Capitolo 47: RIVERPLACE TOWER

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Il giorno seguente, nonostante sia sabato, lo studio Felton è aperto fino alle diciotto. Ian ha chiamato il centralino per avere l'informazione. La segretaria ha anche aggiunto che l'avvocato è fuori città, ma suo figlio sarà disponibile per prendere qualsiasi appuntamento. Così, senza pensarci due volte, ci dirigiamo al Riverplace Tower. L'enorme edificio, sfaccettato di vetrate da ogni lato, mi incute quasi soggezione.

"Entriamo!"

Per fortuna la voce di Ian, sicura e, almeno apparentemente determinata, mi fa procedere a testa alta. L'ascensore sale fino al ventottesimo e ultimo piano. Si apre. Un grande bancone centrale in plexiglass, divani scuri in pelle e faretti moderni adornano la sala. Ci sono alcune porte, ognuna con una targhetta al centro.

"Da questa parte" Ian mi conduce sulla destra.

E' già stato qui e si vede da come si muove con destrezza. Non faccio in tempo a leggere le parole sulla targhetta che lui ha già bussato.

Tom Felton in persona viene ad aprirci. La visione del biondino pelle e ossa mi fa salire i brividi lungo la spina dorsale. Le sue mani attorno alla mia gola o a premermi il cuscino sul viso mi tornano alla mente come un flash. Stringo forte i denti e cerco di affondare la paura in fondo al cuore.

"In cosa posso essere ut..." La richiesta di Tom non ha un inizio né una fine, stroncata a metà dalla furia e dalla rabbia di Ian, il quale si fionda sul ragazzo, spingendolo contro il muro. Mi affretto a chiudere la porta, prima che qualcuno possa accorgersi della nostra non proprio piacevole visita.

"Ehi, ehi, vacci piano, uomo del pendolo!" ridacchia Tom.

Gli occhi di Ian sono un tutt'uno con quelli della sua vittima, sputano veleno da quanto sono arrabbiati e furiosi.

"Cosa vuoi da noi?"

"Sapevo che saresti venuto a cercarmi" replica lui, tentando di liberarsi dalla presa ferrea con la quale è costretto alla parete. "Voglio il pendolo e voglio la vostra vita, non lo avete ancora capito?"

"Se continui a perseguitarci saremo costretti ad andare dalla polizia"

Qualcuno passa fuori, poco lontano dall'ufficio. Fa qualche colpo di tosse e si soffia il naso. Volgo uno sguardo alla porta e poi di nuovo ai due ragazzi.

"La polizia?" Sta ridendo Tom come se Ian gli raccontasse una barzelletta. "E cosa andrai a dire alla polizia? Che un tuo amichetto vuole rubarti la collanina?"

Ian scuote le spalle del biondino. Posso sentire il rumore delle sue ossa sbattere con violenza contro il cartongesso.

"Nessuno ti crederà!"

Ian contrae la mascella, sapendo che la storia della polizia, in effetti, non è una buona scusa. Intanto Felton fissa la maglietta di Ian, la fissa in modo fermo e inquietante. Sento le gambe tremare e lo stomaco bruciare come se stessi buttando giù un calice di vino.

"Dammi il pendolo" ordina fermamente.

"Perché lo vuoi? Perché ti interessa così tanto?" La stretta di Ian non molla di intensità.

"E' mio. Appartiene alla mia famiglia"

Ian sbatte la fronte contro quella di Tom. Occhi sugli occhi. Iridi contro iridi. "Non è una buona risposta" sibila.

"Voglio essere io ad usarlo, spetta a me, non a te! Voglio ricongiungermi alla mia anima gemella"

Ian lo strattona pesantemente. Lo sguardo di Tom vacilla, ma solo per un istante.

"Stupidaggini, sono tutte stupidaggini!" grida Ian con voce rauca.

"Tu vieni da un altro tempo, anche questa è una stupidaggine? Hai seguito un filo rosso, non è vero? E ti ha portato fino a qui" dice Tom, gongolandosi della reazione che provoca nell'espressione attonita del suo sfidante.

Ian emette un inquietante suono gutturale. Deglutisco, avvicinandomi a loro di un passo. Quello che leggo negli occhi di Ian è rabbia e desiderio di sapere. Odio, domande e bisogno di risposte. E tutto questo non è un mix esattamente vincente.

"Come diavolo fai a sapere queste cose?" Di nuovo la sua fronte è attaccata a quella di Tom. I loro respiri si intersecano, l'uno più cattivo dell'altro.

"Io posso" sputa fuori Felton con un mezzo sorrisetto. Poi punta gli occhi di nuovo alla maglia di Ian. Allunga il braccio e, con un movimento repentino e sorpreso, tenta di strappargli la collana che ciondola al di sotto della stoffa. In un lampo Ian lo blocca. A dire il vero fa una mossa che è degna del miglior atleta di karate. E Felton si ritrova a terra, di schiena, decisamente KO.

"Mio padre è un avvocato, se solo mi torcerai un capello io ti farò rinchiudere. E da rinchiuso non potrai più proteggere Holland. Ucciderla sarà molto più semplice"

"Perché diavolo vuoi ucciderla, Felton? Perché ti interessa la sua vita? Non è questa maledetta collana che vuoi?" Gli occhi di Ian passano dal suo petto alla mia figura impaurita poco distante. Diavolo! Stanno parlando di me e della mia maledetta vita.

"Io voglio l'orologio e voglio uccidere te" gracchia Tom, contorcendosi a terra. Ha un braccio bloccato dietro la schiena e la guancia schiacciata contro le mattonelle. "Ma uccidere Holland è più semplice. So che siete legati e se la uccido, ucciderò anche te e poi mi verrò a prendere quel cazzo di pendolo!"

I brividi si impadroniscono del mio corpo. Il piano di Tom è diabolico, le sue intenzioni vanno oltre l'immaginario. Sento la mia voce tremare mentre prega Ian di lasciarlo perdere e fuggire via.

"Dovresti dargli ascolto, sai, con te chiuso in carcere sarà più facile compiere il mio lavoro!"

Tom smette di dimenarsi e Ian respira a fatica.

"Ti prego, Ian, vieni via" mi avvicino cauta, posando una mano sulla sua spalla.

Lui solleva di nuovo il corpo del biondino. E quando dico sollevare intendo proprio sollevare! Da disteso, Tom si ritrova a mezz'aria. I suoi piedi si muovono a vuoto, mentre Ian senza troppa fatica lo porta di nuovo alla parete. Incastra la sua maglietta all'appendiabiti e lo lascia così, appeso.

Tom sgambetta. "Torcimi un solo capello e finirai al fresco!"

Prima che Ian commetta qualcosa di irreparabile lo afferro per la manica e lo tiro via. Apro la porta e lo trascino fuori, lasciando il giovane Felton a dimenarsi per scendere.

Corriamo verso l'ascensore e, non appena la porta si chiude, le nostre braccia si incastrano le une alle altre.

"Ho paura, ho tanta paura" Il mio cuore va a mille, più veloce del vento. Molto, molto di più.

"E' tutto a posto" mi soffia lui tra i capelli. "Tutto a posto"

Una lacrima mi riga il viso. Non è affatto tutto a posto, ma fingo di crederci e mi avvinghio forte al corpo caldo, arrabbiato e sconvolto di Ian. L'ascensore ci riporta a piano terra.
Siamo entrambi così sottosopra che non riusciamo neanche a parlare. Camminiamo in silenzio, ognuno con le proprie paure, i propri pensieri e un milione di domande.

ENDLESS - Anime Rosse || Ian SomerhalderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora