Capitolo 19: La storia di Jay

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Il traumatico rientro a casa mia il mattino seguente era stato un misto tra imbarazzo e postumi. Con Jay avevo balbettato qualcosa come un 'grazie' e lui, più a disagio di me, si era limitato a rivolgermi un piccolo sorriso.
Ero uscita prima che la signora Evans si alzasse, e sono andata a fare un giro per il parco accanto al condominio.
Erano quasi le nove del mattino ed io sembravo una povera pazza.
Le occhiaie si dilungavano per tutto il viso, i capelli erano così arruffati che persino legarli era stata una vera e propria impresa. Il vestito che portavo da dodici ore addosso, si stava rivelando molto scomodo. Per fortuna avevo delle scarpe basse. I miei occhi non riuscivano a stare del tutto aperti, ed il mio alito sapeva di schifo.
Sì, di schifo.
Come aveva potuto Jay provare a baciarmi con quella fogna che mi ritrovavo in bocca?
Giusto, il mezzo-bacio.
Io ero ubriaca...o meglio, brilla, e non ragionavo. Non ero lucida, ma lui sì!
Perché dirmi di no prima, per poi provarci? Forse avevo fatto male a rifiutarlo in quella maniera così maleducata, ma non avevo alternativa.
Chissà come si sentiva Jay.
Mi era dispiaciuto, in parte, aver rovinato il momento.
Come si sarebbe comportato lui, da quel momento in poi? Probabilmente sarebbe sprofondato nella vergogna e non mi avrebbe rivolto la parola per qualche giorno. Okay, mi dispiaceva.
Mi dispiaceva un sacco, davvero, ma non potevo baciarlo.

Mi squillò il telefono: mamma.

«Pronto?» biascicai.

«Keira, passo a prenderti da Kelsie tra dieci minuti»

Un momento, cosa? «N-no mamma, non serve»

«Sto quasi per uscire, ormai»

«Sul serio, non serve. Stavo venendo a piedi»

«Oh, okay. Allora ci vediamo a casa»

«Esatto, a dopo» tirai un sospiro di sollievo.

Chiusi la chiamata e sorrisi soddisfatta delle mie doti recitative.
Spensi il telefono e mi alzai dalla panchina su cui ero seduta da più di quindici minuti.

«Attrice nata» sentii una voce provenire da dietro di me.

Mi voltai e trovai un ragazzo alto, con i capelli dorati e gli occhi di un colore strano misto tra il verde e il marrone.

«E tu saresti?»

«Il tuo angelo custode»

«Eh?»

«Mi ha mandato Jay, voleva assicurarsi che tu tornassi a casa sana e salva» sorrise.

Ah, l'amico di Jay.
Lo avevo conosciuto la prima notte trascorsa nel condominio, nello stesso momento in cui io e Jay avevamo ricominciato a parlare.
Brandon, credo.

«Sono Oliver» disse notando la mia espressione confusa.

Oliver...Brandon, è uguale.
Incrociai le braccia al petto e lo sfidai con lo sguardo.

«So tornare a casa da sola, la riesco a vedere da qui»

«Ti farò comunque da guardia del corpo» sorrise porgendomi il braccio. «Allora signorina Keira, vogliamo andare?»

Sbuffai e poi legai il mio braccio al suo, incominciando entrambi a camminare in direzione del condominio.

«Quindi...» mi schiarii la voce. «Perché non è venuto Jay, ma ha mandato te?»

«Ha detto di avere un impegno, ma sinceramente io non ci credo molto» scrollò le spalle.

«Un impegno? Okay»

«Tu ne sai qualcosa?»

«No no» scossi la testa in segno di negazione.

«Mh» sospirò. «In questo periodo lo vedo assente, con la testa tra le nuvole»

Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019Where stories live. Discover now