Capitolo 12: DOWNTOWN

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Raggiungiamo Dowtown nella tarda mattinata. Ian si guarda intorno spaesato, sembra un bambino nel suo primo giorno di asilo. 

"I palazzi sono così alti" dice frastornato, "e c'è così tanta gente e così tanto rumore..."

Le auto ci passano vicine, mentre procediamo in direzione del Florida Theatre, Ian dice che la sua famiglia vive poco distante. Sbircio il ragazzo che cammina al mio fianco; man mano che ci avviciniamo alla meta il suo volto sembra rasserenarsi ma, quando arriviamo a destinazione, la sua espressione muta repentinamente. Le sue mascelle si stringono e le sue spalle si abbassano per lasciar andare un respiro profondo.

"Hotel Clarke" leggo sull'insegna fuori dal grande cancello.

Ian mi guarda sconsolato. La sua espressione è chiaro disappunto e mi fa stringere forte lo stomaco. Lo osservo appoggiare la schiena al muretto e scivolare a terra con la testa tra le mani.

Indecisa sul da farsi, poso una mano sulla sua spalla.

"La mia casa è qui. E' sempre stata qui..." Le sue labbra si muovono incredule e i suoi occhi ritagliano una sottile fessura tra le dita, "ma questo edificio è così diverso..."

Osservo il palazzo; le gigantesche vetrate sulla facciata, la porta girevole, il parcheggio sull'aia.

"E' tutto così strano e nuovo, mi spieghi come è possibile?" L'incredulità fa da padrona nella voce del giovane, "come faccio? " scuote la testa, in preda ad una imminente crisi di panico. I suoi occhi adesso sono posati nei miei e le sue mani mi afferrano una caviglia, provocandomi un brivido che risale lungo tutta la gamba. "Io devo tornare dalla mia famiglia!"

Le dita del ragazzo sono strette intorno all'orlo dei miei pantaloni. Mi abbasso lentamente, sedendomi a terra, al suo fianco.

"Troveremo una soluzione, stai tranquillo"

Ian mi guarda storto. La sua vicinanza e la sua inquietudine mi agitano notevolmente. Non so cosa mi succede ma quando questo misterioso ragazzo mi guarda è come se il mio corpo fosse l'epicentro di un terremoto. 

"Provo a sentire dentro, ci sarà un portiere o qualcuno disponibile a darci una mano"

Il tono di Ian è improvvisamente determinato, come le sue gambe che si tirano su e si muovono veloci fino all'entrata. Lo seguo, senza avere la minima idea di cosa aspettarmi.

Ian raggiunge la reception e si rivolge a un uomo sulla sessantina che sta scarabocchiando una rivista di parole crociate.

"Scusi, può aiutarci?"

Il tizio solleva lo sguardo sul giovane, proteso sul bancone, desideroso di conoscere che fine abbia fatto la sua casa.

"Da quanto esiste questo affitta stanze?"

"Hotel" preciso, improvvisando un sorriso di circostanza.

Il portiere ci guarda perplesso, indeciso se darci ascolto o rimettersi a fare i suoi rebus.

"Ho bisogno di saperlo, la prego" La voce di Ian è disperata. Le sue mani passano ripetutamente tra i capelli.

"L'hotel è stato aperto negli anni sessanta" dice il tizio, continuando a guardarci storto.

"E prima, prima di questo affitta stanze, cosa c'era? Sa dirmelo?"

I piccoli occhi del signore in divisa da uscere si spostano da me a Ian lentamente, sembrano studiarci. Sicuramente staranno decifrando se siamo o meno due squilibrati.

"Non ho idea di cosa ci fosse prima..." 

"E' molto importante per me, la scongiuro" Ian si sporge sul bancone ancora di più.

L'uomo sbuffa e, infastidito, alza gli occhi al cielo. Poi lascia andare un sospiro: "Questo edificio è stato ristrutturato interamente dal signor Clarke in persona. Prima c'erano delle abitazioni, cosa vuole che ci fosse? Scusi, ma perché mi sta facendo tutte queste domande?"

Ian serra le labbra, fissando l'uomo negli occhi. Non risponde alla sua richiesta, ma ne fa prontamente un'altra: "Voglio un appuntamento con questo tizio! Il prima possibile, per favore"

L'uomo ride sonoramente. "Sa che è proprio divertente? Il signor Clarke è morto che saranno dieci anni ormai, adesso l'hotel è in mano alla figlia"

Ian si rabbuia. Fa un paio di passi indietro e poi corre fuori dall'edificio. Lo inseguo, per vederlo poco distante, a sedere sul bordo di una delle fontane del giardino. Ha gli occhi bassi e la collana con il ciondolo tra le mani.

"Mi dispiace"

Non so cosa altro dire. E' una situazione assurda. Ian non risponde, continua a fissare il pendolo, ma non so neanche se lo stia vedendo o meno. Il suo sguardo sembra assente.
Il rumore creato dall'acqua della fontana è uno scroscio continuo. Vicino a noi passano persone ben vestite, con la ventiquattrore alla mano, chiaramente dirette a lavoro.

Non so cosa fare di preciso, qualsiasi idea mi sembra assurda o irrealizzabile.
Poi ho un lampo di genio: "Quella collana" punto l'indice sull'oggetto della disavventura, "hai detto che è stato il pendolo a farti arrivare fino a qua, e se andassimo al negozio dove l'hai comprata? L'hai presa per strada mentre tornavi a casa, giusto?"

Ian solleva lo sguardo. I suoi occhi sembrano avere un guizzo di speranza. 

"Sì, hai ragione!" esclama, stringendo il ciondolo dentro una mano. "Io so dove si trova il negozio, è solo a pochi passi da qua, come ho fatto a non pensarci prima!"

Gli sorrido, felice del mio piccolo contributo. Ian sembra tornare di nuovo attivo. Si mette in piedi e fa una cosa che mi lascia senza respiro. Mi prende per mano. Il suo gesto è semplice, spontaneo, del tutto scontato, ma in grado di farmi tremare le ginocchia.

Camminiamo per circa cinque minuti, ma ho la sensazione che siano un'eternità dal momento che la presa del giovane resta ben salda alla mia per tutto il tragitto.

Quando arriviamo a destinazione però, facciamo la seconda amara scoperta della giornata; il negozietto che ci aspettavamo di trovare non esiste, a quanto pare è stato  sostituito da un enorme centro commerciale.
Questa volta non sono in grado di fare niente per tirare su di morale il ragazzo in cerca di risposte. Le nostre mani si separano e una piccola parte di me ne sente subito il distacco.

Ian si avvicina ad uno dei lampioni che costeggiano il viale, si sorregge. Le sue nocche stringono forte il metallo, mentre il mio cuore trema dentro al petto.

Per quanto tutta questa faccenda sia fuori dal normale, per qualche minuto, il contatto con Ian mi ha fatto sentire al sicuro. Per la prima volta, dopo tanto tempo, mi sono sentita importante per qualcuno. Un qualcuno che non conosco, che non so minimamente chi sia o da quale tempo venga realmente, ma che è qui con me ed ha bisogno di aiuto, più di quanto ne abbia mai avuto bisogno io.

ENDLESS - Anime Rosse || Ian SomerhalderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora