✨20. Rivoluzionaria

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Le ricerche di Maurice non erano andate a buon fine, ma Belle non si diede per vinta. Continuò a coltivare la sua speranza, cercando di convincersi che, ovunque fosse il suo amato libraio, un giorno lo avrebbe ritrovato. Certe persone sono troppo importanti per lasciarle andare senza combattere, Belle lo sapeva bene, e il suo animo testardo e sognatore non poteva arrendersi nemmeno all'evidenza dei fatti. Incrociare il cammino di Maurice era stato un dono, e lei non voleva sprecarlo. Avrebbe fatto tesoro di ogni suo insegnamento, perseverato con coraggio in quel mondo grigio, proprio come il vecchietto le aveva insegnato.

In ogni caso, non era affatto sola: aveva al suo fianco la sua amata sorella, Jane, e "il caro Gilbert", come lei amava definirlo. Erano la sua famiglia, una fonte continua di gioia e ispirazione. E poi c'era Jaqueline, quella donna straordinaria che aveva saputo sfidare persino le autorità dell'istituto pur di difendere i diritti delle sue alunne. Con le sue borse piene di libri, il sorriso fiducioso, lo sguardo assorto e determinato, quella giovane insegnante aveva assunto agli occhi di Belle un fascino del tutto particolare. Amava osservarla dal suo piccolo banco, pendere dalle sue labbra ammirando la passione che rendeva ogni sua lezione travolgente e indimenticabile. Mentre la ascoltava, si perdeva nel tempo e nello spazio, rincorreva con la mente gli scrittori del passato, la loro penna intramontabile, i loro pensieri tracciati su carta che nemmeno i secoli trascorsi avevano saputo mettere a tacere. Era un dialogo senza fine con quegli autori straordinari. A Belle sembrava di conoscerli da sempre, di averli come amici, come consiglieri e come esempi costanti. Erano loro a tenerle compagnia quando sentiva che nessuno a quel mondo sapeva comprendere fino in fondo la sua sofferenza. A volte si sentiva come il suo amato Foscolo, uno dei poeti a cui più si era affezionata: come lui, sapeva di essere destinata "ad avere l'anima perpetuamente in tempesta". Era una consapevolezza che portava dentro di sé da molto tempo, ma crescendo si era fatta sempre più dirompente. Spesso la coscienza del peso che gravava sul suo futuro si faceva pesante, troppo pesante, per il suo cuore irrequieto. Allora la rabbia per le ingiustizie che suo malgrado doveva sopportare straripava, si riversava nelle sue parole, a tratti ironiche, a tratti taglienti. Il suo carattere, forgiato da tutte quelle esperienze, si faceva sempre più forte, determinato, inarrestabile. Se Jane crescendo lasciava sbocciare la sua bontà e il suo ingenuo sguardo roseo, che dava luce a ogni cosa e ignorava il buio del mondo per concentrarsi sulle gioie che la vita le aveva donato, Belle invece non poteva fare a meno di soffermarsi su quelle tenebre, che ai suoi occhi selvaggi si facevano sempre più oppressive di giorno in giorno.

A tenerle compagnia erano anche i preziosi libri che aveva preso dalla libreria di Maurice, quei superstiti che aveva tratto in salvo: erano il suo più grande conforto, la sua valvola di sfogo. In essi trovava riflessi i suoi stessi sentimenti, ma anche la forza per reagire e per trasformare l'insofferenza che provava in determinazione, coraggio e resilienza. C'era qualcosa di unico in quelle pagine: Maurice aveva annotato nel frontespizio e tra le righe stampate i suoi pensieri, le riflessioni scaturite da quelle letture. Belle si soffermava su quelle note preziose, assorbendo ogni parola tracciata da quella calligrafia elegante e disordinata al tempo stesso con gli occhi sgranati per l'emozione. Le sembrava di ripercorrere il vagare della saggia mente del libraio, e custodiva quei pensieri fermati sulla carta come gemme dal valore inestimabile. Quelle parole per lei erano come un testamento lasciatole in eredità. In esse Maurice aveva impresso tutto ciò che riempiva il suo cuore, in quelle righe ritrovava i suoi inesauribili insegnamenti, i suoi saggi proverbi di cui continuava a fare tesoro.

E così i mesi passavano, mentre Belle cresceva di giorno in giorno, sulla scia dei suoi grandi esempi di vita, cercando di ignorare la superficialità che la circondava, di alienarsi da quel mondo fatto di sola apparenza, in cui ognuno pensava unicamente ai propri interessi. Attorno a lei l'atmosfera che regnava nell'istituto era sempre più carica di tensione e aspettative. Le ragazze più grandi, che avevano compiuto diciott'anni nel corso dell'anno precedente, avevano debuttato in società ai primi di gennaio, con l'annuale Ballo d'inverno. Le compagne di Belle avevano ammirato la preparazione per il ballo, i vestiti eleganti, il trucco, i fiori, la follia che aveva travolto l'istituto in quelle settimane. Piene di entusiasmo, vedevano l'avvicinarsi di quel giorno con sempre più aspettative: se Isabelle e Jane cercavano di non pensare al futuro che le attendeva e di concentrarsi sugli anni che ancora fortunatamente le separavano da quel fatidico momento, le altre ragazze non attendevano altro. Erano completamente assuefatte dalla propaganda che veniva instillata nelle loro giovani menti. Di continuo venivano spronate ad accrescere la loro bellezza, la loro conoscenza del galateo, le loro abilità di seduzione, il loro fascino, allo scopo di riuscire a conquistare un uomo di rango superiore. Il debutto sarebbe stato infatti per loro un'occasione unica: a tutte le ragazze di qualsiasi classe sociale veniva data l'opportunità di conoscere i gentiluomini più noti in città, gli scapoli d'oro che avrebbero potuto pagare il prezzo del loro riscatto e sposarle, liberandole così dal loro triste destino. L'alternativa, infatti, sarebbe stata una vita al servizio dei Dominers, le ragazze lo sapevano bene, e avrebbero fatto di tutto pur di evitare un futuro così umiliante. La loro intera educazione era finalizzata al raggiungimento dello scopo supremo: la scalata sociale. O almeno questo era ciò che veniva loro ripetuto di giorno in giorno, per accrescere la loro motivazione e l'impegno profuso in ogni corso di studi. In realtà il destino che attendeva la maggior parte di loro probabilmente non riservava alcun riscatto, ma tutte le loro speranze erano incentivate dai precettori, che così riuscivano nel loro intento di creare delle vere e proprie bambole perfette, concentrate soltanto sul loro aspetto e sulla loro immagine.

Jaqueline era l'unica a distinguersi nel suo intento di dare alle sue alunne una mente pensante, e non solo un cervello pieno di nozioni aride. Voleva che quelle ragazze sviluppassero una cultura autentica, una capacità critica, che aveva molto più valore della perfezione estetica. Era entrata nell'istituto con l'intento di cambiarne le dinamiche, di stravolgere gli equilibri assurdi che caratterizzavano l'educazione delle classi sociali inferiori. Ovviamente il suo intento non era condiviso da nessun altro in quelle pareti: l'educazione era il mezzo per guidare il pensiero delle masse di proletari e creare una forma di schiavitù della mente, più subdola ed efficace di quella basata sulla forza. Gli insegnanti, appartenenti alla borghesia, erano tutti convinti che quel sistema fosse l'unico capace di difendere i loro interessi, di mantenere il controllo su ogni livello di quella società perfetta. L'unica ragione per cui la presenza di Jaqueline era stata accettata tra quelle mura era per rispetto delle volontà del padre, uno dei Dominers più eminenti della città. Quando era arrivata, nessuno conosceva i suoi obiettivi rivoluzionari, ma tutti conoscevano il suo cognome: aveva l'incredibile fortuna di appartenere a una delle famiglie più importanti, più ricche e famose della piccola Blois. Ogni volere del padre di Jaqueline era un ordine dettato dall'alto, e così nessuno aveva avuto da ridire. Col passare del tempo, però, gli effetti degli insegnamenti di Jaqueline si erano fatti sempre più evidenti: diverse alunne avevano iniziato a manifestare alcuni tratti emancipati, o per meglio dire, "ribelli", l'unico termine che usavano i precettori per definire i loro atteggiamenti inaccettabili. Alcune di loro erano meno curate nel modo di vestire, disinteressate al galateo, altre trascorrevano più tempo sui libri, riempiendosi la mente di idee e fantasticherie pericolose. Anziché ascoltare in silenzio, e obbedire senza aver da ridire, avevano iniziato a fare domande durante le lezioni, a chiedere le motivazioni alla base di regole e norme che venivano applicate pedissequamente. Le lamentele dei precettori si erano fatte sempre più frequenti e attorno alla figura di Jaqueline si era formato ormai un alone di intolleranza difficile da dissipare. Molti la consideravano una ribelle, una donna che non sapeva stare al suo posto, una zitella piena di idee assurde e inaccettabili. L'odio nei suoi confronti era sempre più prorompente, di giorno in giorno: gli altri insegnanti la odiavano, non solo per gli effetti che le sue lezioni avevano sulle alunne, ma anche per il fatto che erano costretti a rispettarla a motivo del suo ruolo sociale, superiore al loro. Divorati dall'invidia, sussurravano il loro disprezzo verso quella donna che aveva avuto quel posto di lavoro solo per le sue conoscenze. Se l'ammirazione delle sue alunne nei suoi confronti non faceva che crescere, l'astio e il risentimento provato dai colleghi si diffondeva a macchia d'olio, trasformandola agli occhi di tutti in una rivoluzionaria che doveva essere messa a tacere.

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