LIV ~Ti do una zampa~

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Cinque giorni. Centoventi ore. Settemiladuecento minuti. Ero ancora nel covo di Bilel, ma non mi pesava più di tanto la mia situazione.
Ammisi mio malgrado che Bilel si era rivelato essere paziente e benevolo nei miei confronti, il suo atteggiamento stava annientando ogni mia barriera difensiva. Il suo modo di fare mi confondeva e mi spingeva a ricredermi sulle mie stesse decisioni e opinioni.

Ero sdraiata su di un letto non particolarmente comodo, ma che mi aveva ospitato per tutto il tempo. Ogni notte, prima di andare a dormire, passavo davanti alla camera in cui Gabriel era tenuto prigioniero, osservavo la porta in ferro e non avevo mai avuto il coraggio di oltrepassarla; non dopo le orribili cose che avevo detto a Gabriel.

Bilel non aveva più messo una guardia e la porta era sempre aperta, non la chiudeva a chiave. Sapevo che mi stava mettendo alla prova, sapevo che stava attendendo un mio passo falso, ma non gli avrei dato la soddisfazione di dire: ecco, lo sapevo.

Quello sarebbe stato un giorno diverso, lo sapevo, lo avevo visto. Bilel mi aveva dato ottimi consigli per migliorare e, mi costava ammetterlo, ma si erano rivelati tutti ottimi; riuscivo finalmente a gestire le mie visioni, riuscivo a prevedere piccoli attimi e anche quando si sarebbero verificati. Purtroppo ancora non ero molto brava, c'era ancora tanto da migliorare, ma almeno era già un passo in avanti.

Le visioni si manifestavano tutte, per il momento, quando dormivo. Anziché sognare come una normale adolescente, io prevedevo la giornata mia e delle persone che mi erano accanto. Sapevo che Gabriel fosse malnutrito, sapevo che impregnavano le sue catene con lo strozza-lupo e finalmente quel giorno avrei potuto aiutarlo.

Qualcuno bussò alla mia porta, facendomi scostare dai miei pensieri. Bilel entrò senza nemmeno ricevere un mio invito, seguito poi da mia madre. «Oks oggi io e tua madre usciamo per delle commissioni, se hai qualche problema o qualche particolare richiesta puoi rivolgerti al mio consigliere», giusto, il suo amato consigliere -nonché uno dei Rosius originali- che avevo conosciuto due giorni fa. «Mi raccomando, non farmi pentire di averti lasciata libera di girovagare per casa.»

«Tranquillo, penso che continuerò ad allenarmi.»

«Perfetto, Oks domani è capodanno e faremo una bella cena, hai qualche preferenze?», chiese mia madre, mentre si sistemava la borsa sulle spalle. Vero, l'indomani sarebbe stato capodanno ed era la prima volta che lo passavo senza mia sorella. Purtroppo non avevo mai avuto occasione di mettermi in contatto con lei, Bilel ancora non mi aveva permesso di uscire fuori e lì sotto la linea telefonica non prendeva; inoltre lui non sapeva che avevo con me il cellulare, altrimenti avrebbe potuto confiscarmelo.

«Se riesci ad andare in pescheria, mi compri del salmone, sai che ne vado matta.»

«Assolutamente», abbozzò un sorriso. Incredibile come tutto ciò assomigliasse sempre di più ad un gioco.

Quando finalmente fui di nuovo sola, attesi con pazienza che loro andassero via e subito mi precipitai nell'unica stanza che fungeva da ripostiglio. Al suo interno vi erano catene, armi e scorte di cibo. Afferrai delle catene non troppo lunghe e, il più silenziosamente possibile, mi avviai verso la gabbia di Gabriel.

Rimasi sorpresa, però, quando a sorvegliare la porta vi era di nuovo l'uomo scuro di pelle con la faccia sfregiata. Cambiai immediatamente direzione e mi avviai verso la mia camera, buttando le catene al centro di essa. Maledizione, come avrei fatto?

Era ovvio che Bilel lo aveva piazzato lì per tenermi lontana da lui, quel dettaglio nella mia visione non c'era!

Cercai di riflettere quanto più possibile, ma non trovai alcuna soluzione. Non potevo inventarmi una scusa su due piedi, se ne sarebbe accorto subito.
Chiusi gli occhi: pensa Oks, pensa, pensa come aiutare Gabriel.

