I ~Frecce di fuoco~

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Anno 2035
Woodsville

La vita non era altro che il frutto di un sogno. Avevo una concezione tutta mia sulla nascita di una nuova vita, ero convinta che le anime tendevano spesso ad annoiarsi nell'infinità della loro esistenza e dunque si incarnavano per puro caso.

La nostra mente di certo non aveva la facoltà di ricordare ciò che vi era oltre la vita terrena. Non ricordava la beatitudine da cui era fuggita, per poi ritrovarsi in una prigione di sofferenza.

Ero dell'idea che tutte le esperienze che vivevano, tutte le emozioni che provavamo, non erano altro che il frutto di un lungo sonno delle nostre anime dormienti in noi.
Dunque mi chiedevo spesso: perché la mia anima aveva scelto una vita tanto penosa. Mi chiedevo perché io fossi nata in una famiglia tanto povera quanto egoista.

Le mie riflessioni erano tutto purché positive, mentre mi godevo il sole di inizio settembre che illuminava il vasto prato verde. Le cuffie alle orecchie a massimo volume mi trasmettevano la sensazione di poter essere libera e lontana dal mondo in cui vivo.

Mancavano pochi giorni all'inizio della scuola e mi stavo godendo quelle ultime giornate di sole, dato che ero tristamente consapevole che già da metà settembre sarei stata costretta ad indossare maglie a maniche lunghe e giubbini leggeri.
Abitavo a Woodsville, un paesino sperduto dal mondo e situato alla base di un'alta montagna. Purtroppo da noi l'estate durava poco, eravamo vittime di continue tempeste di pioggia o di neve e raramente potevamo organizzare gite con le famiglia o scampagnate con gli amici... Non che a me piacessero.

Il mio paesino era composto da circa tremila abitanti, tutti ci conoscevamo, tutti sapevamo i segreti degli altri e tutti non avevano un opinione personale, seguendo la massa come pecore al pascolo.
Ero nata alla vigilia di Natale, a mezza notte precisamente, ed ero l'unica ragazza del paese ad avere un soprannome: la Rossa.

Tutti mi chiamavano in quel modo ed ero abbastanza sicura che non conoscessero il mio vero nome. Avevo ereditato i miei lunghi e ricci capelli rossi da mio padre e dopo la sua morte ero rimasta unica nel mio genere. Dal mio paese non venivo ricordata solo per quella piccola particolarità, a quanto pare la mia vita era un libro aperto: le persone sapevano cose su di me ancor prima di saperle io.

«Oks dovremmo andare, tra mezz'ora devo iniziare il turno al bar», la voce della mia ed unica amica mi riportò via dal mio monologo interiore.
Alzai il busto e rimasi seduta sull'asciugamano che entrambe avevamo steso sull'erba prima di sdraiarci e prendere il sole.

Il lago notturno era uno dei nostri posti preferiti, infatti avevamo trascorso lì tutti i giorni delle vacanze estive e non eravamo le sole: lì si riunivano tutti i ragazzi del paese per fare il bagno nel lago, per passare una piacevole giornata in compagnia e per giocare a calcio.

Afferrai la maglia bianca che avevo tolto per prendere il sole e la indossai, coprendo il costume del medesimo colore.
Entrambe ci alzammo e ci ripulimmo i pantaloncini di jeans dai pochi fili di erba che ci avevano raggiunte.

«Domani purtroppo non possiamo venire, devo aiutare mia madre in negozio», la informai mentre lei alzava i corti capelli biondi in una coda alta.

«Va bene, sei libera nel pomeriggio? Vorrei andare dal parrucchiere per fare i colpi di sole.»

«Penso di sì, le scorte arrivano in mattinata.»

«Perfetto, potresti tagliare anche tu i capelli», iniziammo a camminare verso la fermata dell'autobus, «sono lunghissimi e sicuramente pesanti.»

«Mia sorella li definisce frecce di fuoco», borbottai, «non chiedermi il motivo, non lo so nemmeno io.»

