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Halsey, Control

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Mi pentii di aver premuto il grilletto nel momento stesso in cui lo feci. Mi disgustava il solo fatto di averci pensato, di aver contemplato l'idea di prendere la vita di qualcuno, anche se era il prezzo da pagare per salvare la mia. E, per il fatto di essere arrivata a farlo realmente nonostante avessi qualche alternativa, non riuscivo a riconoscermi. Io non ero così. Non volevo esserlo.

Percepii una lacrima calda scorrermi lungo la guancia e arrivare a bagnarmi le labbra, diffondendo il sapore salato dentro la mia bocca.

Poi aprii gli occhi. E fu quando vidi il petto di Harry - fasciato da una camicia bianca sbottonata per metà - alzarsi e abbassarsi davanti ai miei occhi, che mi resi conto che dalla pistola non era provenuto alcun rumore. Nessun proiettile aveva lasciato la canna dell'arma, nonostante fossi sicura di aver premuto il grilletto.

"È scarica" mormorò Harry, impedendo a ogni ipotesi o supposizione di formarsi nella mia testa. Il suo tono fu a dir poco raggelante.

Non ebbi il coraggio di guardarlo, perciò restai con lo sguardo fisso sul suo petto. Osservai la mia mano che impugnava la pistola, con l'indice ancora poggiato sul grilletto. La lasciai cadere a terra, producendo un secco rumore metallico, che rimbombò per tutta la sala.

Sussultai quando la mano di Harry si posizionò sotto al mio mento per sollevarlo, costringendomi a guardarlo. Il suo pollice ruvido mi sfiorò la guancia, asciugandomi la lacrima sfuggita al mio controllo poco prima.

Dischiuse le labbra come per dire qualcosa, ma parve ripensarci e alla fine rimase in silenzio. Si chinò per raccogliere la pistola che giaceva ai nostri piedi e la ripose dietro la cintura, questa volta richiudendo la fondina.

"Andiamo" disse, senza più rivolgermi uno sguardo.

Non opposi resistenza.

Mi guidò attraverso varie sale, colme di casse o di macchinari impolverati e arrugginiti, senza neppure sfiorarmi, trattenendomi solo per mezzo delle manette che ancora ci legavano.

Qualche altra lacrima sfuggì al mio controllo, mentre riuscii a trattenere i singhiozzi nonostante la gola mi bruciasse. Chinai il capo un po' in avanti, lasciando che i capelli scuri celassero il mio volto, dunque quella mia debolezza.

"È qui" annunciò Harry all'improvviso, arrestando la sua camminata.

Mi bloccai insieme a lui, dunque sollevai lo sguardo. Mi aveva portato in una stanza di dimensioni un po' più piccole rispetto alle sale con i macchinari e a quella in cui dormivo. Tutto ciò che era presente, comunque, oltre a poche pile di casse impolverate, era una vecchia porta chiusa.

"Cos'è?" mormorai, senza guardarlo.

"Dentro c'è una doccia" disse, indicando la porta con un cenno. "Cioè, una specie. Diciamo che puoi usarla come tale."

Rimasi più che spiazzata da quella sua spiegazione. Quella era la ragione per cui mi aveva portata fuori dalla cella? Solo per una dannata doccia? Era innegabile quanto ne avessi bisogno, ma non era ciò a cui avevo pensato. Credevo che mi avrebbe uccisa. E, per un dannato istante, avevo desiderato ucciderlo io per questo.

Dopo un tempo indefinito trascorso in una specie di stato di trance, sentii Harry strattonarmi leggermente il polso ammanettato per incitarmi a camminare. Mossi dunque qualche passo insieme a lui, finché entrambi ci bloccammo di fronte alla porta.

Quando lui la spalancò, mi presi qualche istante per esaminare quanto mi trovai davanti. Lo stanzino a pianta quadrata aveva le dimensioni di un piccolo ripostiglio ed era interamente piastrellato. Per 'specie di doccia', Harry intendeva un rubinetto non molto alto incastonato al muro. Alcuni fori collocati sotto di esso lasciavano intuire che un tempo vi era anche una sorta di lavello o qualcosa del genere. Nella stanza era presente anche una finestra di modeste dimensioni, situata sulla parete a sinistra rispetto al rubinetto, a un'altezza molto minore rispetto a quella della mia cella.

Blame | H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora