✨17. Fulgida stella

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Isabelle non si era affatto ingannata: chiedere aiuto a Jaqueline si dimostrò senza dubbio la scelta migliore. La sua premurosa insegnante, infatti, non solo prese le sue difese davanti all'istitutrice, che aveva cercato di rimproverarla per la sua assenza a colazione e il suo ritardo alla toilette, ma si prodigò anche per provvedere a Jane le migliori cure possibili. Chiamò immediatamente uno dei pediatri più rinomati della città per visitarla a sue spese e si recò lei stessa a comprare i medicinali necessari. Il dottore, infatti, dopo averla visitata, riconobbe un inizio di bronchite e prescrisse alla ragazzina un antibiotico per prevenire un peggioramento della malattia, che avrebbe potuto portare ben presto a un focolaio di polmonite, specialmente nelle condizioni igieniche precarie in cui versava l'istituto. Jaqueline fece valere i diritti della povera Jane, sostenendo le parole del medico, che riteneva del tutto insalubre la camera in cui la malata era costretta a rimanere nel corso della sua degenza. La ragazzina, che non aveva genitori a difenderla, meritava una stanza decorosa, e la sua insegnante chiese con insistenza alla direzione che fosse spostata in una stanza più salubre, dove non vi fossero macchie di umidità e dove il soffitto non fosse ricoperto da aloni di muffa e ragnatele. Isabelle non aveva mai visto la sua maestra così irritata: si era rivolta ai suoi superiori con la voce tremante per la collera, con un tono autoritario che non le apparteneva. Le minacce di Jaqueline, che si dichiarò pronta a lamentare pubblicamente la condizione dell'istituto, sortirono alla fine l'effetto sperato. Così, al termine di quella caotica mattinata, Jane fu spostata nella stanza dell'istitutrice, che dovette rinunciare a parte delle sue comodità per ritagliarle uno spazio dove prima vi era il suo ampio guardaroba. Jaqueline fu irremovibile e non si diede pace finché non vide la sua alunna ben sistemata in un luogo per lo meno accettabile.

Alla fine delle sue proteste, si sedette lasciandosi cadere sullo sgabello che affiancava il nuovo letto di Jane, che iniziava a sentirsi meglio grazie all'antipiretico che le aveva abbassato a febbre. Si tolse gli occhiali e si asciugò la fronte sudata, le dita ancora tremanti per la collera e per l'ansia che aveva provato. Mentre allungava la mano a stringere quella di Jane, tentava di realizzare ciò che era successo: mai avrebbe pensato di rivolgersi in modo così brutale ai suoi superiori, ma era rimasta talmente sconvolta e attonita da non riuscire a controllare la sua reazione. Non era mai stata prima nel dormitorio e, anche se conosceva la povertà del lower district, mai avrebbe pensato che gli ambienti riservati alle studentesse dell'istituto in cui insegnava fossero così terribilmente inadeguati. Si ripropose di andare a fondo in quella questione: non avrebbe permesso che quelle povere ragazze fossero costrette a trascorrere la loro infanzia e la loro adolescenza in un luogo così fatiscente. Ciò che la rendeva ancora più amareggiata, però, era il pensiero del trattamento che le alunne ricevevano di giorno in giorno: non era solo l'involucro che le teneva in gabbia a stringere la sua morsa disumana, erano soprattutto le persone con cui avevano a che fare a tenerle in catene. La stanza dell'istitutrice ne era la prova: lei poteva permettersi lussi che le alunne non avrebbero mai avuto, le trattava come semplici rifiuti. Era un riflesso della società in cui vivevano: la maschera di uguaglianza si infrangeva contro l'evidenza. Le uniche minacce che erano servite a qualcosa erano quelle volte a infangare l'immagine dell'istituto, propinate da una donna di rango superiore. Sì, perché Jaqueline si era valsa della sua posizione di nobildonna, figlia di un Dominer, per sortire l'effetto sperato. Se fosse stata una semplice proletaria, nessuno le avrebbe dato ascolto.

Belle era seduta al suo fianco, la camicia da notte impolverata e i capelli ancora aggrovigliati, gli angoli delle spalle piegati sotto il peso della stanchezza. Jaqueline prese dal comodino poco distante una spazzola, che doveva essere dell'insulsa istitutrice, e iniziò a spazzolarle dolcemente i capelli, sciogliendo i nodi che si erano formati sulla sua nuca. Lentalmente, anche i nodi che riempivano la sua mente aggrovigliata iniziarono a districarsi, mentre la sua schiena tesa si rilassava in quel gesto materno.
"Grazie, bambina mia, per esserti rivolta a me."
Belle si voltò a scrutare gli occhi della sua amata insegnante, con il suo viso stanco ma rasserenato. Jaqueline sfiorò il suo mento con le dita affusolate:
"Grazie per la fiducia che hai riposto in me..."
Posò un bacio sulla sua fronte, delicatamente, piena di orgoglio e di amarezza al tempo stesso. Quanto avrebbe voluto proteggerla da quel mondo ingiusto! Belle si lasciò accarezzare il viso da quel gesto affettuoso, assaporando al tatto la dolcezza di quelle labbra che sembravano petali di rose appena sbocciate.
"Come farei senza di voi, Mademoiselle Jaqueline?"
La sua insegnante le sorrise, intrecciando gli occhi ai suoi. Sfiorò la sua guancia con il dorso della mano, facendo scivolare le dita su e giù sul suo piccolo naso.
"La mia bambina coraggiosa..."
Il viso di Belle si adombrò un istante, mentre gli angoli della sua bocca si piegavano sotto il peso del rimorso:
"Ma... Oggi ho avuto paura, non sapevo cosa fare!"
Jaqueline scosse la testa, il viso sorridente e orgoglioso, imperturbabile.
"Il coraggio non è la mancanza di paura, ma la consapevolezza che qualcosa è più importante della paura stessa."
Si fermò un istante, lasciando che il silenzio desse forza e intensità a quelle parole.
"Tu hai agito nonostante la paura, perché volevi proteggere Jane. E questo ti fa onore e rivela quanto sei speciale."
Voltò lo sguardo verso la porta e indicò con la mano il corridoio che portava alla stanza delle ragazze.
"Volevi proteggere anche qualcos'altro: il tesoro di Maurice... Ho visto di là quanti superstiti hai racimolato! Ma come hai fatto, Isabelle?"
Le guance di Belle, poco avvezza ai complimenti, si tinsero di un rossore spontaneo, a quelle parole piene di entusiasmo.
"Mi hanno aiutata Jane e Gilbert, da sola non ci sarei mai riuscita!"
Abbassò lo sguardo, pensierosa, e si arrotolò una ciocca di capelli attorno alle dita:
"Dite che me li faranno tenere? Le compagne pensano che io li abbia rubati."
Jaqueline sollevò le spalle e corrugò la fronte, nuovamente irritata.
"Non dovrebbero esprimere un simile giudizio in modo così avventato! Che parole sconsiderate..."
Poi prese di nuovo a spazzolare i capelli di Belle, fino a renderli morbidi e lucenti. Allora prese un nastro dalla sua tasca e iniziò a intrecciare dolcemente le ciocche tra le dita, mentre la ruga che aveva preso forma sul suo viso si distendeva nuovamente:
"Lascia fare a me: vedrai che troveremo un posto sicuro per i tuoi preziosi libri, e nessuno avrà da ridire. Una volta tanto, ci sarà giustizia a questo mondo."
Mentre concludeva la semplice acconciatura con un fiocco, una strana soddisfazione prendeva forma sulle sue gote, dove due fossette appena accennate si aprivano in un sorriso. Il viso di Belle, finalmente libero dalle tante paure che lo avevano adombrato, si addolciva ora in una serenità mai provata prima. Tirò un sospiro di sollievo e si lasciò finalmente andare a una nuova, straordinaria consapevolezza: in quell'universo pieno di buio, aveva finalmente trovato la sua fulgida stella.

How to love a BeastWhere stories live. Discover now