V ~La mia mia migliore amica~

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Oks

Mi ritrovai davanti all'armadio con all'interno solo felpe e jeans di vari colori. Inclinai la testa, sperando di poter intravedere qualche abito adatto per una festa di apertura; qualcosa di casual e non troppo elegante.

Ancora non potevo crederci di aver accettato di andarci insieme a Melinda, ma preferivo di gran lunga stare fuori che dentro casa. Mia madre aveva i nervi a fior di pelle per non averle preparato il pranzo e mia sorella, dopo essere tornata a casa, si era chiusa in camera sua senza uscire per l'intero pomeriggio.

Odiavo dover vivere in quelle condizioni, perché non ero nata in una famiglia normale?

Uscii dalla mia camera e bussai ripetutamente a quella di mia sorella. «Anisha so che sei lì, apri», sbuffai.
La porta si aprì di poco e mi permise di entrare. Strisciando ritornò a letto e si  sdraiò su di esso. «Potresti prestarmi qualcosa da indossare? Devo andare con Melinda alla festa di apertura del campo sportivo e non posso andarci con una maglia nera e una jeans vecchio.»

«Abbiamo taglie diverse, sei troppo grassa per entrare nei miei vestiti», rispose, nascondendo il viso nel cuscino.

Le sue parole non mi toccarono più di tanto, «ricordo che hai abiti che non indossi da tempo, una volta eri più robusta di adesso, forse trovo qualcosa.»

«Va bene, cerca pure, ma guai a te se mi scombini la sistemazione dei panni.»

Alzando gli occhi al cielo, andai verso il suo armadio. Non appena lo aprii, capii subito il significato delle sue parole: tutti gli abiti erano disposti in ordine di colore e mi sembrava assurdo che un armadio potesse essere tanto perfetto.

«Perché ti sei rintanata in camera? Stai male?», le chiesi mentre cercavo  qualcosa di buono.

«No e comunque non sono affari tuoi.»

«Scusami tanto, volevo solo aiutarti in qualche modo», sussurrai, afferrando due vestiti che forse facevano al caso mio.

«Non puoi aiutarmi se il ragazzo con cui mi frequento è un coglione», la sentì sussurrare, ma non le risposi, effettivamente non ero nemmeno a conoscenza della sua situazione sentimentale. Mi concentrai dunque su i due vestiti. Non avevo mai indossato abiti del genere, poiché mettevano troppo in risalto le mie belle cosce di pollo, ma quei due -essendo a palloncino- le nascondevano bene.

«Posso prendere questi due vestiti? Ti prometto che domani te li riporto.»

Lei alzò il viso e li squadrò, «puoi anche tenerli, non li metto da anni.»

Annuii e sgattaiolai in camera mia, decidendo di indossarli entrambi e di inviare delle foto a Melinda per qualche consiglio. Alla fine, dopo trentacinque minuti di complessi mentali, optai per quello bianco, con una cintura sottile in vita e lungo fino al ginocchio.
Non apportai modifiche ai capelli, dato che la schiuma che avevo applicato in mattinata riusciva ancora a domarli.  Indossai delle scarpe da ginnastica ed afferrai la mia solita tracolla, infilandoci dentro l'essenziale.

Quando uscii di casa mia madre non c'era, dunque decisi di lasciarle un messaggio sul cellulare per avvisarla; non volevo che avesse un'altra scusa per insultarmi.
Presi il primo autobus e arrivai in piazza prima di Melinda, aspettandola per oltre dieci minuti.

«Scusa il ritardo, ma mia madre ha occupato il bagno per più di un'ora e non sono riuscita a prepararmi», arrivò con il fiatone. Era davvero bellissima quella sera ed ero abbastanza sicura che si fosse messa in tiro per il suo boy. Natan era il ragazzo di cui Melinda era follemente innamorata da anni e se quest'ultimo le aveva rivolto la parola almeno due volte era un miracolo; dunque la mia amica giocava il tutto sulla bellezza, sperando di attirare la sua attenzione.
«Che bel vestito, da dove lo hai tirato fuori?»

«È di Anisha, hai piastrato i capelli?»

«Ovvio, non posso presentarmi dal mio boy con la cresta di leone non trovi», volteggiò con il suo vestitino rosa pesca, inciampando per poco nei suoi stessi passi.

Per arrivare al campo sportivo ci impiegammo quasi mezz'ora e nel frattempo commentammo delle nuove puntate di una serie televisiva che da poco avevamo iniziato a vedere insieme. Quando giungemmo a destinazione, mi meravigliai nel vedere ciò che avevano allestito: vi erano molte bancarelle che vendevano dolciumi e oggetti inutili, diversi giochi con cui intrattenersi -come il biliardino, o il tiro alle lattine- e al centro vi era il gioco delle paperelle per i più piccoli.

«Finalmente un po' di divertimento! Da cosa iniziamo?», batté le mani lei.

Mi guardai attorno, notando subito un gruppo di ragazze che ci fissava da lontano; le sgualdrine che mi rompevano i coglioni a scuola. Mi prefissai di non dargli né soddisfazione né la minima importanza, voltandomi dunque verso la mia amica.

«Decidi tu, non saprei.»

«Potremmo provare a vincere un peluche, non mi sembra difficile buttare giù delle lattine», mi afferrò la mano, trascinandomi verso l'attrazione più vicina. Sul lungo tavolo di legno vi erano disposte una serie di pistole, i cui proiettili ci sarebbero stati forniti dall'uomo che aveva allestito l'attrazione per buttare giù le lattine.

La mia amica pagò ed afferrò decisa la pistola, puntandola verso le lattine e sparando a caso. Suo malgrado ne fece cadere solo una.
«Mi dispiace, signorina, ma per vincere il peluche che lei vuole deve buttare giù dieci.»

Lei, sconsolata, annuì e si voltò nella mia direzione, forzando un sorriso. «Peccato, sarà per la prossima.»

«No, aspetta», presi una banconota e pagai un giro. Quest'ultimo, titubante, mi porse la pistola carica.

«Aspetta rossa! Sei sicura di volerlo fare?», mi si avvicinò l'ex rappresentante del nostro liceo. «Sai bene quanto me che forse non dovresti nemmeno sfiorarla la pistola.»

Se prima ero decisa, il momento dopo ero sconsolata ed amareggiata. Non volevo fare nulla di male... Solo vincere il peluche che la mia amica desiderava tanto.
«Brunetta, se non vuoi che sia io stessa a puntarti la pistola contro e a premere il grilletto, faresti meglio a sparire.»

«Calma Yellow, sono solo intervenuta per la nostra incolumità», si voltò verso le amiche che annuirono come cagnoline.

«Per proteggere la vostra incolumità ci sono le guardie a pochi metri da voi, ma non mi sembra che a questa festa ci sia qualcosa di pericoloso, né tantomeno che lo sia la mia migliore amica.»

Io adoravo Melinda. Era sempre stata una ragazza testarda ed orgogliosa, non si fidava ciecamente delle voci di corridoio ed era quello il motivo per il quale eravamo grandi amiche da ben cinque anni. «Non darle ascolto e falle vedere quanto sei brava.»

Le sorrisi radiosa ed annuii, riafferrando con decisione la pistola.
Ispirai lentamente e la puntai verso la prima lattina, premendo il grilletto e buttandone giù una, due, tre...
«Brava!!», esultò lei quando buttai giù la decima. A quanto pare la mia mira dopo anni era sempre perfetta.

«Ecco a te il peluche unicorno», disse l'uomo, passandomi il peluche che diedi alla mia amica.

Ero sicura che nonostante gli anni passati nessuno mi avrebbe mai vista per quello che ero, bensì per il mostro che mi era stato dato.

Sentimenti Contrastanti||La Storia Di WoodsvilleWhere stories live. Discover now