IX ~Woodsville, sei il mio incubo~

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Oks

Il giorno seguente ritornai a scuola con il morale a pezzi. Ero stanca sia fisicamente che emotivamente. Il giorno precedente avevo passato l'intero pomeriggio a dormire, eppure mi sembrava di non aver riposato nemmeno per un'ora.

Per fortuna quel giorno come prima lezione avevo storia, dunque mi affrettai a recuperare il libro dal mio armadietto e ad infilarlo nella tracolla. Avevo ancora la mano fasciata, poiché il medico mi aveva prescritto la fasciatura per un paio di giorni; a quanto pare quel coniglietto aveva i denti belli appuntiti.

Quando dissi a Melinda il motivo per cui non era andata a scuola, per poco non ebbe un infarto. Continuava a ripetere che fosse colpa sua, che non doveva lasciarmi da sola e tutta una serie di sciocchezze che non avevo ascoltato minimamente. Mi ero solo limitata a dirle che la colpa non era sicuramente la sua.

Quella mattina si era presentata fuori scuola con una fetta di torta preparata il giorno precedente, che ovviamente gustai per bene, sperando che mi migliorasse la giornata.
«Oks», sventolò la mano lei, quando entrai in aula. La raggiunsi negli ultimi banchi e le stampai un bacio sulla guancia.

«Grazie per la torta, era buonissima.»

Lei sorrise e si lasciò cadere sul banco, pronta ad una bella ora di sonno. Il professore entrò e, dopo aver fatto l'appello, iniziò a spiegare.
Da dritta, più passavano i minuti, più mi incurvavo, fino ad appoggiare la testa sulla sua spalla e a crollare definitivamente.

Sobbalzammo entrambe al suono della campanella e, da brave studentesse, riponemmo i libri in borsa. Ridacchiando uscimmo dall'aula ed andammo nel laboratorio di biologia, dove la professoressa tutta arzilla poggiava delle fotocopie sui banchi; pregai Dio affinché non fosse un test a sorpresa.

«Ragazzi non perdete tempo in inutili chiacchiere, ho un annuncio da farvi!», rimproverò coloro che si erano fermati davanti all'uscio.

Quando raggiunsi il mio banco, notai con sollievo che non si trattava di un test a sorpresa, bensì di un elenco con dei nomi di piante... O fiori, non mi erano ben capito.

«Ci siamo tutti? Dal quel che vedo sì, perfetto. Ragazzi come ogni anno il preside ci ha dato il consenso per poter fare una lezione fuori sede. Ogni anno scegliamo una diversa destinazione e basiamo la giornata su ricerche di animali, piante e erbe selvatiche. Quest'anno ci sposteremo nel bosco, sulla fotocopia che vi ho dato ci sono scritti i nomi di piante che abbiamo studiato lo scorso anno e che per fortuna si trovano nelle vicinanze. In base alle vostre esperienze, dovete capire quali siano queste piante, scattare una foto e stamparla. Per venerdì voglio una relazione con tutte le foto e chi ne indovina di più, riceverà due punti di credito.»

In classe scoppiò il caos. Chi cercava il partner ideale, chi obiettava semplicemente per noia, chi invece si concentrava sui nomi scritti e provava a cercarli su internet.
«Ragazzi!», batté lei le mani, facendoli zittire. «Ci tengo a precisare che posso anche cambiare i nomi della lista, quindi Caccia, se fossi in lei ripasserei qualcosa dello scorso anno e non cercherei foto su google. Ricordatevi che non c'è campo nel bosco, quindi lascerete a me i vostri cellulari.»

Ridacchiai per la pessima figura che aveva fatto il ragazzo ed ispirai per non urlare dalla frustrazione. Woodsville era il mio incubo, tutto ciò che odiavo di più al mondo era racchiuso in una microscopica fetta di esso. Percè una gita nel bosco? Perché non in uno zoo, o da qualche altra parte?

Dovevo avvisarli dei lupi? Di sicuro nessuno mi avrebbe creduta, dato che il preside aveva approvato la gita e di conseguenza si era aggiudicato la fiducia di tutti gli studenti; certo non avrebbe messo a rischio l'incolumità di poveri liceali.
Sospirai e mi passai una mano tra i capelli, consapevole che l'indomani sarebbe ben presto arrivato.

Quando anche l'ultima lezione terminò, salutai Melinda ed aspettai l'arrivo del pullman per tornare a casa. Quel giorno avevo persino dimenticato di prepararmi un panino ed avevo una fame tremenda.
Per ammazzare il tempo, entrai nei diversi social e visualizzai le notifiche di Facebook, la maggior parte era tutta pubblicità.

Avevo solo tre amici su Facebook: mia madre, Anisha e Melinda. Poco mi importava sinceramente, ma molto spesso nei suggeriti mi uscivano i nomi dei ragazzi che frequentano la mia scuola ed ero tentata di mandargli la richiesta.
Proprio tra i suggeriti, mentre leggevo ancora una volta i nomi dei miei coetanei, intravidi un nome mai visto prima, anzi due nomi: Sandel Lupei e Gabriel Lupei.
Senza pensarci due volte cliccai sul  nome di Sandel ed entrai nelle amicizie aggiunte da poco, notando con enorme stupore che quasi la metà dei ragazzi del mio liceo e la maggior parte delle ragazze di mia conoscenza avevano stretto amicizia con lui e gli commentavano addirittura le foto.

Con ancora lo sguardo sul telefono salii sul pullman e, non appena arrivai a casa, continuai con il mio stalkaraggio. Le foto che aveva pubblicato erano una più belle delle altre, tutte scattate in posti diversi e in alcune aveva taggato anche suo fratello Gabriel.

Per semplice curiosità cliccai anche sul suo profilo e mi meravigliai quando vidi che aveva pochi amici, sicuramente più di me, ma meno del fratello. Come immagine di copertina aveva una foto stupenda e i suoi occhi blu erano messi in risalto dalla luce solar. Involontariamente cliccai sul mi piace e non lo tolsi; ero una ragazza realista e quando una foto era bella l'apprezzavo e lo dicevo.

Mi decisi poi a studiare filosofia, nonostante fossero poche pagine, ed attesi trepidante che tornasse mia madre per pranzare.

Qualcuno bussò alla porta, «posso entrare?», chiese mia sorella.

«Certo», incrociai le gambe sul letto, «che succede?»

«Devo parlarti di mamma, lei ancora non ti ha detto nulla, ma so quanto odi restare fuori dalle questioni familiari.»

«Devo preoccuparmi?», la vidi avanzare fino alla sedia della mia scrivania a e sedersi su.

«Non lo so onestamente, dipende da come la prendi. Mamma ha una relazione con un uomo... E quell'uomo è venuto a cena qui qualche sera fa», si fermò, aspettando forse una mia reazione, ma io rimasi muta. «Lei continua a ripetermi che è una relazione seria e che stanno... Cioè non ne sono sicuri, ma vorrebbero ipotizzare un possibile matrimonio-»

«Il macellaio? Davvero?», mi passai una mano tra i capelli, «quell'uomo non mi piace e si vede lontano un miglio che mi giudica e mi odia. Ricordi come osò parlare di papà e di ciò che successe? A mamma non importa questo?»

«Per mamma, papà è morto da anni e il suo ricordo non è vivo nel suo cuore così come lo è nel nostro. Sono passati comunque quasi cinque anni e se lei vuole rifarsi una vita, noi non possiamo impedirglielo.»

«Una mamma dovrebbe pensare al bene delle sue figlie, non solo al suo. Dovrebbe esserci lei qui a parlarmene e non tu. Ho visto quanto fossi tesa quella sera, quindi penso che anche a te non stia tanto a genio.»

Sospirò, «ciò che pensiamo noi a lei non importa. Te ne parlo io perché lei te lo avrebbe detto il giorno del matrimonio, forse.»

«Non posso crederci», mi alzai, iniziando a camminare per la camera. «E dopo il matrimonio? Dovremmo lasciare il negozio? La casa di papà?»

«L'unica cosa che mi ha detto è che odia da sempre lavorare in questo negozio e che la casa la oppressa troppo a causa dei bei ricordi che abbiamo qui.»

«In poche parole significa che metteremo in vendita sia la casa che il negozio. Proprio perché abbiamo bei ricordi, dovremmo restare qui!»

«È una sua decisione e noi non possiamo farci nulla. In una famiglia normale si dovrebbe decidere tutti insieme, noi non lo siamo.»

Mia madre era pazza se pensava che avrei messo piede nella casa di quell'uomo. Detestavo mio padre, ma lui lo aveva ufficialmente superato.

Sentimenti Contrastanti||La Storia Di WoodsvilleWhere stories live. Discover now