Capitolo 44: Una strana costellazione

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Lo stomaco pieno, la musica in sottofondo, il cielo scuro.
Oliver era carino.
Socievole, di compagnia, divertente.
Capii immediatamente perché avesse così tanti amici.
Era allegro, solare, simpatico.
Non riuscii a trovargli nemmeno un difetto, in tutta la serata.

Per quasi tre ore avevamo solamente parlato di quanto gli piacesse il basket, delle nostre famiglie, delle nostre amicizie.
Oliver era un tipo apposto.
Si godeva a pieno la sua adolescenza, pur rimanendo con la testa sulle spalle.
Mi aveva parlato della sua scuola, una privata, non troppo distante dal mio liceo. Ci eravamo anche raccontati un paio di episodi delle nostre infanzie.
Ad esempio, quando il gallo di suo nonno lo aveva inseguito per tutta la fattoria, oppure quando il fratello maggiore di Oliver gli aveva spiaccicato del gelato in faccia a otto anni.
Per tutta la serata avevamo riso a crepapelle e chiacchierato molto.
Non c'era stato alcun silenzio imbarazzante dovuto alla poca conoscenza che avevamo l'una dell'altro, per fortuna.

Mi ero sentita bene in compagnia di Oliver, sembrava di conoscerlo da sempre.

«Mi sono divertito» sorrise, alzandosi dal divano.

«Anche io»

«Sono felice di averti conosciuta meglio»

«Posso dire lo stesso» sorrisi anche io.

«Sentiamoci, no? Magari un giorno usciamo a bere un caffè»

«Assolutamente!» lo accompagnai alla porta.

Poi sentii il rumore di un paio di chiavi muoversi nella serratura.
I miei genitori erano tornati.

Non volevo domande, scocciature e il terzo grado da parte loro, quindi obbligai Oliver a nascondersi nella mia camera da letto.

Entrarono, e con il cuore in gola li salutai velocemente.
Loro mi chiesero come fosse andata la serata. Risposi che era stato tutto apposto, ma poi spostarono lo sguardo sul tavolino del soggiorno, dove erano presenti due cartoni della pizza.
Mi inventai che avevo invitato Kelsie e loro mi credettero.
Di parlare loro di un 'nuovo amico' non ne avevo alcuna voglia.

Con loro non avevo più conversazione, non ci sforzavamo a parlare più del dovuto, e ogni silenzio si creava, non era più sgradevole o fastidioso.
Solo silenzioso.

Annunciai loro che sarei andata a dormire e poi buttai i due cartoni della pizza nell'immondizia.
Mi accertai che entrambi fossero nella loro stanza e poi io entrai nella mia.
Chiusi a chiave.
Trovai Oliver guardare in giro per la mia camera da letto.
Guardava un po' negli scatoloni e, seduto sul letto, faceva roteare un mio vecchio braccialetto delle Barbie.

Mi schiarii la voce e lui tornò con i piedi per terra. Si voltò verso di me di scatto e poi si alzò altrettanto velocemente.
Sorrise imbarazzato e posò il bracciale sul letto.

«I miei sono nella stanza accanto» sussurrai.

«Come faccio ad uscire?»

«Bella domanda» mi avviai verso il terrazzo. «È troppo alto, non puoi scendere da qui»

«Preferirei arrivare a casa con tutte le ossa» rise, raggiungendoni.

«Ci resta solo da aspettare che i miei si addormentino» scrollai le spalle.

«Lo penso anch'io» sorrise.

Poi il suo sguardo iniziò a viaggiare.
Prima sul parco giochi di fronte al condominio, poi sulle mie spalle, dopodiché sul pessimo arredamento del terrazzo.
I suoi occhi, dopo, si posarono sulle scale rivolte verso il tetto.

«Quelle portano al tetto?» chiese indicandole.

«Sì»

«E quello non è il terrazzo di Jay?»

Sopra lo stesso tetto | #Wattys2019Where stories live. Discover now