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Taylor Swift, Wildest Dreams

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Le ore di quella giornata si trascinarono con una lentezza a dir poco snervante. Harry passò ancora una volta per consegnarmi dell'altro cibo a metà pomeriggio, dopodiché non lo vidi più per l'intera giornata. Era possibile che avesse persino lasciato l'edificio e, se così fosse stato, non avrei saputo dire se l'idea di trovarmi completamente sola in quel luogo abbandonato nel bel mezzo del nulla fosse peggiore o migliore rispetto alla presenza di Harry.

Quando calò la notte, mi resi conto che per la prima volta dopo diverso tempo non ero insieme a Niall e non avevo modo di parlare con lui. In quel momento, tutta quella situazione parve diventare un po' più reale, come se fino ad allora mi fossi trovata in una sorta di incubo dal quale speravo che mi sarei risvegliata.

Il ticchettio sommesso delle gocce di pioggia che scendevano dal cielo annuvolato era l'unico rumore udibile. Di tanto in tanto si aggiungeva un inquietante sgocciolio che proveniva dalle tubature arrugginite fissate al soffitto, insieme ad altri strani rumori metallici che decisi di attribuire al vento. I numerosi spifferi e la piccola finestra della mia cella, serrata soltanto da una trave in legno quasi del tutto ceduta, lasciavano passare svariate folate gelide, che mi facevano rabbrividire ogni volta.

Come se le pessime condizioni atmosferiche e gli strani rumori - o, più in generale, il fatto stesso di trovarmi in quel luogo - non fossero già abbastanza, il cupo silenzio e la totale assenza di distrazioni rendevano del tutto impossibile riuscire ad ignorare i pensieri.

Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era la mia totale impossibilità di uscire da quella dannatissima cella, e quell'idea snervante e fottutamente spaventosa mi stava mandando completamente fuori di testa.

Quelle erano le principali ragioni per cui, nonostante fossi indebolita da un'intensa stanchezza e le mie palpebre risultassero parecchio pesanti, non riuscivo a chiudere occhio.

Rimasi per ore distesa su quel materasso ammuffito a fissare il soffitto, ma, nel momento in cui mi concedevo di chiudere gli occhi, i peggiori scenari riguardo alla fine di quella terribile reclusione scorrevano davanti a me, facendomi accapponare la pelle.

Improvvisamente il forte boato metallico di una porta sbattuta riecheggiò all'interno dell'edificio.

Trasalii e scattai in piedi, mentre ogni traccia di sonnolenza o stanchezza si dissolse nel giro di pochi istanti.

Trascorsero alcuni secondi, prima che cominciassi a sentire diverse voci maschili, troppo lontane per riuscire a riconoscerle o a capire che cosa stessero dicendo ma abbastanza vicine per intuire che, di chiunque si trattasse, dovevano essere molto arrabbiati.

Immediatamente mi chiesi se fossero lì per me. Immaginai che poteva trattarsi dei tre uomini che mi avevano rapita, e al solo pensiero rabbrividii e sentii i muscoli irrigidirsi.

Quando però iniziai a udire una serie di porte e altri oggetti sbattuti e messi sotto sopra, mi resi conto che quell'ipotesi era piuttosto improbabile. Se si fosse trattato di loro, era certo che sapessero dove fossi.

A quel punto pensai che era persino possibile che gli intrusi non fossero neppure a conoscenza della mia presenza in quel luogo.

In qualunque caso, non ci tenevo assolutamente a scoprire chi diavolo fossero.

Sarei rimasta lì ad aspettare, sperando con tutta me stessa che non si accorgessero di me, e che qualunque cosa stessero cercando non si trovasse in quella stanza.

Blame | H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora