Capitolo 8: SALVE SIGNORINA

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Quando arriviamo alla stanza di America, c'è il suo amico che la aspetta proprio davanti alla porta.

"Non provare a dire la stupida frase: Te lo avevo detto" gli dice lei, infilando nella toppa la chiave che ha appesa al collo. "Una umiliazione mi basta e avanza per questa sera".

Penn alza le mani e ci segue in camera. "Cos' è successo?" mi chiede, mentre America si chiude in bagno a farsi una doccia bollente.

Spiego a Penn come sono andati i fatti; il gioco di Ed e la perfidia di Phoebe. Sono una squadra a delinquere quei due se presi insieme. Non capisco come Ashley vada così d'accordo con Phoebe e ami alla follia Ed. Eppure lei non sembra fatta della loro pasta!

"Non avrei dovuto permettere ad America di partecipare. L'invito di Ed mi è subito sembrato strano. Dopo l'episodio allo Starbucks poi, immaginavo che ci fosse di mezzo Phoebe e che quei due stessero tramando qualcosa" Penn si prende la testa tra le mani, dispiaciuto. "È solo che America è così cieca! Adora il mondo degli IN, il vostro mondo, ma non si rende conto che non potrà mai farne parte. Chi nasce IN muore IN e chi nasce OUT muore OUT" si abbandona a sedere su uno dei due letti.

Per un attimo restiamo in silenzio. La sveglia sul comodino di America emette un noioso ticchettio. Mi guardo intorno.
La stanza è ricoperta di cartoline ricevute dai paesi più lontani e poi ci sono molti libri, la maggior parte di indirizzo medico. È un arredamento ben diverso da quello di una stanza da cheerleader.

"Se vuoi andare vai" rompe il silenzio Penn, "aspetterò io che America si riprenda da questa brutta avventura. Le rincalzerò le lenzuola e le darò in fronte il bacio della buonanotte".

Torno a guardare il ragazzo seduto sul letto.
E' semplice, dentro al suo paio di jeans corti e alla sua camicia a quadri. Ha un tatuaggio sul polpaccio, un drago con tanto di fuoco che gli esce dalla bocca.

"Io... preferisco aspettare, se non creo problemi" dico, muovendo le dita dei miei piedi nudi.

Penn emette una specie di "Oh" formando con le labbra un piccolo cerchio. "E allora mettiti comoda, credo che ci voglia un po'..." indica il rumore dell'acqua della doccia.

Mi siedo nel letto di fronte. Penn guarda a terra, in evidente imbarazzo.

"Siete molto amici tu e America?" tento di istaurare una conversazione, anche se mi pento subito dopo di quello che ho chiesto. Che razza di domanda è? E' chiaro che lo sono, frequentano ogni corso insieme, mangiano insieme e immagino si sentano al telefono anche solo per scambiarsi la buonanotte.

"Conosco America dal suo primo giorno di asilo" dice lui.

"Sono molti anni" convengo.

"Già!". Gli occhi di Penn sono attratti ancora una volta dal linoleum.

"E di chi sono tutte le cartoline appese in questa stanza?".

Il moro solleva lo sguardo, scrutando le pareti. "I suoi genitori. Viaggiano molto ed ogni volta spediscono ad America una cartolina. Ne ha circa una novantina!".

Mi incanto sull'immagine della Statua della Libertà appesa sopra la scrivania. Per un attimo ho nostalgia di casa.

"Holland, giusto?".

Sposto i miei occhi su quelli scuri del ragazzo che ho davanti. A quanto pare sembrano aver preso il coraggio di guardare appena più in alto del pavimento.

"Sì, Penn" lo dico sicura, dimostrandogli di conoscere il suo nome. Anche se non ci siamo mai rivolti parola prima di adesso so come si chiama, così come conosco America. La Jacksonville University non è poi così grande e ognuno di noi ha una propria "popolarità" all'interno.

Il ragazzo ha un attimo di incertezza, prima di muovere di nuovo le labbra. "Perché lo hai fatto, perché hai aiutato America?".

Sapevo che me lo avrebbe chiesto. Sembra quasi abbia commesso un atto eroico questa sera o, forse, dovrei dire, un vero e proprio suicidio ad andare contro la famiglia degli IN.

"Ho solo aiutato una persona in difficoltà".

"Sai che loro te la faranno pagare?" mi guarda preoccupato.

Faccio spallucce.

"Phoebe non scherza" ribadisce Penn, "le hai fatto un affronto! Guarda cosa ha combinato a noi solo per essere entrati allo Starbucks a prendere un caffè!" .

"Non ho paura di lei" dico, "non ho paura di nessuno di quei figli di papà, e poi come potevo lasciare una ragazza nuda in mezzo all'oceano? Non rientra nei miei principi. Io non sono così" .

Penn si fa pensieroso e posa la nuca contro il muro. La sua teoria della nascita e della morte nella stessa famiglia pare vacillare.

"E' vero, Holland, tu sei diversa" dice America, uscendo dal bagno. Indossa un paio di pantaloni del pigiama e una felpa con il cappuccio. "Sei bellissima e, a differenza di tutti gli altri, hai anche un cuore".

Mi alzo e le vado incontro.

"Grazie. Mi dispiace che Phoebe abbia minacciato di escluderti da tutto per colpa mia" mi avvolge in un abbraccio.

"Non preoccuparti, se domani non sarò più una cheerleader o una sciacquetta di Phoebe saprò farmene una ragione, credo che troverò qualcosa di alternativo con cui trascorrere le mie giornate. Sai, non è poi il massimo passare i pomeriggi allo Starbucks ad ascoltare gli sfoghi di Phoebe e nemmeno prediligerla nelle sue strampalate coreografie di ballo!".

America finge un sorriso, so bene che in realtà si sente responsabile della mia esclusione, ma per me è davvero poco importante. Il mondo degli IN mi sta dando ai nervi e questa, forse,
è solo una buona occasione per uscirne. Spero soltanto che Phoebe e la sua comitiva mi lascino in pace, non voglio avere guai con l'università né con mio padre.

Saluto America e Penn e vado nella mia stanza. Sfilo il vestito e lo abbandono sulla stampella. Prendo la mia busta da bagno e apro il rubinetto. Sollevo le ciocche di capelli sulla testa e mi soffermo a guardare la vasca riempirsi. Il vapore dell'acqua invade la stanza. Mi immergo lentamente, fino al collo. Chiudo gli occhi e poso la nuca sulla sponda. L'odore di lavanda è inebriante. Mi viene in mente mia madre. Era il suo profumo e mi manca da morire.

Quando esco mi lego un asciugamano intorno ai seni e indosso le infradito. E' una bella sensazione avere finalmente le piante dei piedi su qualcosa di stabile e asciutto. Torno in camera da letto, presa dai miei pensieri e dalle mie mancanze, quando il mio cuore si ferma all'improvviso.

Non riesco a dire una parola, in realtà non riesco neanche a respirare. Sbatto le palpebre, frastornata dalla presenza di un ragazzo in divisa militare disteso con una gamba sull'altra sopra il mio letto, che mi guarda con un paio di occhi chiari e penetranti così belli mai visti prima.

"Salve signorina" dice, girando tra le mani una catenina con uno strano pendente appeso.

La mia voce torna come per magia. Giusto il tempo per gridare a squarciagola.

"Ahhh!!!"

ENDLESS - Anime Rosse || Ian SomerhalderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora