✨15. Un istante di pura magia

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Belle odiava da sempre l'esercizio ginnico: anche se le energie non le mancavano, preferiva di gran lunga impiegarle in qualsiasi altra attività, mentale o manuale che fosse, mentre si sentiva piuttosto scoordinata e impacciata nelle discipline motorie. Suo malgrado, doveva presenziare tutte le settimane a una lezione di educazione fisica, impartita alle bambine e alle ragazze di tutte le età. Fortunatamente le ore dedicate all'allenamento ginnico a cui doveva attenersi erano poche, se paragonate a quelle previste nell'istituto maschile. Era fondamentale aumentare la resistenza dei ragazzi al lavoro e alla fatica, in vista del lavoro futuro che avrebbero dovuto svolgere. Invece, per creare delle perfette donne di casa, belle e affascinanti, servizievoli e abili in cucina, serviva ben altro.

Isabelle, sebbene disprezzasse questa discriminazione verso il genere femminile, era contenta di poterne trarre vantaggio: considerava le ore di educazione fisica una vera e propria tortura, anche peggiore delle inutili lezioni di galateo e buone maniere. Non aveva mai amato la corsa, né i giochi con la palla. Odiava la competizione e le gare di resistenza. Di solito si nascondeva tra le compagne, per non essere notata dal precettore, sempre pronto a criticare i suoi sforzi inutili e la sua goffaggine. Quel giorno, però, se l'avesse vista avrebbe stentato a riconoscerla. Era in preda a un'energia e una forza indomabili, niente poteva fermarla: aveva un obiettivo chiaro in mente, e la sua ostinazione sapeva darle un vigore che nemmeno lei sapeva di avere. La sua tenacia, il suo coraggio, la sua indomita determinazione le davano la forza di resistere.

Fu una folle corsa contro il tempo, in cui riuscì a ignorare la fatica e la stanchezza, sospinta di continuo dall'adrenalina che fremeva nelle sue vene. In poche ore, aiutata da Gilbert e Jane, riuscì a salvare una piccola ma non indifferente parte del tesoro di Maurice. Avevano ripercorso il tragitto che conduceva dall'istituto femminile alla libreria almeno una decina di volte, nell'arco della giornata. Avanti e indietro, fermandosi solo per il pranzo e per riprendere fiato, continuando instancabilmente a riempire e svuotare borse e sacche di tela con i preziosi libri.

Jane aveva provato a stare dietro a quella Belle che non riconosceva, infaticabile e dalla prodigiosa resistenza. Per lei avrebbe fatto qualunque cosa, ma il suo corpo esile e delicato si piegava sotto il peso dei libri, portandola a rallentare lungo il tragitto. Gilbert se ne accorgeva all'istante e, sempre pronto ad alleggerire i suoi fardelli, svuotava le sue borse riempiendo le proprie fino all'orlo. Belle li affiancava, un passo dietro l'altro, senza mai interrompere la sua maratona. Sembrava un automa, silenziosa e risoluta, inespressiva, gelida. Non aveva difficoltà a nascondere la sofferenza fisica, a ignorare le braccia doloranti e le gambe pesanti. Erano i suoi pensieri invece a non darle pace: la sua mente vorticava in preda a mille paure, i suoi occhi lucidi tradivano la sua sicurezza, mentre cercava in tutti i modi di celare il tormento emotivo che imperversava nel suo animo. Un groppo in gola le impediva di respirare a pieni polmoni, ma cercava di riversare tutta la sua rabbia e la sua agitazione in quella foga che manifestavano i suoi movimenti. Tentava di sostituire i pensieri negativi e angosciosi con la determinazione che si era fatta strada nel suo cuore, ridandole la speranza.

Alla fine, quando ormai il pallido sole di gennaio aveva abbandonato il cielo, lasciando il posto al buio della sera, i tre instancabili lavoratori raggiunsero l'istituto sulle gambe ormai molli e tremanti, adagiando l'ultimo carico di libri sugli scalini dell'ingresso e abbandonandosi senza forze sul gelido pianerottolo. Belle posò a terra le ultime due borse piene di volumi e si lasciò cadere, dando ascolto per la prima volta ai piedi in fiamme, alla schiena rigida e dolorante, alle gambe indolenzite e alle dita delle mani ormai intorpidite. Spostò i capelli appiccicati al viso e li raccolse dietro le orecchie, liberando le guance arrossate e la fronte bagnata di sudore. Abbassò lo sguardo sulle scarpe piene di polvere e osservò i vestiti sporchi e stropicciati... Mai avrebbe pensato di poter resistere a una simile fatica.

Mentre cercava di riprendere fiato, posò lo sguardo su Jane, seduta accanto a lei. I suoi riccioli dorati erano ormai ridotti a una sorta di pagliericcio aggrovigliato dietro la nuca, in quella che era stata una volta una treccia. Li aveva raccolti quella mattina, appena prima di rimboccarsi le maniche e cominciare a trasportare la prima borsa di libri, piena di entusiasmo. Ora, sulle sue guance rosse e sulle labbra bluastre non rimaneva una briciola di quell'energia, ma quando incrociò i suoi occhi stanchi, Belle vide ancora una volta l'affetto e l'empatia che la sua più cara amica aveva per lei. Niente poteva spegnere l'attaccamento che le univa, nemmeno una giornata come quella. Jane la accolse in un abbraccio, sorridendo dolcemente e distendendo il suo viso pallido ma sempre rassicurante, mentre Belle si lasciava avvolgere dalla sua stretta. Per la prima volta da quella mattina, Belle si fece dominare dai suoi sentimenti: ora che l'adrenalina lasciava il posto alla rassegnazione ricominciavano a riaffiorare le lacrime. L'immagine di Maurice, solo e malato, la tormentava. Non poteva fare a meno di correre con il pensiero al vecchio libraio, ovunque lui fosse... Si sollevò dalle spalle accoglienti dell'amica, in cui aveva nascosto il viso, ora rigato di lacrime. Cercò di asciugarle con i palmi delle mani, che avevano perso quasi del tutto la sensibilità a causa del freddo. Alzò gli occhi su Jane, il suo turbamento era evidente, una piccola ruga di preoccupazione aveva preso forma sulla sua fronte, tra le sopracciglia arcuate. L'amica colse quelle emozioni da un semplice sguardo:
"Ehi, abbiamo fatto un ottimo lavoro... Non potevamo fare più di così. Sono sicura che Maurice sarebbe orgoglioso di noi, se fosse qui."
Belle cercò di sorridere, piegando gli angoli della bocca, in preda a sentimenti contrastanti. Era grata di avere due amici unici al suo fianco, eppure non riusciva a placare il senso d'impotenza che provava. Si sentiva un'egoista...
"Siete stati così cari, tu e Gilbert. Come farei senza di voi?"
Abbracciò nuovamente l'amica, lasciandosi andare ancora una volta alle lacrime, questa volta lacrime di riconoscenza. Gilbert, seduto a pochi passi da loro, si avvicinò e posò le mani sulle loro spalle, unendosi a quella stretta calorosa.
"Gli amici sono fatti per questo, per rimanere stretti l'uno all'altro nei momenti più difficili."
Isabelle incrociò i suoi occhi smeraldini, nascosti tra i riccioli scuri appiccicati alla fronte. Sembrava avesse intercettato i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, attraverso un intreccio di un solo istante col suo sguardo assorto.
"Lo ritroveremo, puoi starne certa. Hai il tuo pass, Belle, e potrai tornare alla libreria domani. Sicuramente i vicini sapranno cos'è successo a Maurice."
Il suo volto sicuro, determinato, le ridiede ancora una volta la forza di cui aveva bisogno, proprio com'era stato quella mattina. Gilbert era un amico leale, che sapeva far sbocciare la speranza anche in un terreno arido e impervio.
"Grazie per aver preso le mie difese questa mattina. Ero... Sopraffatta dalla mia paura, paralizzata. Voi due mi avete aiutata a reagire, ed ecco il risultato."
Si voltò a osservare le pile di libri racimolate nel corso della giornata, superstiti silenziose. Sembravano sussurrarle il loro ringraziamento, pronti a donarle in cambio i loro segreti, custoditi nell'inchiostro delle loro pagine senza tempo.

Gilbert si sollevò sulle ginocchia doloranti e le fronteggiò con la sua figura slanciata, allungando le mani verso Jane per aiutarla a rialzarsi. Poi fu il turno di Belle, che a stento si reggeva in piedi sulle gambe stremate.
"Ora voi due andate a farvi una doccia e poi filate a mangiare qualcosa, d'accordo? Qua ci penso io, porto dentro tutto e lo metto nelle vostre stanze, al sicuro. Dite che mi faranno entrare?"
Gilbert allungò lo sguardo incerto oltre il portone d'ingresso dell'istituto, dove regnava ancora il silenzio: la maggior parte delle studentesse era ancora in giro per la città a godersi la festa. Jane sfiorò il suo braccio con le sue dita delicate:
"Ma certo, nessuno baderà a te, con la confusione che c'è all'orario del rientro. Ma sei sicuro di farcela?"
Gilbert annuì, deciso.
"Certo, chiamo a rapporto anche i miei fratelli, mi daranno una mano. Ormai alla bancarella avranno finito..."
Belle lo ringraziò di cuore, poi prese sottobraccio l'amica e si addentrò nell'ampio ingresso dell'istituto, facendo strada a Gilbert verso la loro piccola stanza. Jane la affiancava, voltandosi spesso verso il ragazzo che le seguiva. Una volta arrivate a destinazione, Belle e Jane presero un cambio di vestiti, sapone e spazzole, pronte a dirigersi verso la toilette. Gilbert posò il primo carico di libri e poi le salutò con un cenno del capo, abbassandosi il cappello sulla fronte. Jane seguì l'amica, che aveva già ricambiato il suo saluto e, prima di lasciarlo, posò sulla sua guancia un candido bacio. Imbarazzata, uscì dalla stanza a passo svelto, voltandosi solo un istante per rivolgergli il più luminoso dei sorrisi. Gilbert osservò con le labbra socchiuse, ancora incredulo, quel viso stanco che si illuminava di gioia, quelle guance arrossate che si dischiudevano in una dolce risata, che per lui valeva più di mille parole. La fatica della giornata gli parve allora un lontano ricordo, cancellata da quell'istante di pura magia.

How to love a BeastWhere stories live. Discover now