11. Numeri periodici

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Due giorni dopo arrivò il bigliettino.
Un piccolo pezzo di carta, sgualcito ai bordi e pieghettato, accartocciato nel mio astuccio e sommerso da penne e matite. Nonostante tutto, le parole scritte su esso erano ben comprensibili.
Fai male alle persone. Stagli lontana.
Cosa voleva dire?
Era uno scherzo?
Ricordo di essermi guardata attorno spaesata, alla ricerca di qualcuno che, vedendomi così a disagio, si sarebbe aperto in una risata godendo della sua presa in giro. Purtroppo non fu così: nessuno faceva caso a me. O forse non lo davano a vedere.

Mi rigirai il bigliettino fra le mani. Io? Io facevo male alle persone? Io dovevo stare lontana da un ragazzo? Se davvero tutto ciò era serio, il responsabile non mi conosceva per niente: nel caso qualcuno mi fosse piaciuto, lui stesso mi avrebbe tenuta lontana con chiari segnali non appena avute notizie su di me.
Non meravigliatevi, io la pensavo davvero così: nessuno mi avrebbe mai potuta considerare come fidanzata, avrei fatto solo ridere.
Così non diedi peso a quel biglietto. Mi erano capitati simili beffe, durante gli ultimi anni, che ormai nemmeno mi importava se fossero reali o meno. In ogni caso, io non mi sarei avvicinata a prescindere a un ragazzo.
Potevo passare sopra a quel bigliettino, non avrebbe poi inciso così tanto su tutto il resto.

Non feci in tempo, però, a riporre il foglietto.
— Stai bene, Cat? Ti vedo strana — mi disse Emma, accomodandosi al mio posto dopo essere tornata dal bagno.
Teneva fra le mani una cioccolata calda fumante sulla quale soffiava leggera.
— Mi è arrivato questo, ma credo sia uno scherzo. Agli altri piace prendermi di mira.
Le porsi così il biglietto. Lei lo guardò per qualche secondo, per poi ridarmelo.
— Lo saprai tu se ti interessa qualche ragazzo, o se sei stata con qualcuno in questo periodo, no? Stai tranquilla, Cat.
La risposta non era difficile da trovare: se ero timida con le ragazze, parlare con i maschi mi veniva davvero impossibile; cominciavo subito a dire poche parole, dal mio stesso tono di voce mi accorgevo che sembravo quasi infastidita quando io ero solo agitata.
L'unica eccezione era Davide, con il quale ridevo e scherzavo senza restrizioni.

Mi sedetti sul banco davanti a lei: — Io... Io non credo, o almeno non me ne sono accorta, non ci ho dato peso. Ma non dobbiamo stare qui a pensarci troppo, probabilmente è solo una presa in giro.
Lei annuì, anche se continuava a lanciare occhiate pensierose al biglietto.
— Va tutto bene, Emma? Non sei sicura di qualcosa? — le domandai senza capire il suo comportamento.
Lei scosse la testa, passandosi una mano sui capelli: — No, solamente che... Sappi che, se vuoi, posso aiutarti a capire chi te lo ha mandato. Sarebbe una bella soddisfazione!
Le sorrisi: — Fidati, meglio rimanere in silenzio. Faremmo solo godere il responsabile.
Emma continuò a sorseggiare la cioccolata, leccandosi la bocca ogni tanto. Qualche volta storceva il naso a patata come se un pensiero irritante le fosse venuto in mente, ma poi non mi disse nulla.

Quando l'intervallo finì e tutti i compagni di classe tornarono in aula, lanciai occhiate a ognuno di loro per coglierli intenti a fissarmi. Anche questa volta tutti si comportarono in modo normale.
Come potete ben immaginare, il mio sguardo si soffermò su Adele: era la colpevole più ovvia, quella che pochi giorni prima mi aveva chiamata "stupida secchiona". Forse per lei anche la più piccola cosa poteva stimolare una ripercussione eccessiva, non perché lo meritasse, solo perché lei lo voleva. Un motivo per accanirsi verso di me, nulla di più, il casus belli che cercava ogni giorno. E, dopo la partecipazione al concorso di poesia, era sicuramente irritata.
Eppure era tranquillamente seduta accanto a Emma, scriveva assorta sul quaderno di chissà quale materia.
Anche se fosse stata lei, ormai mi ero decisa che non importava: era solo uno scherzo, per cui non c'erano aspetti da valutare. Mi stavo già soffermando troppo su questo episodio.

La lezione di latino procedette regolarmente, anche se un paio di volte fece capolino ancora il pensiero del biglietto. Lo scacciai imponendomi di seguire il discorso.
Al cambio dell'ora, Davide si avvicinò al mio banco: — Tu che guardi fuori dalla finestra durante latino? Che c'è, vuoi provare la vita da cattiva ragazza?
Alzai gli occhi al cielo ridendo, mentre con una mano frugavo all'interno dell'astuccio per mostrargli il bigliettino.
Lo guardò curioso e se lo rigirò fra le dita.

— Allora hai davvero deciso di cambiare... Da quando ti interessa qualcuno?
Presi dallo zaino i libri per l'ora successiva: — Davide, sono seria. Cosa devo farne, di questo?
— Buttalo via. Non credo sia importante. E, visto che vuoi una risposta intelligente, non saprei nemmeno a chi si possa riferire, semplicemente perché troppo vago. Se non hai capito quello che vogliono dirti...
Dopo qualche secondo aggiunse: — Credo anch'io che sia uno scherzo, però. Sai che a tanti piace divertirsi. Con te, poi, tutti l'hanno sempre fatto.
— Già — ammisi, Davide aveva... ragione.
— E poi — aggiunse con una risatina. — Tu non fai male alle persone. È una sciocchezza, Cat.

Nonostante tutto, riuscii a non pensare al bigliettino per qualche ora, fino a quando la campanella suonò.
Passando accanto al cestino per uscire dall'aula, gettai il foglietto: se volevo essere migliore, dovevo essere forte, una presa in giro non doveva demoralizzarmi già in partenza.
Emma mi affiancò: — Tutto risolto, allora?
Mi infilai le mani in tasca; all'esterno le temperature stavano gradualmente scendendo e il lieve tepore che ritrovai dentro la felpa fu gradevole: — Tutto risolto. È stato stupido, non avrei nemmeno dovuto darci tutta quest'importanza.
— Quindi a te non interessa nessuno? Dico, ti piace qualche ragazzo?
Non mi aspettavo una tale domanda da Emma, anche se era normale chiedersi queste cose fra... Due ragazze in confidenza.

Scossi la testa: — No, e non credo che vorrei essere fidanzata, ora.
Emma annuì, diventando improvvisamente rossa in viso: — Già, è... Quello che penso anch'io.
Forse era rimasta colpita dalla mia risposta, magari inusuale per un'adolescente della mia età, visto che la maggior parte delle mie compagne non aveva occhi che per i ragazzi. Ma io ho sempre voluto di più, anche ora. Ambiziosa e timida, caratteristiche che non vanno molto d'accordo.
Ci dirigemmo verso la fermata dell'autobus, parlando degli ultimi compiti di scienze e delle spiegazioni poco chiare del professore.
Arrivate, ci accomodammo sulla panchina, fortunatamente libera. Ai miei piedi vi erano delle lattine vuote, che spostai con un piccolo calcio.

— Guarda chi si vede — sentii dire da dietro le spalle di Emma.
Lorenzo avanzò accanto a noi, sorridendo e portando lo zaino solo su una spalla.
Quel ragazzo era davvero ovunque!
— Ciao, Lorenzo! — lo salutò Emma, mentre io mormorai un banale. — Ciao.
— Giornata pesante? Vi vedo stanche — continuò lui, passandosi la mano fra i capelli.
Emma annuì: — Già. Poi, per me, è difficile ingranare con le lezioni in questa scuola.
Lorenzo ignorò il suo commento e continuò a porci domande: — Ci sarete martedì, vero?
Fu Emma a rispondergli, semplicemente perché, non appena lui nominò il tema del corso, le brillarono gli occhi: — Certo! Ma, a proposito del copione, tu hai scritto la tua parte? Vorrei vedere come farla.
Il ragazzo scosse la testa: — No, mi dispiace. Caterina, invece, come ti trovi con il tuo gruppo? Le mie previsioni erano giuste?

— Credo lavoreremo bene, avevi ragione — ammisi, abbassando lo sguardo. Dire che avevo parlato con loro poco niente non mi sembrava la cosa più adatta da raccontare.
Lui sorrise: — Uno spettacolo anni ottanta... È stata un'idea mia, sapete? Forse —disse rivolgendosi a me. — Ti ho reso la vita un po' difficile per i costumi, ma l'effetto finale sarà fantastico, lo sai?
— Non sarà un problema mio — gli chiarii, sorridendogli — Io dipingerò lo sfondo... E questo mi avrebbe creato problemi in qualunque spettacolo.
Lorenzo alzò un sopracciglio: — Sono sicuro che, invece, verrà fuori un ottimo lavoro. Scusatemi, sta arrivando il mio autobus. A presto!

La conversazione si concluse ovviamente lì, con Lorenzo che poco dopo ci salutava con un cenno della mano dal finestrino.
— È simpatico — mi disse Emma, guardando il traffico scorrere davanti a noi.
Giocherellavo con la cerniera della felpa: — Già... Sei fortunata ad averlo in gruppo, Stefano è così chiuso... Forse più di me.
— Non esagerare, Cat! E poi, secondo me, sotto sotto è simpatico.
Risi: — Forse perché non ti ha voluto ignorare per un'ora e mezza. E, dalle due occhiate che mi ha lanciato, ha già fatto chiaramente capire che non ci intendiamo molto.
— Vedrai Cat, non appena si accorgerà di quanto tu sia fantastica non smetterà di parlarti nemmeno per un secondo.
Storsi il naso: — Che incoraggiamento... Ridicolo.
Emma ridacchiò, scuotendo la testa: — Non mi è venuto in mente nulla di meglio.
Divertite salimmo sull'autobus.

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