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Of Monsters and Men, Little Talks

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Sgranai gli occhi. Mantenni il contatto visivo con Harry per svariati secondi, nella speranza irrazionale che non intendesse ciò che avevo capito.

"Cosa?" domandai, la voce flebile e quasi impercettibile.

Il pensiero di mia madre, di quel certificato, degli appunti e di tutto il resto, passò in secondo piano. Tutto quello a cui riuscivo a pensare era ciò che aveva detto Harry. Cosa diavolo significava che suo padre voleva vedermi? Per quale ragione?

"Perché?" aggiunsi piano.

Harry smise di guardarmi. Cominciò a stuzzicare uno degli anelli che portava al dito, ruotandolo piano, dunque si inumidì le labbra con la lingua.

"Per parlare" disse soltanto.

Feci per aprire bocca e replicare, ma ci ripensai. Rimasi in silenzio per alcuni istanti, mentre la sua secca spiegazione si ripeteva nella mia mente, come se in tal modo potesse acquisire qualche ulteriore significato.

"Mi prendi per il culo?"

Le parole scivolarono fuori dalla mia bocca quasi involontariamente, oltrepassando silenziosamente la barriera del controllo. Harry inarcò le sopracciglia, evidentemente sorpreso da quella mia uscita, mentre sollevava appena un angolo della bocca, accennando un sorriso.

"No. Adesso andiamo" replicò.

Si allontanò da me di qualche passo, raggiungendo in poche falcate l'appendiabiti accanto all'ingresso. Agguantò le due giacche che vi erano sistemate, dunque me ne passò una, che io afferrai al volo. Notai che era la stessa che mi aveva dato quando mi aveva portato fuori, alcune sere prima, in seguito al mio incubo.

"Puoi scordartelo" dissi piano, lasciando ricadere lungo il fianco il braccio che reggeva la giacca.

Harry emise un lungo sospiro. "Blake..." mormorò. Faticai a interpretare il suo tono di voce: più che un'esortazione o qualcosa del genere, pareva una supplica, e non riuscii a spiegarmelo.

Lo vidi muovere alcuni passi nella mia direzione, ed indietreggiai istintivamente. Notando quel mio gesto, Harry si bloccò. Eravamo piuttosto distanti, l'uno di fronte all'altra. Eppure, quando cominciò a parlare, la sua voce mi parve incredibilmente vicina.

"Hai paura?" domandò piano. Mantenne lo sguardo incatenato al mio per i brevi istanti in cui pronunciò quelle parole, ma, non appena terminò, lo puntò verso i suoi piedi.

"Paura?" ripetei, in tono flebile.

Harry inspirò e passò la lingua sulle sue labbra, prima di parlare. "Di me."

Quando incrociai ancora il suo sguardo, percepii come una vertigine all'altezza dello stomaco. Il modo in cui mi guardava, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi come resi scuri da una sorta di ombra, non corrispondeva a quello che gli avrei associato per ciò che rappresentava. Lui era colui che mi teneva prigioniera, colui che si frapponeva fra me e la mia libertà. Eppure, nel suo sguardo riuscivo a leggere qualcosa che mai avrei immaginato di poter cogliere in una persona del genere, qualcosa che lui non aveva mai mostrato prima: vulnerabilità. Pareva essersi spogliato della sorta di corazza dietro cui si riparava di solito.

"Dovrei?" domandai piano.

Prima che Harry avesse il tempo di dire o di fare qualunque cosa, prima che io avessi il tempo di ripensare a quello che avevo chiesto, lo squillo del suo cellulare interruppe bruscamente quella pesante conversazione.

Blame | H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora