Quando la notte fa paura

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Lo Sconosciuto era immobile davanti a me. Era proprio lui. La prima persona che avevo visto appena scesa dall'autobus.

Ci guardammo negli occhi rimanendo in silenzio per un istante interminabile.

Non sapevo che cosa fare, che cosa pensare. Avrei voluto urlare, o anche soltanto dire qualcosa, qualunque cosa, ma le parole continuavano a non voler uscire.

Sapevo che mia madre, anche se avessi gridato, da sotto la doccia non avrebbe sentito.

Così non feci nulla. Rimasi ferma e zitta a guardarlo, mentre lui continuava a guardare me. Fu un momento strano da descrivere.
Lo Sconosciuto era ancora più perfetto visto da così vicino. Lineamenti dolci, capelli un po' lunghi, castani. Occhi profondi, blu, di ghiaccio.

Alla fine, visto che lui continuava a rimanere in silenzio, presi coraggio.

<<Chi.... Chi sei?>> domandai, puntando i miei occhi nei suoi.

Il cuore mi batteva all'impazzata, le mani mi tremavano. Un po' perché continuavo a non capire per quale ragione si trovasse a pochi centimetri da me e un po' perché mi sentivo attratta da lui, in ogni maniera possibile.
Mi sentivo fuori controllo, ed era questa novità a rendermi ancora più insicura di quanto già non fossi.

Lui non rispose alla mia domanda, ma fece ancora un passo verso di me. Adesso eravamo davvero vicini.

<<Come ti chiami?>> gli chiesi allora.

Niente, soltanto silenzio. E quegli occhi che continuavano ad incastrarsi nei miei.

Lo Sconosciuto inclinò la testa. Si avvicinò ancora un po' ed io sentii una vampata improvvisa di calore accendere il mio corpo e il mio cervello.

Avrei voluto fare un passo indietro, o cento, e invece restai immobile.
Avrei voluto chiedergli qualcos'altro e invece rimasi ancora in silenzio.
Poi, all'improvviso, sentii la sua mano toccare il mio braccio, fino a stringersi intorno al mio polso sinistro.

Ero paralizzata.

<< Rose>> disse, in un sussurro.

Sbiancai, o arrossii, non lo so. So soltanto che in quel momento miliardi di pensieri cominciarono a inseguirsi frenetici nella mia testa.

Come poteva conoscere il mio nome? Ero più che certa di non averlo mai visto prima di quel giorno.

<<Come.... come puoi sapere come mi chiamo?>> gli chiesi, senza tentare di togliere la sua mano dal mio polso.

Lui non rispose, ma sembrò rivolgere lo sguardo per un attimo al cielo, da qualche parte.

<< Devi... tu devi...>>

Non capivo cosa stesse cercando di dirmi, ma la sua stretta era divenuta più intensa, più forte.

<<Devo cosa?>> gli chiesi, confusa e incapace di collegare qualunque tipo di pensiero.

Lui continuò a fissare un punto indistinto sopra di sé, poi di colpo mise nuovamente gli occhi nei miei. In quello stesso istante strinse ancora più forte la sua mano intorno al mio polso ed io ebbi, per la prima volta nella mia vita, una visione.

Una casa vuota, neve e pini tutto intorno.

Una musica in lontananza. Qualcosa che non riuscivo a riconoscere.

E poi ritagli di giornale. Pagine di quotidiani. Non riuscivo a capire che cosa ritraessero, né che cosa vi fosse scritto sopra. Ma ero certa che si trattasse di pagine di quotidiani.

Fu soltanto un attimo. Poi la sua stretta intorno al mio polso si affievolì e la visione si perse nel nulla.

Provai la stessa sensazione di confusione che si prova subito dopo un sogno, quando ci si risveglia e le immagini ancora non se ne sono andate ma nemmeno sono rimaste del tutto nella nostra testa.
Ma se potevo avere una certezza, era che io non mi ero addormentata e non stavo sognando. Lo Sconosciuto aveva stretto fortissimo la propria mano contro il mio polso ed io avevo avuto una visione. Era tutto vero.

Ancora una volta non riuscii a dire nulla.

Mi guardai intorno, spostando per un istante lo sguardo sul lago in lontananza.

Rabbrividii.

<<Che cos'era?>> gli domandai <<che cosa mi hai fatto vedere? >>

Lo Sconosciuto ancora una volta non rispose.

Fece un passo indietro senza togliermi gli occhi di dosso, ed io avrei voluto rimanere immobile e invece mi alzai di scatto.
Come se fossi attratta da una forza esterna, che non comandavo, mi avvicinai nuovamente a lui.

Poi accadde ancora.

La sua mano contro la mia spalla destra; come a volermi tenere dietro una linea invisibile ma invalicabile, e in quella frazione di secondo di nuovo la visione, la stessa di prima.

La casa vuota, deserta, la neve e i pini. Poi la musica indefinibile e i ritagli di giornale indecifrabili.

Come la prima volta, durò un istante, eppure mi sembrò così reale.

Quando la visione svanì io rimasi immobile e soltanto allora mi accorsi che il sole aveva già lasciato spazio alla sera.

La notte era così vicina e la mia paura così reale.

Tutto ciò che in quel momento volevo, pensai, era tornare in casa e abbracciare mia madre.
Al tempo stesso, però, avrei desiderato che lo Sconosciuto non se ne andasse.

Non era qualcosa che potevo spiegare; era qualcosa che sentivo dentro.

Ero pronta a ripetergli le mie domande, quando fu lui a parlare.

<<Vattene da qui, Rose>> disse, con lo stesso tono caldo di prima, ma più basso stavolta. Più cupo.

<<Vattene.>>

Rose e lo SconosciutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora