Una vita felice

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Lo Sconosciuto non disse nulla.

Mi guardò come se, udite le mie parole e metabolizzato il loro significato, avesse semplicemente accettato la mia risposta.

Cameron si avvicinò a noi, con aria interrogativa.

<<Qualcuno di voi due ha voglia di spiegarmi che cosa sta succedendo?>> chiese, con tono vagamente irritato.

Gli raccontai di Mitch e Cecile. Lui, che era stato testimone tanti anni prima di eventi ugualmente inspiegabili, non sembrò stupito. Era come se sapesse perfettamente che quei demoni che tanti anni prima avevano incrociato la sua strada prima o poi sarebbero tornati a chiedere il conto.

Adesso l'avevano fatto.

<<Che intenzioni avete?>> ci chiese.
<<Dobbiamo tornare a Mainwood. Penseremo a Mitch.>>
<<E Cecile?>> chiese lui.
<<Di lei non ci dobbiamo preoccupare, in questo momento. È tutto sotto controllo>> rispose lo Sconosciuto con tono calmo.
Cameron lo guardò a lungo, poi guardò me.
<<Non voglio sapere nulla sul tuo amico, d'accordo? Mi è bastato vederlo in azione in casa mia. Quello che lui dice, a me sta bene.>>

Sorrisi, con mio stupore. Il primo sorriso dopo minuti di inferno.

<<Ragazzi, seguitemi. Non siamo distanti da quella baracca di cui vi parlavo. Ho una vecchia Ford parcheggiata in garage, laggiù. La uso quando i miei momenti di solitudine si trasformano in giorni, e mi rendo conto di non poter mangiare pesce in continuazione. Prenderemo quella e andremo dritti a Mainwood. Prima della notte saremo lì.>>

<<Saremo?>> chiesi, esitando.
<<Già. Sono dei vostri. Non c'è nessuno ad aspettarmi a casa. E questo caso.. Mi ha tenuto in pensiero per anni. Se ci fosse anche solo un barlume di speranza di trovare delle risposte, farei di tutto per non lasciarlo svanire nel nulla.>>

Guardai lo Sconosciuto, che annuì.

<<D'accordo>> disse <<andiamo.>>

Camminammo qualche minuto lungo la riva, guardandoci le spalle. Non potevamo sentirci al sicuro.

Forse, in realtà, un luogo sicuro per noi non esisteva più.

Pensai a mia madre. La rividi seduta su quella sedia, con quel coltello puntato alla gola. Mia madre, perché la mia vera mamma era lei, nonostante fossi la figlia di Melissa Clarkson. Lei mi aveva cresciuta, lei si era presa cura di me. Insieme a Mitch.
Sapere che entrambi adesso vivevano quella situazione disperata mi faceva sanguinare dentro. Era come se qualcuno mi stesse accoltellando in continuazione tenendomi in qualche modo in vita.
E cominciavo ad aver paura delle mie visioni, perché sempre più spesso finivano con l'avverarsi.

Lo Sconosciuto mi camminava accanto, in silenzio. Pensai anche a lui. Era tutto così contraddittorio. Era qui con me, lo era sempre stato, eppure continuava a tenermi all'oscuro di tutto. Ed io sapevo che più sarei andata avanti a pormi domande del genere, più la rabbia in me sarebbe aumentata, inesorabilmente.
Ma era anche grazie a lui che ero ancora viva.
Avrei voluto prendergli la mano e stringerla nella mia, e al tempo stesso correre lontano, lontanissimo da lui.
Non mi ero mai sentita così combattuta prima di quel momento.

Giungemmo alla vecchia baracca di cui ci aveva parlato Cameron.

<<Aspettatemi un attimo qui>> disse lui, dirigendosi verso la porta d'ingresso.

Ci fermammo lì davanti ed io mi sedetti sugli scalini davanti all'entrata.
Lo Sconosciuto, qualche istante dopo, fece lo stesso.

<<So che sei combattuta, Rose. So che dentro di te tutto è una tempesta, adesso. So che vorresti sapere di più su di me e su ciò che sta succedendo. Ti prometto che avrai delle risposte. Ma non adesso.>>

Lo guardai, sconvolta.

<<Che cosa significa? Perché ti comporti così con me? Tu sai come mi sento. Sai che cosa provo.>>

Lui mi guardò negli occhi, poi sospirò.

<<Lo so, lo so perfettamente. Io non.. Non avrei mai pensato di incontrarti. La verità è che là fuori c'è tutto un mondo di cui non sai nulla. Ed è pericoloso. Mortale, incontrollabile, inarrestabile. Vorrei che tu...>>

Si fermò, mi prese una mano nella sua. Sentire quel calore fu così bello.

<<Vorrei soltanto che tu..ne restassi fuori. Davvero. Vorrei che tu potessi vivere la tua vita in modo normale come tutte le ragazze del mondo. Vorrei che tu potessi ridere, scherzare, avere degli amici. Trovare un uomo, innamorarti di lui, avere dei figli. Crescerli, innamorarti di loro, essere felice. Ma più di ogni altra cosa vorrei che tu potessi essere al sicuro. E se non riesco ad aprirmi con te è soltanto perché sto cercando di proteggerti. Per non spaventarti, perché so che già lo sei, oltre ogni limite.>>

Si fermò ancora, intrecciò le sue dita nelle mie.
<<Vorrei solo che tu potessi vivere una vita normale, Rose. Una vita felice.>>

Abbassai lo sguardo, perché la sincerità dei suoi occhi aveva la capacità di disarmarmi completamente.
Mi chiesi che cosa fosse il mondo terrificante di cui parlava.

<<Perché stai facendo tutto questo per me, allora? Perché? Tu non sei obbligato a proteggermi. Se vuoi che io viva una vita felice, ignorando ciò che fa parte della realtà che tu sembri conoscere così bene, perché adesso sei qui? Perché stai stringendo la mia mano?>>

Lo Sconosciuto volse lo sguardo altrove, in lontananza, verso il fiume.

<<Perché se io non fossi qui, tu saresti già morta. Ed io non posso permettere che accada.>>
<<Perché?>> gli chiesi, in un sussurro.
<<Perché tu hai ridato significato a ciò che prima era tenebra, vuoto, devastazione. I colori... Mi ero lentamente dimenticato dei colori. Dei profumi. Di che cosa potesse significare emozionarsi per un'altra persona. Provare ciò che prova lei. Sentire il suo cuore battere. Sei importante per me, Rose. Lo sei davvero.>>

Rimasi in silenzio. Nessuno mi aveva parlato in quel modo prima. Mai.

<<Provi questo per me, eppure immagini la mia vita senza di te.>>

Lo Sconosciuto mi lasciò la mano. Abbassò lo sguardo, poi puntò nuovamente i suoi occhi verso il fiume.

<<Ti immagino viva e al sicuro, Rose. E questa per me è la cosa più importante. Non importa quale sia il prezzo da pagare.>>

Avrei voluto baciarlo e dirgli che, nonostante tutte le contraddizioni, i dubbi, le insicurezze e le paure che mi portavo dentro, io non volevo pensare ad un futuro senza di lui.
Mi aveva fatta sentire importante. Diversa, speciale. Come se per me valesse la pena correre dieci, cento, mille rischi.

Nessuno si era mai spinto così lontano a causa mia.

Poi all'improvviso la porta alle nostre spalle si aprì, e Cameron uscì dal rifugio con una sacca sulle spalle ed un fucile tra le mani.

<<Che cosa c'è lì dentro?>> gli chiesi, curiosa.

Posò il borsone a terra e lo aprì.
Guardai al suo interno.
Armi, di ogni tipo.
Quattro o cinque pistole, altri tre fucili e tanti coltelli. E tante, tante scatole di munizioni.

Lo guardai, sconvolta.

<<Il tuo amico non è normale, ragazza mia. Io non so combattere in quel modo. E non ho alcuna intenzione di lasciarci le penne.>>

Esitai, poi guardai lo Sconosciuto.

Stava sorridendo.

Cameron richiuse il borsone e se lo mise dietro le spalle, quindi indicò con un cenno del capo il garage dietro la baracca all'interno del quale c'era la vecchia Ford di cui ci aveva parlato.

<<E adesso andiamo a fare il culo al mondo>> disse, mostrandoci le chiavi della vettura.

Rose e lo SconosciutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora