Dammi un motivo per restare

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Io e lo Sconosciuto attraversammo il viale che conduceva al cancello di casa e dopo pochi istanti ci ritrovammo fuori.

Era una mattina limpida, il cielo era azzurro. L'aria profumava di natura, di purezza.
Camminammo per qualche istante in silenzio e poi, quando mi sembrò che fossimo abbastanza lontani da casa, mi fermai. Lui si fermò con me.

<<Che cosa c'è?>> mi chiese guardandomi dritto negli occhi.
Esitai. Avrei voluto urlare. Come poteva sembrargli tutto normale?
Come poteva chiedermi qualcosa del genere?

<<Voglio che tu mi dica tutto. Voglio che mi dica chi sei e che cosa vuoi da me. E voglio anche che tu mi dica cosa significano le visioni che mi hai fatto avere ieri sera, quando mi hai toccata. >>

Lui, impassibile, non disse proprio nulla. Semplicemente, riprese a camminare.

Gli andai dietro.

<<Perché ti comporti così? Perché ti presenti in casa mia se poi non riesci a dirmi nulla? Neanche il tuo nome!>>

Ancora niente. Non rispondeva. Non dava neppure l'impressione di ascoltare ciò che stavo dicendo. Come se io fossi invisibile.
Ma non mi fermai. Ero determinata ad andare avanti, perché non ero certa di quando ne avrei avuto nuovamente la possibilità. Per quel che ne sapevo, quella avrebbe potuto essere anche l'ultima volta che lo vedevo.

Provai una fitta allo stomaco di fronte a quel pensiero.

Ma perché?

Io non ero mai stata innamorata di nessuno prima di allora. Cosa c'era in lui ad attrarmi così intensamente?

Era assurdo, ma neanche riguardo a questo avevo una risposta.

Visto che continuava a non parlare decisi di cambiare tattica e cominciai a camminare accanto a lui in silenzio.
Speravo che, così facendo, prima o poi si sarebbe aperto in qualche modo.

Ma non lo fece.

Continuammo a camminare ed io non sapevo neanche dove stessimo andando.
Avrei dovuto fermarmi e tornare indietro, lasciarlo lì da solo. Ed era ciò che avrei fatto fino a un giorno prima, con chiunque. Non mi sarei lasciata trattare così da nessuno e per nessuna ragione al mondo. Ero sensibile, sì, forse troppo, ma non stupida.
Eppure c'era qualcosa che continuava ad impedirmi di andarmene. Era una sensazione che veniva da dentro e che prima di quel momento non avevo mai provato, ed era questo a spaventarmi di più. La consapevolezza che accanto a lui il mio istinto finiva sempre con l'annullare la mia ragione.

<<Riesci a dirmi almeno dove stiamo andando?>> gli chiesi, seccata.
<<Aspetta ancora qualche minuto e lo vedrai>> mi disse lui, con tono dolce.

Mi aveva risposto. Quasi non riuscivo a crederci.

Avevamo superato il centro della città da un pezzo e ci trovavamo in una via stretta e scura. Lunga. Il mio cuore aveva cominciato a battere forte. Ok, avevo scelto di ascoltare l'istinto, ma se lui avesse avuto brutte intenzioni io non avrei avuto scampo.
Al diavolo, pensai. Avevo trascorso diciotto anni chiusa in una gabbia d'oro. Forse, al fondo di quella via, c'era qualcosa che sarebbe valso la pena vedere.

Respirai profondamente e continuai, ubriaca d'incoscienza, a fidarmi di lui.

<<Ci siamo quasi>> mi disse.

Un minuto dopo arrivammo alla fine della via e svoltammo l'angolo.
Ci ritrovammo davanti ad un enorme cancello arrugginito.
Lo Sconosciuto, con un unico movimento agile, ci salì sopra.
Poi, senza dirmi nulla, mi tese semplicemente la mano.
Io esitai qualche istante e quindi gliela porsi.
Mi sorpresi della facilità con cui mi sollevò senza perdere l'equilibrio e senza muoversi da sopra il cancello. Senza nemmeno vacillare.

Rose e lo SconosciutoWhere stories live. Discover now