20. I numeri sono infiniti

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Siete mai arrivati a essere il vostro unico sostegno, la vostra solo roccia?
Mi auguro che non vi accada mai. O che almeno non siate deboli. Come me.
Perché è tanto facile sprofondare, finire sempre più in basso, fino al punto in cui non si potrà vedere più nemmeno il più piccolo raggio di luce. Dove si tocca il fondo angusto.
Io ho raggiunto la profondità della mia vita, situazioni che nemmeno avrei mai preso in considerazione.
Vi posso assicurare che non è piacevole.

Imparare a nuotare nel mare del mondo può sembrare semplice, naturale. Sappiate che non è così.
Tutti tenderanno di farti affogare. Tutti e tutto.
Però sono sempre esistiti i nemici, gli avversari. E da loro si impara ben presto a schermirsi.
Sono i colpi ricevuti da coloro che ci sono vicini a fare più male.
Conoscenti, genitori. Amici.

***

Quando riaprii gli occhi, il mattino seguente, per la prima volta nella vita pensai che sarebbe stato meglio non svegliarmi più. Troppi frammenti della mia vita sembravano non trovare il loro posto, ma anzi, tendevano a dividersi in parti sempre più piccole.
La serata appena conclusa, passata a piangere seduta sul pavimento, aveva lasciato uno strascico di dolore ancora intenso. Avevo dormito sulle piastrelle fredde, probabilmente stremata dall'ennesimo fiotto di lacrime.
Non avevo un ricordo ben chiaro di ciò che era accaduto dopo che mi ero chiusa in camera: avevo sentito i passi di mia madre da una stanza all'altra, la doccia accesa e poi più nulla.
Probabilmente lei stava dormendo. O forse aveva passato la notte insonne.

Lanciai uno sguardo alla sveglia, notando che erano da poco passate le sette. Dovevo prepararmi per andare a scuola, nonostante tutto.
Non sapevo dove avrei trovato la forza di guardare negli occhi le altre persone, di mostrarmi così debole come non ero mai stata.
Nemmeno riuscivo a pensare a Davide ed Emma. A cosa avrei detto loro quando mi sarei presentata in quello stato.
A malincuore mi costrinsi ad alzarmi e aprii la porta della mia stanza.

Mi diressi in bagno ma, al contrario di pochi giorni prima, mamma non uscì dalla sua stanza per parlarmi. Forse perché sapeva già il perché del mio comportamento, forse perché non sapeva cosa dirmi. Ma, in realtà, nemmeno prima aveva mai avuto idee ben chiare.
Fino a quando entrai in cucina e mi sedetti al tavolo per fare colazione, lei non mi disturbò. Perché già sapevo quello che mi avrebbe provocato vederla: un enorme fastidio, nonché la tristezza con la quale mi ero convinta avrei dovuto imparare a convivere.

Quando però stavo già per staccare un piccolo morso dalla fetta biscottata, entrò in cucina.
Indossava ancora la camicia da notte grigia e sulle spalle era appoggiata la vestaglia vermiglia.
— Ciao, Caterina — disse piano, facendo qualche passo avanti e appoggiando le mani sullo schienale della sedia di papà.
Ignorai le sue parole, non sapevo cosa dire, non avevo più certezze.
— Non hai nulla da dirmi, da... chiedermi? — continuò però lei. Solo dal tono della voce riuscii a capire che era sul serio ansiosa di sentire la mia voce, le mie parole. Quando io, in quel momento, non avrei più voluto sentire le sue.
Scossi la testa: — So rispondere a tutte le mie domande da sola.

Quella colazione fu letteralmente penosa. Farei davvero a meno di descriverla, ma prima o poi dovrò riuscire a parlarne. Non solo di essa, ma di tutto. E credetemi, me la sto cavando piuttosto bene.
Nei pochi minuti in cui finii il mio pasto, mamma rimase tutto il tempo seduta al suo posto, in attesa che sciogliessi il silenzio. Ma, al contrario, ogni secondo che passava il nodo attorno alla mia gola diventava sempre più stretto.
Non appena ingoiai l'ultimo boccone, mi alzai dal tavolo e sistemai le stoviglie che avevo usato. Mia madre rimase sempre lì, a osservarmi lavare i piatti e asciugarmi le mani.

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