III ~I fratelli Lupei~

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Era arrivato quel fatidico giorno. Tutti i ragazzi della mia nazione in quel preciso momento stavano borbottando parole offensive verso colui che manovrava il tempo, affinché ci faccesse ritornare al primo di giugno.

Il dodici settembre era l'unico giorno in cui prepararo la sera prima vestiti e quaderni. I miei occhi si spalancarono alle sette precise del mattino, balzai giù dal letto e corsi in bagno prima che si svegliasse mia sorella.

La scorsa sera, dopo aver imprecato un "fanculo" all'amico di mia madre, rimasi la cena sul tavolo e tornai in camera, restandoci per l'intera serata ed andando a dormire presto.

Cercai di non pensarci mentre lavavo denti e viso ed applicavo la schiuma sui miei ricci ribelli, grazie ad essa assumevano un aspetto normale e domato. Indossai i pantaloni a vita alta di jeans ed una maglia che lasciava leggermente la pancia scoperta, afferrando poi le mie scarpe nuove.

Solo per quel grande giorno, mi truccai con del fondotinta, mascara ed un rossetto colore carne. Andai in cucina e mi preparai un panino per pranzo, dato che la scuola distava un po' da casa mia e ci impiegavo circa un'ora per arrivare; infatti puntualmente mi ritrovavo a mangiare in pullman.

Afferrai la tracolla e ci infilai dentro il tutto,  prendendo le cuffie e lasciando un messaggio sul cellulare a mia madre per avvisarla.

Un ultimo anno e finalmente potevo dire addio a tutti coloro che mi avevano sempre derisa ed odiata sin dal primo giorno di scuola della prima liceo. Solo nove mesi e sarei stata libera da tutto, anche se ciò si rivelava contraddittorio, dato che li avrei comunque incontrati in paese, ma la sola idea che non dovevo vederli per cinque ore -bensì per pochi minuti- mi rallegrava.

Presi il pullman che mi portò a scuola e, durante il tragitto, vidi tutti tutti i disastri causati dalla tempesta della scorsa sera: alberi che bloccavano diverse vie, tendoni staccatesi dai negozi e auto rotte a causa di diversi oggetti che erano precipitati su di esse.
Quella notte avevo dormito come un ghiro, dunque non avevo sentito nulla. Eppure -come sempre- la tempesta non aveva risparmiato niente e nessuno.

Arrivai a scuola dieci minuti prima del suono della campanella, riposi le cuffie nella tracolla e salutai Melinda, la quale aveva due enormi borse nere sotto gli occhi.

«Buongiorno, nemmeno il correttore ha fatto miracoli?»

Scosse la testa, «a quanto pare no, è rossetto quello che vedo sulle tue labbra?»

«Ebbene sì amica mia, faresti meglio a goderti questa scena, perché non mi vedrai più con un rossetto.»

«Ti vedrò il giorno del tuo diciottesimo compleanno», cantilenò mentre entravamo a scuola. «Perché la farai una festa, giusto?»

«Ti sembro la tipa che fa una festa? Inoltre mia madre non mi consentirà mai di farla, ritiene tutto uno spreco di soldi. Cambiando discorso, ho sentito dire nel pullman che questa sera il paese organizza la festa di apertura del nuovo campo sportivo, ci sarà sicuramente il tuo boy quindi dovresti andarci», la informai.

«Un campo sportivo? Qui in paese? Oh Santo Cielo ecco perché ieri sera è arrivata la tempesta! Finalmente avremo un posto dove poter passare il tempo ed io e te andremo lì per fare ginnastica.»

«Frena, frena, frena», mi fermai davanti al mio armadietto ed inserii la password, «io non faccio ginnastica, donna, quindi se vuoi andare vai da sola.»

«Invece ci verrai, devi tenerti in forma per il tuo compleanno perché se tua madre non ti farà una festa, te la farò io; dopo tutto quello che hai passato te la meriti.»

Rimasi in silenzio e riflettei sulle sue parole. Io mi meritavo una festa? Decisamente no, non dopo quello che avevo fatto, inoltre ero sicura che nessuno avrebbe accettato il mio invito. Ero una star nel mio paese, ma in senso negativo, infatti iniziavo già a sentire dei bisbigli nei corridoi e a vedere delle occhiate nei miei confronti; la campanella era suonata da nemmeno tre minuti. Possibile che si intromettevano sempre nella mia vita? La loro vita era talmente insignificante che dovevano far ricadere su di me delle attenzioni sgradite?

Ci avviammo verso la nostra aula e ci appropriammo dei banchi dell'ultima fila. L'unica nota positiva dei pregiudizi nei miei confronti risiedeva nel fatto che tutti mi evitavano e quindi avevo sempre posti liberi a disposizione.

«Buongiorno ragazzi, spero che abbiate trascorso una bellissima estate. Oggi partiremo col ripetere gli argomenti dello scorso anno...»

Nemmeno cinque minuti e già avevo voglia di sotterrarmi.
La giornata passò lentamente e quando suonò l'ultima campanella le mie orecchie gioirono.

Come un fulmine corsi fuori scuola ed aspettai Melinda, la quale stava ritirando dei fogli in segreteria. Proprio in quel momento il mio cellulare squillò e mi affrettai a rispondere:

«Mamma...»

«Dove sei? Perché non sei ancora a casa?»

«Sono appena uscita da scuola, sai che ci impiego un'ora per arrivare.»

«Fai presto, tua sorella sta facendo delle commissioni e tu devi prepararmi il pranzo.»

«Ma io-», chiamata terminata. Dio Santo quanto odiavo il suo comportamento autoritario. Col cavolo che le preparavo il pranzo, poteva benissimo prepararselo da sola.

«Eccomi arrivata, ho recuperato i volantini per la festa di paese di questa sera. Verrai?», mi affiancò la mia amica con dei volantini in mano.

«No, è solo una misera festa per l'apertura di un campo sportivo, non è chissà che.»

«Siccome qui non succede mai niente, questa misera festa è sulla bocca di tutti. Hanno intenzione di mettere anche dei piccoli giochi per intrattenere tutti, sarà una serata diversa per favore!!»

Sospirai pesantemente, mentre vidi il pullman arrivare. «Ti faccio sapere dopo, ciao.»
La salutai velocemente e corsi verso la fermata, sperando di riuscire ad arrivare in tempo. Il conducente -gran figlio di buona signora- mi vide correre, ma decise di ignorarmi e di chiudere le porte poco prima il mio arrivo, lasciandomi a piedi.
Sbuffai esasperata e con i nervi a fior di pelle, l'unica opzione era tornare a casa a piedi, dato che la prossima corsa distava di un'ora e mezza.
Dopo esattamente sessanta minuti arrivai a destinazione sfinita e con il fiato corto. Non amavo i lunghi tragitti. Entrai nel negozio con ancora le cuffie alle orecchie e la musica a tutto volume.

Con mia grande sorpresa trovai due clienti, solitamente i cacciatori facevano acquisti di mattina e raramente di pomeriggio. Mi tolsi le cuffie ed avanzai lentamente verso di loro, ma lo scricchiolio provocato dal legno del pavimento fece voltare tutti verso la mia direzione. «Finalmente sei arrivata, ritardataria come sempre. Sbrigati e vai di sopra... Anzi, no, resta un attimo con i ragazzi, non trovo le cariche per i fucili», la delicatezza di mia madre colpiva meglio dei fucili.

Annuii e la vidi sparire dietro la tenda che fungeva da separatore tra il negozio e le scale che portavano a casa mia.
Mi tolsi la tracolla e, silenziosa, l'appoggiai sul bancone.
«Ciao», mi disse uno dei due e solo allora focalizzai l'attenzione su di loro. Mi accorsi, sorprendentemente, che quella era la prima volta in vita mia che incontravo due perfetti sconosciuti. Sicuramente non erano del paese e dei dintorni, chissà da dove venivano. «Io sono Sandel e lui è mio fratello Gabriel, siamo conosciuti come i fratelli Lupei, sicuramente avrai sentito parlare di noi.»

Scossi il viso ed iniziai a giocherellare nervosamente con le dita, odiavo conoscere persone nuove.
«Ah no? Mi sembra strano...»

Guardai attentamente il loro abbigliamento ed esso non rispecchiava affatto quello di due cacciatori comuni: indossavano delle divise grigie, legando in vita una cinta con all'interno coltelli e aggeggi elettronici, ma la cosa che più mi colpii fu la maschera di ferro che entrambi sorreggevano in mano. Era a forme di mezza luna e sembrava coprire solo metà viso.

«Ecco qui, mi scuso per l'attesa», mia madre sbucò dal nulla, ma io continuai a squadrare i due.

«Nessun problema, ci siamo intrattenuti con vostra figlia; ragazza alquanto silenziosa», a parlare fu sempre lo stesso ragazzo. Seppur sostenevano di essere fratelli mi sembravano completamente opposti tra loro: uno biondo, l'altro bruno; uno dai lineamenti facciali decisi e spigolosi e l'altro dai lineamenti dolci; li accomunava solo il medesimo colore degli occhi: l'azzurro.

«Chi? Oks? Bella questa. No, Oks è una gran chiacchierona.»

«Dunque ti chiami Oks», mi rivolse ancora una volta la parola il biondino, «bene, Oks, penso ci rivedremo presto», affermò mente il fratello pagava il conto e sgattaiolava via. Mai sentiti nominati i fratelli Lupei.

Sentimenti Contrastanti||La Storia Di WoodsvilleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora