Capitolo 43: Amy

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Oramai sono due settimane che ho smesso di andare al dormitorio di Neil per lavorare e sette giorni da quando ci siamo parlati l'ultima volta e da quando ho origliato la sua conversazione fuori dal Ticket con James.

Mi suona quasi strano da ammettere, ma è la settimana più tranquilla che ho vissuto dall'inizio dell'anno accademico: vado a lezione, esco con Brie e con Thomas, lavoro e torno a casa stanca ma soddisfatta. So che c'è qualcosa che rende tutto questo così... vuoto e so cosa è. Chi è. Forse sono egoista a pensare che questa mia tranquillità ne valga la pena, forse sto facendo un favore a entrambi.

Dicono che il tempo guarisca le ferite e probabilmente questo è il nostro tempo. Noi tutti abbiamo qualcosa che ci ha feriti, spesso fortificati, spesso abbattuti a partire da Thomas, a Brianna, a Neil, perfino a mio padre. Ovviamente ci sono ferite più profonde di altre, destinate a diventare cicatrici e resistere al tempo, ma questo non gli impedisce di sbiadire e smettere di far male. Nessuno nota più le cicatrici quando son anni che stanno lì.

L'acqua della doccia zampilla per una momentanea perdita di pressione e questo mi riporta alla realtà. Credo siano ore che sono sotto il getto bollente e, se ancora mi sono sciolta, sarebbe ora di uscire. 

Mi lego l'asciugamano attorno al busto e salto sul tappetino davanti al lavandino sperando di gocciolare meno, ma il mio tentativo è più che fallimentare dato che allago puntualmente il bagno ogni volta che mi lavo. Osservo il mio riflesso allo specchio e penso che sembro felice, o almeno chi non mi  conosce direbbe che lo sono. Porto la mano sulla scapola e ricalco con le dita il bordo della cicatrice, anche se non la vedo la ricordo a memoria. Una linea ondulata più interna e una semiluna più esterna. Le dita di Neil avevano fatto lo stesso percorso la notte del compleanno di Brianna, prima di risalirmi la zip del vestito. Le mie dita sono qui a cercare il fantasma delle sue, involontariamente.

Non conosce la storia della mia pelle, eppure ogni mia cellula aveva fatto sua quell'incredibile delicatezza che le era da sempre stata negata. 

Non è una bella storia, ma almeno è passata.

Questo è un nuovo capitolo. Di un libro diverso.

Mi asciugo i capelli e indosso qualcosa di comodo perchè tanto tra poco dovrò di nuovo cambiarmi, anche se questa sera sono talmente stanca che quasi quasi mando un messaggio a Brent per dirgli che sono malata e non posso lavorare. Peccato che il bisogno di uno stipendio ora sia più forte che mai.

Prendo le chiavi della macchina e mi costringo ad andare a lavoro.

Al Ticket non si sono più verificati strani casi di aggressione e tra noi ragazze la paura sta passando, anche se restiamo all'erta. Non ci sono prove che siano stati Jeff e Brent a drogarci, chissà forse mi sbagliavo a pensare che tutti i proprietari di questo tipo di locali fossero come mio padre.

Alex e Victoria sono già vestite e truccate e appena finisco le raggiungo. So che questa sarà una nottata davvero lunga e il fatto che mi si chiudano gli occhi dal sonno non la renderà semplice.

Appena posso vado a farmi dare una Redbull da Jeff e torno in pista tra i ragazzi ubriachi e puzzolenti di sudore che mi si strusciano su qualunque superficie corporea. Quasi mi viene da vomitare, così scappo dietro il tendone di velluto dirigendomi al bagno per gettarmi un po' di acqua gelida sul viso.

È fresca e il cloro brucia leggermente negli occhi quando una gocciolina scivola nell'angolo interno. A tentoni cerco il rubinetto per chiuderlo e in due secondi le gambe cedono.

"Prendila" credo sia la voce di Brent quella che ho sentito.

Mi fa male il collo perché credo di avere la testa appesa all'indietro. Un braccio regge la mia schiena e un altro le gambe.

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