Capitolo 50: Le mele verdi

4.2K 164 18
                                    

«Mi stai seriamente dicendo che tu, a sette anni, hai assaggiato la birra?»

«Te lo sto proprio dicendo»

«Non ci credo!»

«Con una madre come la mia, cosa ti aspetti? Sono fortunato a non essermi ubriacato già a dieci anni con lei!»

Jay rideva, (ed anche io in realtà) ma la situazione era più pericolosa di quanto potesse sembrare.
Eravamo stretti in un abbraccio, distesi sul tetto da almeno un'ora.

«Domani sera c'è la festa di compleanno di Kylie. Ti va di venire?» chiesi d'un tratto.

«Con te?»

«Se ti va» scrollai le spalle.

«Quindi è una specie di appuntamento?»

«No, è il compleanno della mia migliore amica, a cui io e te andremo insieme. Sempre che tu ne abbia voglia»

Sorrise. «E poi insisti a dire che non tenti di rimorchiarmi. Più esplicito di così!» scherzò, scoppiando a ridere.

Gli diedi un pugno sul petto ed iniziai a ridere sonoramente anche io.

«Va bene, verrò. Vicki non ci sarà, giusto?»

«No, ma molta gente della scuola sì. Forse sarà meglio andare separati, ora che ci penso»

«Andiamo!» mi prese l'indice ed iniziò a giocarci un po'. «Tutti ormai sanno che siamo vicini di casa. Nessuno si stupirà nel vederci assieme»

«D'accordo. Andremo insieme, ma da amici»

«Amici» ripeté convinto.

«Niente di più»

«Siamo qualcosa più di "amici"?»

«Tu che dici?» sorrisi. «Magari mi sbaglio eh! Forse baci anche Oliver e Matt, e forse sono io indietro con i tempi, visto che non bacio le mie amiche. Forse dovrei provarci, sai-»

«E cosa siamo, quindi?» mi interruppe.

«Non lo so»

«Non ti dà fastidio?»

«Cosa?»

«Non saperlo»

«Ci troviamo in una posizione piuttosto intermediaria. Siamo più di un paio di amici, ma meno di due fidanzati»

«E non esiste un nome per questa cosa?»

«Perché vuoi etichettare tutto?» sorrisi. «Lasciamo stare così. Magari non avere un nome rende tutto più bello»

«Mh, può darsi» scrollò le spalle.

«A proposito...con Oliver?»

«Con Oliver, cosa?»

«Ieri avete litigato animatamente»

«Mi ha dato fastidio e mi sono incazzato, quindi?» rispose scorbutico.

«Quindi non credi sia ora di fare pace? Scommetto che nemmeno vi siete sentiti oggi!»

«Lascia stare, Key. Litighiamo spesso. Non serve chiederci scusa per far tornare tutto come prima. Bastano poche ore o pochi giorni e tutto si sistema»

«Come vuoi tu» chiusi gli occhi.

Inspirai l'aria fredda della notte.
Sentivo uno strano velo di angoscia addosso, molto probabilmente causato dal fatto che di lì a poco me ne sarei andata.
Se già sentivo la mancanza di tutto quanto, quattro notti prima, allora che avrei fatto il giorno di ritorno a casa? Non volevo pensarci, non dovevo.
Però ogni cosa mi si ricollegava al trasloco. Anche la più lontana, anche pensare ad un hamburger, mi riconnetteva alla mia vera casa.
E pensare che all'inizio, nemmeno volevo starci in quel condominio mezzo scassato. In quell'appartamento dalla tappezzeria e dall'arredamento discutibili.
Non volevo neanche metterci piede.
Ripugnavo persino l'idea di farmi ogni giorno, su e giù, quattro rampe di scale.
Alla fine, tempo di riconoscere Jay, e il peso di quelle scale già non lo sentivo più. Nemmeno il peso che sentivo nel non stare in una villa a quattro piani, senza piscina. Ogni ostacolo se n'era andato, non appena misi piede su quel tetto.
Era passato un mese.
Ma un solo secondo, per me, sarebbe senza dubbio durato di più.
Era stato come se tutto fosse volato, come se le giornate si fossero trasformate in minuti e le ore in secondi. Ogni cosa era giunta al termine prima del tempo previsto, ed io non me ne capacitavo.

Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019Where stories live. Discover now