«Non darle ascolto, i tuoi capelli sono bellissimi.»

Per fortuna l'autobus arrivò cinque minuti dopo ed entrambe potemmo tornare nelle nostre abitazioni prima che calasse il sole. Lei lavorava nel bar di famiglia e puntualmente faceva il turno serale, anche perché la madre non riusciva a rimanere sveglia oltre le dieci di sera. Io invece, raramente, aiutavo mia madre nel negozio del nonno; vendevamo articoli da caccia, strumenti molto utili se si vive in montagna.

Quando arrivai a casa, mi infilai sotto la doccia per rinfrescarmi e successivamente indossai un pantaloncino corto ed un top. Provai anche a fare una bella coda con l'ammasso di cespugli che mi ritrovavo in testa, ma ciò che ne ricavai fu un ammasso di cespugli ancora più evidente.

Sbuffai ed andai in cucina. La nostra era una piccola casa, munita di cinque stanze: tre camere, un bagno e una cucina -per fortuna quest'ultima era abbastanza grande da ospitare anche il tavolo su cui cenavamo e pranzavamo- ed infine vi era un piccolo spazio dove avevamo un divano ed una televisione.

Mio padre adorava la nostra casa, l'aveva ereditata dal nonno e successivamente l'aveva modificata, rendendola più rustica.

«Frecce di fuoco perché hai messo quegli abiti così osceni? Ti si vede il lardo delle cosce fin da qui», cantilenò mia sorella Anisha mentre cucinava.

«Sono in casa mia e posso indossare ciò che voglio», mia sorella non sprecava tempo ad insultarmi. Che mi volesse bene ne ero sicura, ma odiavo quando mi ricordava quanto il mio corpo faccesse schifo.

Fin dalle medie avevo avuto problemi con esso, dopo la morte di papà avevo iniziato a mangiare in modo non salutare ed il risultato era ben evidente ancora tutt'oggi: smagliature non troppo visibili sui fianchi, cosce belle grosse e braccia giganti.

Ne avevo provati di metodi per dimagrire, ma non ero abbastanza motivata e puntualmente non concludevo mai le diete che iniziavo. Bhe... Mi rassicurava solo pensare che non ero l'unica ragazza del mondo ad avere questo problema.

«Puntate le sveglie alle sette, domani avremo un bel po' da fare», esclamò mamma, entrando in cucina.

Lei e mia sorella erano due gocce d'acqua, fisicamente e caratterialmente: stessi occhi verdi, stessi capelli castani, stesso fisico asciutto. Le invidiavo alcune volte.
«Mamma domani ho bisogno di soldi per comprare le cose per la scuola», la informai.

«Non vedo l'ora che finisci il liceo, lo trovo estremamente inutile e non porti a casa chissà quante soddisfazioni. Inoltre mi chiedi soldi per i libri, i quaderni, gli zaini che sembrano rompersi ogni anno. Avresti fatto bene a fermarti alle medie e a trovarti un lavoro», se ne andò sbattendo la porta.

Le sue parole come sempre mi ferirono, ma ero talmente abituata a sentirmi inutile nei suoi confronti che più o meno ci avevo fatto l'abitudine.
«Non darle ascolto, sai benissimo che è stressata per le tasse. Inoltre ci ripete continuamente che siamo inutili perché vuole che cresciamo forti e senza sentimenti», sussurrò mia sorella, lanciandomi le tovagliette per la cena.

Mia madre era sempre stata una donna senza un briciolo di cuore. La nonna le aveva insegnato a non fermarsi al primo ostacolo, a non legarsi troppo con la gente e a non abbattersi a causa dei suoi difetti. Lei voleva insegnarlo a noi, ma non capiva che alcune volte mi sarebbe piaciuto ricevere un complimento o semplicemente abbraccio da lei.

Sentimenti Contrastanti||La Storia Di WoodsvilleWhere stories live. Discover now