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(A/N – Ci terrei un sacco se lasciaste qualche commento per dirmi che ne pensate, per me è molto importante, sia quando poi vado avanti a scrivere che per capire com'è ciò che ho già pubblicato. Grazie mille xx)

Arctic Monkeys, Electricity

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Era trascorsa probabilmente una settimana da quando ero stata rinchiusa. L'unico momento della giornata in cui la porta che sigillava la mia stanza veniva aperta era durante la mattinata, molto presto, quasi verso l'alba, in occasione dell'arrivo di Harry. Entrava all'improvviso, senza dire una parola, mi consegnava ogni volta il medesimo sacchetto con il cibo e poi usciva, sempre in assoluto silenzio.

Avevo notato che, dalla mattina successiva alla sparatoria, Harry mi aveva a stento rivolto il saluto. Razionalmente, sapevo che ciò non era da interpretare come qualcosa di strano o sospetto, perché mi era ormai chiaro che Harry non era un tipo particolarmente loquace - senza contare poi che, in quelle assurde circostanze, non c'era probabilmente una maniera più adatta di comportarsi. L'istinto, però, pareva azionare una sorta di campanello d'allarme all'interno della mia testa; avevo la vaga impressione che quel cambio di atteggiamento nei miei confronti fosse da attribuire a qualcosa in particolare. Quello di cui non avevo la minima idea era cosa.

Ma, considerate la mia situazione e il fatto che in ogni caso non era una questione di vitale importanza, smisi di pensarci un attimo dopo che la mia mente aveva partorito l'intero ragionamento.

C'era qualcosa che invece mi preoccupava di più, ed era il fatto che non riuscissi a ricordare con esattezza che giorno fosse. Lo vedevo come il primo segno del mio allontanamento dal mondo esterno. Trovai quasi ironico che mi desse pensiero una cosa del genere, considerato che avevo trascorso tutta la vita ai margini, fra i reietti. Ma è anche vero che, forse, qualcosa di complicato e ammirabile da un'infinità di punti di vista qual è il mondo viene spesso sottovalutato, vivendoci a stretto contatto. A volte diventa necessario allontanarsene un po', per comprenderne il vero valore.

Recentemente, avevo cominciato a tracciare dei segni su una delle pareti, quella a ridosso della branda, uno per ogni giorno che trascorreva. Non mi riusciva però di ricordare con esattezza il numero di giornate che erano passate prima che cominciassi ad adottare quell'espediente.

Quei miei sproloqui mentali furono bruscamente interrotti da un rumore proveniente dall'altro lato della parete, ove era situata la stanza di Zayn. La sua voce era stata la mia unica compagnia, in quegli ultimi giorni. Non ero certa di potermi fidare di lui o cose del genere, ma sapevo che parlarci era stata l'unica cosa che mi aveva permesso di non andare fuori di testa.

"Che stai facendo?" domandai, un po' titubante.

"Cerco di rompere la porta" rispose lui in tutta tranquillità. Per quanto quell'edificio potesse essere vecchio e dimesso, le porte di quelle stanze erano realizzate in metallo, perciò nutrivo dei seri dubbi che potesse riuscirci davvero.

Il brusco rumore si ripeté, e ad esso seguì un gemito di dolore da parte di Zayn.

"Non funzionerà" dissi con calma, accostandomi alla parete. "Ti stai affaticando per niente. Rischi di far riaprire la ferita e basta."

Il suono metallico si udì per una terza volta, di gran lunga più intenso e assordante.

"Sì, invece" replicò risoluto. "Ho trovato un barile in fondo alla stanza. È molto più duro di quanto tu creda."

Blame | H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora