avere all'incirca sei anni. Lei non doveva superare i tre.
Inghiottii profondamente prima di parlare: — Perché hai detto... Era?
— Viole è morta tre mesi dopo lo scatto di quella fotografia. Non ha mai compiuto tre anni. È... è caduta e ha picchiato la testa. Proprio in questo bar.
Non riuscivo a proferire parola. Non potevo credere a quello che Stefano aveva appena detto.

— Mi dispiace, mi dispiace tantissimo. Io... Non ne avevo la più pallida idea.
Lui aprì le labbra in un sorriso triste: — Non parlo spesso di lei.
Abbassai lo sguardo: — Non volevo costringerti a dirmelo. Sono stata invadente a guardare quelle fotografie.
Stefano mi fece cenno di sedere al tavolo: — Non è vero. E sappi che, se non avessi voluto, non avrei usato il passato. Avrei detto una bugia e...
— Stefano! Che bella sorpresa!

Dal retro del bar era apparsa una donna piuttosto anziana, con una folta massa di riccioli rossi, che stava avanzando a passo spedito verso di noi.
— Ciao, nonna. Come stai?
La donna alzò le spalle, appoggiando poi le mani sul bancone: — Stanca come al solito... Ma perché non mi presenti la tua accompagnatrice?
Mi sentii arrossire, sia perché era il mio carattere, sia per il tono curioso e interessato della nonna.
— Lei è Caterina, lavora con me a teatro.
— Buon pomeriggio — le dissi, aprendo le labbra in un sorriso timido.
Lei, di rimando mi sorrise: — È un piacere conoscerti. Cosa ti ha spinto a venire qui con quel lupo solitario di mio nipote?

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