Capitolo 39: Il padre di Jay

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Mi alzai dal divano letto che capii successivamente essere quello di Kylie, e mi tenni la testa pulsante tra le mani. Davvero, stava scoppiando.
Avevo bisogno di un'aspirina e di un bicchiere d'acqua. Raggiunsi la cucina e bevvi a grandi sorsi tre bicchieri d'acqua congelata.
Dopodiché mi avviai verso il cassetto dei medicinali e presi un'aspirina che mi affrettai ad assumere.
Tornai dalle mie amiche anch'esse appena sveglie, e mi rigettai tra i cuscini. Staccai il telefono dal caricabatterie e notai che erano le undici e mezza del mattino.
Dovevo tornare a casa, farmi una doccia e prepararmi per uscire con Millie.
Sbuffai e mi rialzai.
Chiesi a Kelsie un passaggio a casa, dato che a prenderla sarebbe venuto suo padre, e lei mi disse di sì.
Ci cambiammo con i vestiti che avevamo lasciato a casa di Kylie prima di andare alla festa, e poi salutammo i signori Clarke.
Lasciammo entrambe un bacio sulla guancia della nostra amica in post-sbronza, e salimmo sull'auto del signor Baker.
Lui ci chiese come fosse andata la serata, e noi dicemmo che tutto sommato era andata bene. Deviammo il discorso sia perché il padre di Kelsie non sapeva che eravamo andate al Cosmopolitan, sia perché se ci avesse scoperte, non saremmo state abbastanza lucide da inventarci qualcosa per tirarci fuori dai guai.
Dopo una decina scarsa di minuti, l'auto si fermò di fronte al mio condominio ed io scesi dall'auto del signor Baker rigranziandolo del passaggio. Lui, in sua risposta, mi sorrise e mi chiese di salutare i miei genitori da parte sua.

Salii i gradini esterni, infilai le chiavi nella serratura del portone e salii fino al quarto piano, dove ad attendermi non c'era solamente la porta chiusa.

Delle urla forti provenivano dell'appartamento Evans, seguite da delle parolacce e frasi non molto carine.
Sentii qualche oggetto pesante muoversi e la voce profonda di un uomo mi fece scattare il campanellino d'allarme.
Ero immobile sulle scale, mancavano due gradini.
Potevo andarmene a casa ed ignorare il tutto, ma non ci riuscivo.
Qualcosa mi fece restare immobile con i piedi inchiodati a terra e la mano stretta attorno al corrimano.
Forse Jay era in pericolo?
Non ebbi il tempo di riflettere e pensare di fare qualcosa, che la porta di fronte a me venne spalancata e sbattuta con forza contro al muro.
Un grande uomo sulla mezza età, alto almeno un metro e novanta, mi guardava arrabbiato. Il suo petto si muoveva su e giù, gli occhi azzurri si erano trasformati in una pozza nera, le vene sul collo e sulle braccia erano sul punto di esplodere. Stringeva i pugni, il viso rosso, gli occhi iniettati di sangue, i denti stretti. Mi guardò in cagnesco e si diresse verso di me, mi diede una spallata per passare e scese le scale velocemente, sbattendo i piedi a terra.
Era lui.

Paralizzata.
Non sapevo che cosa fare.
Guardavo le scale ai piani di sotto con la bocca spalancata per lo stupore.
Poi tornai con gli occhi sull'appartamento di Jay, la quale porta d'entrata era rimasta ancora aperta.
C'era silenzio.
Volevo entrare e vedere come stava Jay, ma a precedermi fu lui.
L'immagine del moro mi si presentò davanti intento a chiudere la porta, ma quando mi vide si bloccò.
Ed io sentii il mio cuore perdere un battito.
Jay aveva un enorme livido nero e viola sotto all'occhio destro, e sul labbro, dove ricordavo il piercing in metallo, vi era solo un graffio colmo di sangue.

«Jay» sussurrai soltanto.

Mi fiondai tra le sue braccia e lo strinsi forte a me. Gli accarezzai i capelli, il collo, la schiena. Volevo fargli capire che io, per lui, c'ero sempre.
Mi staccai dall'abbraccio dopo cinque minuti e gli presi il viso tra le mani.
Con il piede chiusi la porta e ci ritrovammo da soli in casa sua.
Lo osservai attentamente e persi un altro battito quando lo vidi piangere.
Era zitto, immobile, sofferente.
Gli accarezzai i riccioli color cioccolato e chiusi gli occhi per non fargli vedere le mie lacrime.
Nonostante sapessi che stavo per commettere un errore madornale, premetti le mie labbra contro le sue e cercai di trasmettergli tutto l'amore che potevo dargli.
Sentivo il gusto metallico del suo sangue nella mia bocca.
I nostri baci erano sempre così tristi, maliconici, addolorati. Erano malati.
I baci erano nati per accentuare la felicità, ma nel nostro caso, erano nati per farla ritrovare.
Labbra affamate, lingue che giocavano a rincorrersi, mani che si insinuavano sotto i pochi tessuti che ci ricoprivano.

«Che cosa vuoi fare?» sussurrò sulle mie labbra, mentre la sua mano affondava nella mia coscia.

«Tutto, pur di farti dimenticare ogni cosa» gli baciai il pomo d'Adamo; mi faceva impazzire.

Si separò da me e posò le mani sulle mie spalle. «Keira, non fare cose di cui potresti pentirti»

«Non mi pentirei mai» gli asciugai una lacrima con il pollice. «Sei tu, Jay. Con te non ho paura di niente. Voglio solo aiutarti»

Mi guardò negli occhi per un lunghissimo ed interminabile minuto.

«Sai disinfettare le ferite?»

Sorrisi dolcemente. «No, ma posso imparare»

Mi prese la mano e mi portò in bagno, tirò fuori la cassetta dei medicinali e poi andammo in camera sua.
Iniziai a tirare fuori le varie cose e con la coda dell'occhio vidi che Jay si stava togliendo la maglietta.

«C-che fai?» chiesi imbarazzata evitando di guardarlo.

«Ho un livido anche qui» disse indicando qualcosa, e quindi dovetti per forza alzare lo sguardo.

Cazzo.

«Lì?» indicai il suo stomaco.

«Già»

«O-okay» dissi con voce acuta.

Che caldo.

Si sedette di fianco a me sul suo letto ed appoggiò la testa sul cuscino.

«Era tuo padre» sussurrai.

«Sì»

Sospirai.
Gli posai una mano sul ginocchio e presi il disinfettante.

«Vieni qui»

Si mise seduto ed io gli presi il viso tre le mani. Sorrisi ed iniziai a tamponare sul graffio.

«Hai perso il piercing»

«Me l'ha strappato lui. Dice che sembro un idiota»

Mi morsi il labbro dalla rabbia e cacciai indietro le lacrime.
Gli levai tutto il sangue secco e lui sorrise quando mi vide così vicina e concentrata sulle sue labbra.

«Mi dispiace» dissi soltanto.

Chiuse gli occhi e trattenne una smorfia di dolore.
Finii di medicargli il labbro.
Mi alzai e lo guardai dall'alto.
Mi tolsi la felpa e rimasi in canottiera.
Faceva davvero caldo.

«Vado a prenderti del ghiaccio» annunciai ed uscii dalla camera.

Raggiunsi la cucina ed aprii il freezer.
Presi una busta di patatine surgelate e la avvolsi in un tovagliolo.
Mi voltai per tornare da Jay, ma lui mi aveva già raggiunta nel più completo silenzio. Seduto sullo sgabello di fronte al bancone, si toccava il labbro.

«Metti questa sull'occhio» gli passai la busta.

Così fece.
Si posò la busta congelata sopra l'occhio e poi mi invitò ad abbracciarlo, di nuovo.
Mi infilai tra le sue gambe e lo strinsi forte a me. Avvolsi le braccia attorno al suo collo, piegando la testa cosicché lui potesse tenere la busta sull'occhio senza problemi, e lui legò le gambe attorno alle mie, mentre la sua mano libera giocava ad accarezzarmi la schiena.
Di tanto in tanto scendeva più in giù...

«Grazie» sussurrò sul mio collo.

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Buongiornoo io sono innamorata di questi due aaaa
come va? Fatemi sapere cosa pensate della storia grazie ciiiaoo

-Alessia

Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019Where stories live. Discover now