Capitolo 5: Essere competitivi

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Ogni tanto riguardavo le vecchie foto. Riguardavo i video dei miei primi passi, delle mie prime parole, dei miei balletti. Riguardavo le foto di famiglia. Le stesse foto in cui eravamo ancora in quattro.
Io, mamma, papà ed Harriet.
Chi l'avrebbe mai detto che, prima del previsto, saremmo rimasti in tre.

Mia sorella mi mancava come l'aria, ogni giorno di più, nonostante fossero passati quattro lunghissimi anni.

Harriet stava tornando a casa da scuola. Aveva quattordici anni, due splendidi occhi verdi come i miei, i capelli biondi e lunghi fino al seno ed il sorriso contagioso. Harriet era bellissima. Era fantastica, buona, intelligente, responsabile.
Mia sorella aveva così tanti pregi che elencare dei difetti, era pressoché impossibile.
Poi boom, un'auto.
Il corpo di mia sorella a terra, privo di sensi. Il sorriso era scomparso. Gli occhi si erano chiusi. Il cuore aveva smesso di battere.
Ed io volevo smettere di respirare per far tornare in vita lei.
Mi avevano portato via Harriet.
La mia ancora, il mio angelo custode.
Mia sorella era tutto per me, e mi era stata strappata via troppo presto.
Ero rimasta sola.
Completamente sola.
Ed una ragazzina di tredici anni, dopo la morte di sua sorella, cosa poteva fare se non disperarsi? Ecco che da lì partì un lungo e terribile periodo che si concluse in ospedale, con la conoscenza di Jay Evans.
Volevo andare da mia sorella, scappare da tutti, ottenere la pace.
Volevo solo rivedere Harriet.
Volevo di nuovo ridere con lei, infilarci insieme nel lettone di mamma e papà.
Mi mancava.
Troppo, troppo, troppo.

«Keira, andiamo a correre?» chiese mio padre entrando in camera mia.

Nascosi velocemente la foto di me e mia sorella, entrambe senza due dentini, sotto al cuscino e poi mi voltai verso mio padre.

«Devo proprio?»

«Assolutamente! Ti aspetto in salotto tra quindici minuti, forza!» esclamò sorridente, per poi uscire chiudendo la porta.

Mio padre era un fanatico della corsa.
Amava stare sempre in movimento.
Il peggior difetto che poteva capitargli, però, era proprio quello di essere fin troppo competitivo.
Ogni cosa era un pretesto per gareggiare, e ciò all'inizio era carina come cosa.
Poi, no.
Papà trasformava anche la corsa da casa alla gelateria di Budd, in una gara.

***

«Forza tesoro! Muovi quelle gambe!» mi urlò, sorpassandomi.

Ero stanca.
I capelli attaccati alla fronte sudata, il respiro affannato, il battito cardiaco irregolare e tanta stanchezza.
Lo raggiunsi e quando arrivammo davanti ad una panchina, mi ci sedetti sopra. Gettai la testa indietro e cercai di ricominciare a respirare regolarmente.

«Come fai ad essere già stanca?» chiese saltellando un po' sul posto.

Ma quell'uomo era in grado di starsene fermo anche per un solo secondo?

«Basta!» urlai, portandomi una mano sulla fronte. «Papà, io torno a casa.»

«Assolutamente no!»

«Assolutamente sì!» dissi alzandomi e sistemandomi meglio i pantaloncini. «Questo pomeriggio ho un impegno, e non posso arrivare con un infarto in corso.»

«Che impegno?»

«Devo organizzare la festa di inizio anno e devo trovare una bella sala o palestra, dato che casa nostra adesso è inagibile.»

«Ottimo Keira, porta in alto l'onore dei Kelley!» sorrise alzando un pugno.

«Torniamo a casa ora?»

«Va bene.» disse portando un braccio attorno alle mie spalle ed iniziando entrambi ad avviarci verso casa.
«L'ultimo che arriva, apparecchia la tavola!» urlò iniziando a correre improvvisamente.

Maledizione.
Papà era un vero bambino.
Però io non ero di certo una perdente.

***

«Mike! Vieni ad apparecchiare la tavola!» sorrise mia madre.

Feci la linguaccia a mio padre e lui mi diede un leggero schiaffo sulla testa.
Avvisai che sarei andata in camera mia e così feci.
Ero appena uscita dalla doccia ma indossavo ancora solo un asciugamano.
Decisi quindi di mettere dei semplici e comodi pantaloncini di una tuta d un top bianco, poi sciolsi i capelli dal turbante che mi ero creata con l'asciugamano. Pettinati i capelli, andai a fare un salto in terrazzo.
Era bruttino.
Ci sarei dovuta stare solo un mese, ma quel terrazzo aveva bisogno di un bel cambiamento.
Mi piegai per raccogliere delle vecchie foglie secche e poi le buttai giù nel parco.
Mi voltai un secondo e trovai Jay seduto su un'amaca, nel suo terrazzo.

«Continua pure! La vista era molto bella.» mi fece l'occhiolino ed io decisi di abbassarmi i pantaloni un po' giusto per non fargli più vedere il mio sedere.
Dopodiché gli feci il dito medio.

Scoppiò a ridere e poi si portò le mani dietro la nuca. «Continua. È bello vedere Keira Kelley fare le pulizie.»

«Non sto facendo le pulizie.» misi una mano su un fianco.

«Okay.»

«Okay.» mi voltai dandogli le spalle e spostando un vaso vuoto con il piede.

«Ti serve una mano?»

«No.» dissi trascinando il tavolo verso l'angolo opposto in cui si trovava. Poi mi girai verso Jay. «Scusa, te ne vai? Non sono un fenomeno da baraccone.»

«Io sono nella mia proprietà, non sto creando alcun problema. Sono anche in silenzio, pensa un po'!»

«O te ne vai tu, o me ne vado io.»

«Ti turba così tanto la mia compagnia?» chiese con un ghigno.

«Sì.» incrociai le braccia. «Quindi, te ne vai oppure no?»

Alzò un sopracciglio e mi sfidò con lo sguardo. Lo sfidai anche io.
Nessuno avrebbe ceduto, lo sapevo bene.
Però quel giorno, la preseza di Jay mi turbava davvero. Forse per la notizia che mi aveva dato il giorno precedente. Quella che io, per sua sorella, ero morta. Come era venuta in mente ai loro genitori, una cosa del genere?

«Keira! Il pranzo è pronto!» urlò mia madre dalla cucina.

«Penso che abbia perso tu, Kelley.» sorrise Jay, alzandosi dall'amaca.

«Jay, vieni a mangiare!» sentii urlare da casa sua.

«Sei un perdente, Evans.»

«Tu di più.»

«No, tu.»

«Keira!» continuò ad urlare mia madre.

«Jay!» urlavano dalla sua cucina.

«Facciamo pari?» chiese sporgendosi ed allungando la mano.

«Io non pareggio, io vinco.» sorrisi soddisfatta.

«Okay.» scrollò le spalle. «Poi però non lamentarti se tuo padre è troppo competitivo». mi fece l'occhiolino e rientrò in casa.

Rimasi lì, ancora qualche secondo, e poi uscii dal mio stato di trance.
Tornai dentro casa ed andai a mangiare.
Almeno avevo vinto.

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Buongiorno! Piccolo momento #jeira ahaha
Sono carini daii
Come vi sta sembrando la storia per ora? Fatemelo sapere!
In ogni caso, voi come state?
Grazie per aver letto, buona giornata!

-Alessia

Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019Where stories live. Discover now