Improvvisamente una veloce immagine mi comparve davanti al viso e si fermò per mostrami il suo contenuto: Rosius. Vidi quei mostri  rinchiusi nell'ultima stanza che il covo metteva a disposizione, essa aveva una doppia uscita; una conduceva nel covo, l'altra era un passaggio che conduceva nella foresta.

Bilel li controllava e non avrebbe mai permesso che girovagassero da soli nella foresta, soprattutto in un momento come quello. Eppure vidi un paio di loro spostare un enorme pietra che liberò il secondo passaggio... Stavano uscendo!

Con un colpo di reni mi alzai dal pavimento e corsi dalla guardia, la quale -non appena mi vide- irrigidisce le spalle e la postura. «Ho avuto una visione, i Rosius usciranno dal covo e lo faranno tramite il secondo passaggio, quello che conduce alla foresta», recitai quanto più credibile possibile. Poco mi interessava se uscivano

La guardia subito si scrollò dal muro ed avanzò velocemente verso il corridoio sul lato ovest. Decisi di seguirla, per essere quanto più convincente possibile. Dovevo mostrarmi preoccupata ed interessata. Tutti lì dentro erano a conoscenza del mio potere e tutti credevano ad una mia visione.

Non appena arrivammo davanti alla porta in acciaio massiccio, rimanemmo sorpresi nel sentire un improvviso botto, sicuramente causato dall'enorme pietra che bloccava la porta e che era stata spostata e gettata con forza al pavimento.
«Torna in camera, è pericoloso», non me lo feci ripete e ripercorsi velocemente il corridoio.

Andai in camera mia ed afferrai le catene, arrivando davanti alla cella. La aprii senza ripensamenti e subito una terribile puzza di sudore e muffa mi invase le narici, facendomi salire un conato di vomito.
Cercai di mettere a fuoco la stanza e subito mi precipitai sul corpo disteso sulla destra. Un corpo sporco, pieno di ferite e sangue secco da chissà quanto.

Lo afferrai per le spalle e provai a sollevarlo, ma il suo peso non me lo permetteva. «Gabriel», gemetti dallo sforzo. «Andiamo... Collabora!»

Quasi come se si fosse risvegliato improvvisamente, assecondò i miei movimenti, mettendosi seduto. Afferrai subito le catene colme di strozza-lupo ed estrassi dalla tasca della felpa una chiave. Unica chiave che avevo riconosciuto come la liberazione, essa era in grado di aprire ogni lucchetto delle catene, lo avevo scoperto quasi subito, dato che Bilel non aveva fatto molto per impedirmelo.

«C-Che fai?», chiese con un filo di voce, quasi non riconobbi il suo tono.

«Ti do una zampa», abbozzai un sorriso mentre gli occhi mi si riempirono di lacrime. Non ne capii il motivo, ma provai una profonda pena e tristezza nel vederlo in quello stato. «Le catene sono impregnate di strozza-lupo e ti procurano gravi ferite, te le sostituisco con delle normali e ti allento la presa, così facendo puoi muoverti.»

Terminai il lavoro con estrema velocità e forza. «Gabriel», sussurrai, scuotendolo quando vidi che aveva gli occhi chiusi.

Decisi di afferrare le catene con lo strozza-lupo e di correre nel ripostiglio per metterle al posto delle vecchie. Quando ritornai in camera presi una bottiglia di acqua in plastica e quel poco cibo che ero riuscita a nascondere.
La guardia ancora non era tornata, evidentemente la situazione doveva ssere più grave di quel che pensavo. Ciò mi poteva solo giovare in quel momento.

«Gabriel, ehi, sveglia», gli schiaffeggiai leggermente il viso. «Tieni, bevi», provai a fargli bere quanta più acqua possibile. Subito sembrò star meglio, infatti aprì gli occhi lucidi e mi fissò inespressivo.
Davanti a quel viso sciupato, quegli occhi tristi, non potei non scoppiare a piangere.

Non dissi nulla, non pensai più a nulla e non mi preoccupai della guardia che sarebbe potuta tornare da un momento all'altro, mi sporsi verso di lui e lo strinsi tra le mie braccia.

Sentimenti Contrastanti||La Storia Di WoodsvilleWhere stories live. Discover now