CAPITOLO 1: L'ARRIVO DI TATA SONIA

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Una settimana dopo l'instaurazione della Tatocrazia. Italia. Un paesino in una delle valli del Trentino.

Riccardo stava dormendo, disteso sul suo letto a una piazza e mezza. Era un ragazzo di 26 anni, con capelli scuri e corti, che sembravano non essere mai stati pettinati, e gli occhi di colore diverso, uno verde chiaro, l'altro nocciola.

Era alto un metro e settantaquattro centimetri, ed completamente nudo dalla cintura in su. Sotto la cintura portava invece un paio di pantaloni che non sembrava aver lavato spesso. Non era un ragazzo grasso, ma non sembrava nemmeno molto in forma.
Era disteso sul materasso, la coperta buttata per terra. La stanza da letto era decisamente in disordine, e svettava particolarmente sul resto il trancio di pizza appoggiato sul comodino.

Era quasi un anno che era andato a vivere da solo. Finiti gli studi, non era mai riuscito a trovare un lavoro, e si barcamenava con i soldi che riceveva dai genitori e qualche "innocente" furtarello.
Come tutti gli esseri umani, anche Riccardo aveva assistito alla trasmissione che era misteriosamente andata in onda su tutti gli apparecchi dotati di uno schermo, ma semplicemente non ci aveva dato peso. Sicuramente si trattava di uno scherzo di cattivo gusto. Non si era più preso la briga di seguire i notiziari, quindi non sapeva dell'instaurazione della Tatocrazia.

Stava appunto dormendo, quando qualcuno bussò con forza alla porta principale. Il ragazzo sentì quel suono, e si svegliò. Ma in tutta risposta, sbadigliò e si girò su un fianco. Chiunque fosse il seccatore, non meritava certo la sua attenzione.

Ma il seccatore in questione continuò a bussare, insistentemente. Ed insistentemente Riccardo non rispose, rimanendo a letto.

Dopo qualche minuto, il suono cessò all'improvviso. Sentendo il ritorno del silenzio, il ragazzo sospirò sollevato, ma dopo qualche istante si udì un altro suono: quello di una serratura, seguito da una porta che veniva aperta.

Riccardo scattò a sedere, temendo si trattasse di un ladro: i suoni dei passi riecheggiavano, chiunque fosse si stava avvicinando alla camera da letto.

Ma con enorme sorpresa del ragazzo, la figura che apparve sulla soglia non era un nerboruto omaccione con un passamontagna, ma una donna sulla trentina, alta e slanciata, forse sul metro e ottanta, con un bel fisico che s'intuiva essere tale anche sotto l'uniforme che indossava. Il seno, perfettamente coperto dalla divisa, era prosperoso, ma non eccessivo, forse una quarta ad occhio.

Tale uniforme era in tutto e per tutto identica a quella indossata dalla strana donna che era apparsa in tv qualche settimana prima, quella che si era presentata come Arianna: una camicetta monocolore dalle finiture bianche, con maniche che arrivavano fino al gomito, una gonna lunga fino alle ginocchia dello stesso colore della camicetta che pareva una continuazione della stessa, e su di essa un grembiule bianco. Ai piedi portava delle scarpe nere con un basso tacco. Il colore dominante della sua divisa era il rosso carminio.

L'alta donna in divisa aveva i capelli lunghi fino a metà della schiena, neri come ali di corvo, e profondi occhi noisette. Occhi che avevano un'espressione estremamente severa, mentre rimanevano fissi sul ragazzo.

"La mamma non ti ha insegnato che si risponde sempre quando qualcuno bussa alla porta?" chiese, con un tono severo che ben si sposava con lo sguardo.

Riccardo la squadrò per qualche secondo, poi scrollò le spalle e replicò "E a te non hanno insegnato che non si entra a casa degli altri senza permesso? Sparisci o chiamo la polizia."

La strana donna incrociò le braccia, dicendo senza cambiare tono o sguardo "Chiamala, vedi che cosa ti rispondono."

Il ragazzo non se lo fece ripetere. Afferrò il cellulare appoggiato sul comodino accanto al letto e chiamò il 112.
Squillò un paio di volte, poi una voce femminile rispose "Sì, come possiamo aiutarla?"

"Mandate i carabinieri a casa mia. Una strana donna ha forzato la serratura ed è entrata." spiegò.

"Può descrivere la donna? In particolare l'abbigliamento."

Riccardo descrisse la donna, la quale era immobile sulla porta, ad ascoltare la conversazione.

"Capisco. Mi dispiace per l'equivoco, ma non si tratta di un intruso, ma di una Tata. Buona giornata." rispose la voce al telefono, riagganciando.

Riccardo rimase lì come uno stoccafisso, non capendo cosa fosse appena successo.

Appoggiò il telefono e guardò la donna, chiedendo "Tata? Che significa?"

La donna annuì, replicando "Mi sembra evidente che non hai seguito i notiziari. È stata instaurata la Tatocrazia, e tu sei stato affidato a me. Io sono tata Sonia, la Tata affidata al tuo nucleo familiare composto solo da te. Sei fortunato: avrai tutte le mie attenzioni."

Ricky continuò a fissarla sbigottito. Doveva per forza essere uno scherzo di cattivo gusto.
Il ragazzo si alzò dal letto, dicendo "Sì, certo, la mia tata. Vedi di sparire o ti faccio sparire io."

Per tutta risposta, Sonia lo raggiunse con rapido passo, ponendosi esattamente di fronte a lui. Si chinò leggermente verso di lui, appoggiò la propria mano sinistra sul proprio fianco, e cominciò a scuotergli l'indice della destra, con tutte le altre dita chiuse a pugno, esattamente davanti al naso, dicendo con voce severa "Non osare utilizzare quel tono con me, signorino. Tu mi porterai rispetto. Mi darai del lei e mi chiamerai tata Sonia."

Riccardo era parecchio stupito da quella reazione, ma con il suo solito fare noncurante scrollò le spalle e disse semplicemente con voce neutra "Ma vaffanculo."

La risposta della tata a ciò fu più che fulminea. Si sedette sul letto afferrando il ragazzo per un polso, e prima egli potesse rendersene conto si ritrovò sdraiato sulle sue ginocchia.
"Te lo do io il culo." affermò tata Sonia, bloccandogli la mano destra dietro la schiena e afferrandogli l'elastico dei pantaloni.

La TatocraziaWhere stories live. Discover now