XXXIX

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Alexander POV

In aereo Juliet trattiene il nervosismo come sa fare meglio, lo intrappola con il labbro sotto ai denti.

Ingoia un respiro, poi arriccia l'angolo della bocca per mimare un sorriso finto a sua madre. Non sta compiendo uno dei suoi sorrisi, di quelli grandi che le esplodono sul viso quando qualcosa la fa ridere sul serio. No, ora sta a torturarsi con l'elastico. Lo porta distante, lo fa vibrare per poi lasciarlo scoccare sul polso.
I miei occhi cercano disperatamente Ia sua pelle arrossata, ma lei se ne accorge e si volta di scatto per guardarmi male.

Mi sta chiaramente comunicando che non li vuole i miei occhi addosso in questo istante.
Curvo il capo verso l'oblò.

Questo succede quando ci si intreccia troppo.
La manipolazione è alla base dell'interazione sociale umana. E anche quando non ne ho intenzione, tutto quello che dico o faccio, influenza il mondo di Juliet. E quello che prova lei sulla sua pelle, tocca me nel profondo.

È un colpo su colpo, continuiamo a spararci addosso in silenzio, anche mentre stiamo fermi, ognuno nel suo spazio.
Ed io non sono abituato a questo scambio continuo di emozioni.
Sono sempre stato solo, senza intrecci emotivi, senza curarmi di cosa pensassero gli altri, senza dipendere dagli altri..forse perché trovo insostenibile la tensione psicologica di dover stare in mezzo agli altri esseri umani.
Stare con gli altri, con tutte le loro debolezze, con tutte le loro mancanze.

Ho sempre preferito la libertà ai legami. Perché quelli ti incatenano per davvero, non sei più padrone delle tue sensazioni.
Tutto quello che lei vive, lo vivo anch'io senza neanche volerlo.
E se lei è felice lo sono anch'io, ma ora che è arrabbiata con me...io non riesco a stare tranquillo.
È una prigione.
È perché l'ho mandata via in malo modo ieri sera?
Ho detto qualcosa che non andava?
Cristo, quanto vorrei fottermene.
E invece non ci riesco.
Perché quella maledetta libertà non ce l'ho più.
Perché Juliet mi fa sentire.

Mi fa sentire amato, mi fa sentire vivo. Il mio corpo ha smesso di essere solo un insieme di organi e sangue, ha smesso di essere freddo.
Ora è caldo quel groviglio che sento nel petto e si riaccende ogni volta che la guardo negli occhi. Il freddo però non brucia, il fuoco sì. E qualcosa mi dice che uscire indenni da un incendio non è possibile.

Era Oscar Wilde a sostenere che l'amore non faccia soffrire, che la solitudine ed il rifiuto sono la vera causa del dolore, non l'amore in sé. Devo ancora capire se la sua teoria combacia con la mia.
Perché da quando sono tornato dall'ospedale, la strada è stata sempre in discesa, senza ostacoli. Il sesso non è mai stato meglio e io sto cominciando a fidarmi per davvero di Juliet.
Ma la salita?
Mi chiedo se lei voglia davvero affrontarla al mio fianco.

Arriviamo a casa alle undici del mattino. Juliet si trascina la valigia dietro a fatica, è stanca per la sveglia presto di questa mattina, avremo dormito poco più di tre ore stanotte.
Ho solo bisogno del mio letto.

-Vai su, te la porto io la valigia.- le dico sfiorandole il braccio.

- Non ho bisogno del tuo aiuto!- mi graffia con un'acidità inaspettata.

-Juliet?-

Dopo la discussione con mio padre, ieri sera, non ero più dell'umore per stare con lei, l'avrei trattata male.
Così l'ho mandata via.
Possibile che ce l'abbia con me solo per questo?

-Che vuoi? Ti è passato il ciclo?- mi dice lei quando arriviamo davanti alle porte delle rispettive camere da letto.

-Voglio parlarti.-

BADLANDS IIWhere stories live. Discover now